Il fallimento della Politica è datato 9 giugno 1998

La crisi del sistema in cui versa più che mai il nostro Paese non è cosa d’oggi, bensì ha radici profonde, articolate e poco recenti, risalendo a “tangentopoli” e alla sparizione dei partiti storici che si fecero carico di scrivere la Costituzione repubblicana e concorrere alla ricostruzione post-bellica.

Ma volendo fare un passo in avanti e attualizzare la presente analisi politologica, essa risulta meno remota e va fissata a quel giorno di fine primavera del ’98 in cui la Commissione bicamerale per le Riforme costituzionali, presieduta da D’Alema e fortemente voluta da Leopoldo Elia (uno dei più insigni giuristi della storia Parlamentare) e da Giuseppe Tatarella, entrambi con il ruolo di Vicepresidenti, venne letteralmente affossata secondo una corrente di pensiero perché sgradita al potere giudiziario; fine ingloriosa che causò grande amarezza e delusione sia al “ministro dell’armonia” che all’ex Presidente della Corte costituzionale. I lavori di quel rilevantissimo organismo che si richiamava a quelli della precedente commissione, presieduta dal liberale Albo Bozzi, sembrava partissero con grande consenso sulla base dell’esigenza, ovvia e ineluttabile, di aggiornare la parte ordina mentale più nevralgica dello Stato italiano con particolare riguardo agli organi costituzionali e di rilievo cost., quindi il C. S. M. e l’amministrazione della giustizia in primo luogo, questioni tuttora sub judice.

La legge elettorale, ispirata al principio maggioritario avrebbe offerto, di certo, prospettive meno confusionarie e rapporti più corretti e costruttivi tra le forze politiche. Così come da una prevista riforma organica della figura del Presidente del Consiglio rispetto al Consiglio dei Ministri, dell’organizzazione ministeriale e degli organi indipendenti o “authorities” sarebbe scaturito, con ogni probabilità, un adeguato riordino e maggior efficienza nel campo delle diverse “governance”.

Mi sento di poter affermare che i cittadini più civili, onesti ed attenti alla vita politica del Paese avrebbero auspicato, in questi decenni, norme, regolamenti e direttive mirati ad affrontare seriamente/metodologicamente il tema dell’assetto istituzionale e dell’equilibrio tra i poteri dello Stato, e dunque l’annosa “questione meridionale”; non solo combattendo con ancor maggior fermezza le mafie, ma disciplinando per tempo l’attività di lobbying, il conflitto d’interesse, ovvero introducendo ferree misure contro la corruzione, l’evasione, l’elusione, eccetera. Siffatta irresponsabilità della nuova classe dirigente che ci fa trovare, periodicamente e continuamente, davanti a nuove emergenze (climatiche, sanitarie, economiche, di instabilità politica) non ha per lo più un proprio spessore di cultura politica, quindi non tiene in alcuna considerazione l’importanza della formazione dei quadri politici, della quale non v’è più notizia dalla fine degli anni ’90 (ne parlo nel mio libro “Una vita nel Palazzo”, editore Gangemi). Evidentemente l’effetto di detta causa di antiche origini è stato il “commissariamento della politica” con il Governo Draghi, miseramente finito tra gli Archivi di Stato con due applausi ipocriti nell’Aula di Montecitorio, dopo il fugace assalto alla diligenza da parte di Beppe Grillo e dei suoi “escamisados”. Ed è grazie a loro, dilettanti allo sbaraglio che ora dobbiamo accontentarci della riduzione del numero dei parlamentari, laddove la logica, l’esperienza tecnico-legislativa o almeno il buon senso avrebbe dovuto indurli, unitamente agli altri gruppi parlamentari, a prendere in esame ed approvare un sistema che superasse il “bicameralismo perfetto” (priorità di quella Commissione bicamerale funestata dall’accordo D’Alema/Berlusconi) e nondimeno una legge elettorale in grado di restituire stabilità governativa e vera rappresentanza a tutti i ceti sociali.

Il triste, preoccupante fallimento dei partiti attuali, chi più chi meno, ha una serie di fenomeni patologici, comportanti percentuali di assenteismo da primato storico, così riassumibili:               a) tramonto inarrestabile del partito/azienda o del “padre-padrone

b) nascita estemporanea, vita convulsa e inevitabile tendenza all’estinzione se privo di un programma degno di nota o senza svolgimento di assemblee democratiche ad ampio spettro,                 c) innumerevoli passaggi ad altri Gruppi parlamentari (voltagabbana impuniti), anch’essi in numero da record assoluto

d) finanziamento, lecito o illecito, non trasparente, né credibile da parte dell’opinione pubblica.

Alla luce (funesta?) di un tale sfacelo, non vorrei minimamente trovarmi nei panni del nostro Presidente, Sergio Mattarella, persona onesta, competente e moralmente ineccepibile, il quale dovrà affrontare nuovamente gran parte di questo genere di “leader” o presunti tali, spesso avulsi dalle regole di Palazzo e privi di senso dello Stato (basti ricordare che non sono stati capaci di eleggere un nuovo capo dello Stato, costringendo l’attuale al rinnovo). Sicché staremo a vedere come si riuscirà a dipanare l’intricata matassa, mentre registreremo prevedibilmente l’ennesimo record dell’assenteismo nazionale che si affermerà, di nuovo e purtroppo, come il “partito di maggioranza relativa”.

Michele Marino