Giovanni Donzelli, uno dei più fidi di Giorgia Meloni, ci fa spesso capire come, ancora, per molti dei loro, sia problematico passare definitivamente il Rubicone. Sono arretrati sui loro passi di Fiuggi, e tornati indietro, a metà del guado, rispetto a quello che, pure, fecero assieme nella stagione di Gianfranco Fini cui venne attribuita la definizione del fascismo quale “male assoluto”.
Per il traghettatore del Msi verso i lidi della governabilità, forse, non fu solo il pensare “che Parigi val bene una messa” come esclamò Enrico di Navarra, poi Enrico IV di Francia. Un altro che ebbe il coraggio, e l’ardire, di passare il Rubicone.
Questi sono, invece, ancora sul sagrato della chiesa. E, intanto, tollerano veri e propri neofascisti patentati tra le loro fila. Riempiono le proprie elefantiache segreterie ministeriali, persino, di personaggi o di loro familiari coinvolti nelle pagine buie del golpismo e del terrorismo nero degli anni ’70 e’ 80.
Il problema non è quello del fascismo storico. Ma sono rivelatori gli insulti di Donzelli alle “spaghettate” di mamma Cervi organizzate per riunire chi, il 25 aprile di ogni anno, interpreta, ed ancora esprime, i sensi di un moto popolare per ricordare il sacrificio anche dei suoi sette figli massacrati dalla barbarie fascista.
Questa estrema destra non riesce proprio a spingersi oltre il riconoscimento di un dato storico incontrovertibile, e cioè che il fascismo ha negato i valori democratici.
Prendiamone atto e non cadiamo nella trappola delle discussioni sui fatti. E sugli studi storici che hanno oramai vivisezionato e definito cosa furono il fascismo, i suoi personaggi e i loro crimini.
E’ doveroso chiedere conto a Donzelli, e ai tanti che orbitano attorno a Giorgia Meloni, delle insulse polemiche sulle “spaghettate” del 25 aprile e, forse, male fanno alcuni dei “primi della classe” che, a sinistra, parlano di “antifascisti immaginari”. Perché d’immaginario non c’è proprio niente se si pensa a cosa la repressione degli avversari politici, i gravi errori di Mussolini, il costo della partecipazione alla Seconda guerra mondiale, e tanto altro ancora, ha significato per tante italiane e tanti italiani. E questo chiedere conto ha una ragione in più per tutta una presenza politica che non può certo, oggi, essere definita fascista, ma che appare come una diretta emanazione di una ben definita cultura autoritaria, di censo e divisiva. Di una cultura politica che è “doppiezza” e che finisce per giustificare l’enorme differenza che c’è tra la propaganda e l’azione effettiva di governo per cui dopo le elezioni quanto si è promesso non vale più.
Per quanto riguarda l’istinto che li muove, si dovrebbe fare finta che non esistano la questione del Premierato e dell’Autonomia differenziata. E per la doppiezza, sorvolare sui provvedimenti economici che favoriscono i gruppi sociali più agiati e le imprese bancarie e finanziarie a danno, persino, del ceto medio e di tutto un reticolo di piccole e medie aziende cui sono stati promessi mari e monti, in tre anni mai arrivati. Quali la promessa della detassazione, sostituita da un’ulteriore serie di condoni che favorisce, invece, i “mariuoli” del settore produttivo, commerciale e dei servizi a danno della parte sana di quei mondi; la diminuzione delle accise sui carburanti, che invece ancora ci sono in maniera esagerata, facendoci ritrovare nella condizione del paese che più paga in Europa il costo dell’energia; l’alleggerimento burocratico che resta in continuità con tutto ciò che ci tiene lontano da una effettiva ed efficace digitalizzazione della cosa pubblica; l’aggravarsi delle disparità geografiche e sociali che restano, ancora di più, quale segno effettivo di una mancata volontà di applicare pienamente la Costituzione. Quella Carta che le parole ed i fatti, soprattutto, fanno capire come resti il vero obiettivo di chi non passando il Rubicone prova a trovare una strada per stravolgerla e a non fare mai i conti con il fiume della Storia.
Noi, invece siamo con quegli autentici patrioti che quel fiume della storia democratica del nostro Paese l’hanno seguito e continuano a curarne gli argini. E così esprimiamo tutta la solidarietà possibile a Lorenza Rosati, la fornaia di Ascoli Piceno, minacciata dai fascisti dei nostri giorni per aver steso uno striscione accanto al suo negozio per celebrare il 25 aprile. Sottoposta ad ingiustificati controlli da agenti della Polizia che, dal Ministro Piantedosi, invece, dovrebbero essere mandati a Predappio e ad Acca Larentia per identificare i fascisti cui, ogni volta, si fa fare impunemente il saluto romano in pieno assetto paramilitare. Vergogna!!!!
Politica Insieme