Anche l’osservatore più distratto non avrebbe difficoltà a percepire con chiarezza che l’intervista di Draghi al Financial Time ha sparigliato tutti i giochi.
Ed a buon motivo, perché il ragionamento calato sul tavolo è onestamente insuperabile: “Livelli di debito pubblico molto alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie……l’alternativa sarebbe una distruzione permanente della capacità produttiva e della base fiscale…”. Tradotto in soldoni: o nuovo debito per salvare il tessuto produttivo ma anche la pace sociale del paese, o una catena di fallimenti, la definitiva desertificazione industriale dell’Italia, la rivolta dei poveri di ritorno, ed alla fine ed in conclusione, la impossibilità di ripagare vuoi il vecchio, vuoi il nuovo debito che comunque si contrarrà.
Il Governo Conte per vero ha imboccato la strada del debito anche se con una superficialità e faciloneria che l’articolo di Enrico Seta su Politica Insieme ha ben messo in luce. Per sua fortuna l’insipienza ha trovato in Gentiloni inaspettate contrappesi. Sono finalmente apparse corpose sponde europee e conseguenti provvidenziali appoggi: la sospensione del Fiscal Compact, la possibilità del superamento del tetto del 33 % negli acquisti di titoli di Stato da parte della BCE, un impegno finanziario particolare della Bei. Braccio di ferro inusitato europeo invece per la emissione di bond europei di qualsivoglia tipo, cui fa da contrappunto naturale il no italiano ad attingere fondi dal Mes, ovvero no a mettere l’Italia in mano a creditori, che come si è visto in Grecia, non vanno poi troppo per il sottile.
Tutto questo ovviamente non rimarrà senza conseguenze. Occorre prendere atto che l’Unione Europea non è in grado in questo momento storico di andare oltre il perimetro di una moneta unica senza un bilancio unico, e soprattutto senza che a guidarla ci sia la stella polare del principio di sussidiarietà reciso di netto insieme alle radici giudaico cristiane da cui l’idea di Europa stessa è germinata. Vedremo gli sviluppo politici di questa amara ma inoppugnabile constatazione.
Si affacciano allora e da subito alcune riflessioni e dietro ad esse questioni fondamentali che ogni giorno assumono i contorni più chiari.
La prima ruota ovviamente attorno al principio politico ma anche etico secondo il quale, il debito interno o esterno che sia e che si va necessariamente ad assumere, dovrà essere restituito. Ma questo sarà possibile se quanto percepito tramite il debito genererà la ricchezza necessaria a ripagarlo. In altre parole, e per seguire il ragionamento di Draghi, il debito contratto potrà raggiungere il suo scopo ultimo di salvare il sistema Italia ed il suo tessuto sociale, se speso e finalizzato ad un corposo progetto di investimenti pubblici e privati; se speso cioè per sostenere massicciamente così l’offerta come la domanda attraverso corpose iniezioni di liquidità in chiave reflazionistica. Né potrebbe essere diversamente. Dopo dieci anni di stagnazione poi divenuta recessione, il blocco della produzione e di ogni attività economica per un tempo ancora indeterminato, genererà una caduta del PIL stimabile tra il cinque e l’otto per cento se non addirittura di più. Caduta che se non corretta e compensata da una fortissima iniziativa anticiclica, porterà l’Italia ma anche l’Europa ad una situazione di declino fatale ed irreversibile stile Argentina 2001.
Non affronto, ma solo per ora il problema di come contrastare la caduta della domanda che è insieme un ‘prius’ ma anche un ‘posterius’ della caduta dell’offerta. Infatti nessuna azienda si metterà a contrarre debiti se non c’è la certezza che poi qualcuno compri i prodotti realizzati con un debito aziendale che poi comunque si dovrà pagare.
Ecco allora profilarsi la seconda questione: come pagare il debito che il sistema va a contrarre sia dal versante pubblico sia da quello privato?
Ora, è di tutta evidenza che se si vuole seriamente pagare il debito che si va a contrarre, è inevitabile proiettare l’economia italiana ma anche europea in una cornice di un nuovo intervento della mano pubblica, di ‘deregulation’ e liberazione dalla asfissia della Pubblica Amministrazione, di apertura ai mercati internazionali, ed infine di sensibili inversioni di rotta nel campo fiscale. Discorso a sé merita la Magistratura la quale va riformata in radice perché deve poter e dover svolgere efficacemente il suo ruolo essenziale rimanendo veramente terza, cioè senza sostituirsi o surrogare il potere politico ed amministrativo e la classe dirigente in cui esso si esprime.
Tutto questo significa radicali riforme strutturali e rivisitazione generale del sistema Italia attraverso un ripensamento complessivo degli ultimi 30 anni. Lo ha cominciato a fare lodevolmente Vera Zamagni nel suo bell’articolo su Politica Insieme, ma occorre andare oltre. Lo sforzo da mettere in campo è gigantesco, direi titanico, esattamente come fu per i nostri padri di fronte ad una l’Italia distrutta da una guerra insensata e da una lotta di liberazione sanguinosa ed eroica.
Ecco allora che viene avanti la terza questione che ci sta di fronte: la dimensione etica e valoriale dell’impegno da assumer e che fu decisiva per generare la spinta meravigliosa che permise all’Italia di passare in soli 20 anni da nazione vinta e distrutta a potenza industriale mondiale.
Condivido integralmente l’opinione di chi ritiene che il Covid 19 ci abbia gettato in una guerra asimmetrica al termine della quale nulla, ma proprio nulla sarà come prima. Solo due piccolissime constatazioni a riprova.
Sono stati sufficienti appena trenta giorni per farci passare da situazioni nelle quali medici ed infermieri dei Pronti Soccorsi venivano aggrediti e costretti a difendersi da parenti inferociti ed incivili, ad una situazioni nella quale il Paese intero ha tributato un ringraziamento sincero e commosso a medici ed infermieri catapultati in prima linea nella quale hanno pagato un altissimo contributo di sangue.
Nè parlo della pena che in questi giorni ci ha provocato vedere Piazza San Pietro vuota quando solo due mesi fa l’Italia televisiva si associava gli sguaiati appalusi del pubblico dell’Ariston per un guitto che per strappare l’applauso accondiscendete ha pensato bene di aprire quel festival travestendosi da prete e poi di riempirsi la bocca di sciocchezze di cui oggi di fronte al dolore straziante dei vivi si capisce l’enormità. Sì in poco meno di due mesi tutto è cambiato e tutto è destinato a cambiare ulteriormente.
Ed ecco allora che il ragionamento ci porta al nodo fondamentale che ci attende e che ci sta di fronte: il nodo politico. Come e con quali forze e con quali idee condurre gli italiani sulla via della ricostruzione economica che è insieme rifondazione valoriale, istituzionale e politica? Domanda ardua. E tuttavia la risposta è abbastanza semplice: l’Italia può e deve essere ricostruita ‘ab imis’, a condizione di ritrovare la sua unità agguantata coraggiosamente nei momenti migliori della sua storia. Ha bisogno cioè di riscrivere anche nel nuovo secolo un patto costituzionale come quello scritto il secolo scorso, figlio e frutto insieme del Risorgimento e della lotta di liberazione. Un patto tra tutte le forze in campo ed interpellate proprio oggi dalla storia, esattamente come fu dopo la guerra di liberazione nel quinquennio 43/48.
Sin troppo ovvio rammentare a noi stessi che la convinzione che ci anima nel profondo, è che i veri protagonisti di questa riscossa politica e civile che il paese attende debbano essere proprio i cattolici, la loro tradizione splendida, la loro capacità di generare unità senza rinunciare al progresso ed alla spinta riformatrice propria del cattolicesimo politico e sociale.
Ho segnalato come sia un errore il pensare di costruire un soggetto politico di centro ed autonomo dalla destra e dalla sinistra e proiettato in questa linea senza aprire un dialogo costruttivo e serio con tutti, pur avendo ben chiari i limiti ed i confini delle scelte sia a destra sia a sinistra. Purtroppo come un gatto finito inconsapevolmente nella tangenziale di Milano, non sono riuscito a spiegarmi bene, sebbene la “cabina di regia” appena varata a livelli decisionali ultimi stia lì a dimostrare timidamente che le cose vanno proprio in questo senso.
Ma se questo è vero, ed è vero, occorre riconoscere che è impensabile por mano ad un progetto ardito e difficile come quello che si andiamo delineando e che sicuramente attende l’Italia, ma anche l’Europa, senza una classe dirigente in larga parte nuova e guidata da valori etici fondanti ed irrinunciabili, perché derivati dalla fede. Il paese ha bisogno di una rigenerazione morale complessiva come del resto ci ha ben ricordato Carlo Ranucci. Ma forse è più semplice dire di un partito fortemente identitario, ovvero di forte matrice cattolica, capace al contempo di formare, di indirizzare ed alla fine e da ultimo di guidare. E’ un discorso che va ripreso con attenzione e con i dovuti approfondimenti, magari anche attraverso lettere aperte, sempre gradite, di carissimi amici.
Mai come in questi tempi travagliati però, è impossibile non vedere la storia che ci è dato di vivere” come un grande fiume amazzonico che si snoda nella giungla in anse a gomito ben visibili dall’aereo, ma non da chi naviga su di esso. In questi tempi il fiume della storia sta percorrendo un ansa a gomito ed il suo corso sembra tornare indietro”. Ma non è così! Il divenire delle vicende umane va sempre avanti nelle sue cose, e come il corso del fiume arriva comunque al mare, così il fluire della storia arriva sempre e comunque a Dio. Ce lo hanno ricordato proprio in questi giorni drammatici le parole di tanti illuminati pastori tra le quali non posso omettere di menzionare le splendide catechesi del Cardinal Bürke. Occorre farne tesoro e non perdersi di coraggio. Quanto più la notte è fonda e buia, tanto più vicina è l’alba.
Emilio Persichetti