Domenica scorsa sono andato a votare per i Referendum: come sempre, mi è parso doveroso. Ero tuttavia cosciente di infilare le mie cinque schede (con i miei 2 SI e 3 NO) oltre che nelle urne, anche in una trappola per topi, auto costruita con impegno dall’opposizione, con la Destra che non ha dovuto faticare granché per godersi poi lo spettacolo.
Mi sarei aspettato dai promotori e dai vertici dei partiti sostenitori dei Referendum – il PD in particolare – la sincera presa d’atto di una sconfitta politica dovuta ad un errore.
Sbagliare, certo, è umano, benché mai privo di conseguenze. Invece no. Hanno detto che, in fin dei conti, gli italiani che hanno votato al Referendum sono comunque di più di quelli che alle ultime elezioni politiche avevano votato per la Destra. Bizzarra argomentazione, che non sta né in cielo né in terra.
I Referendum sono falliti non solo perché sono stati presentati come una sorta di improbabile “spallata al Governo”, ma soprattutto per la narrazione che hanno evocato sui due contenuti in questione.
In primis il Lavoro.
La giusta battaglia contro la “precarietà senza diritti” può essere combattuta con le ricette di venti o trenta anni fa, oltretutto spaccando nettamente il fronte sindacale? La cancellazione di qualche articolo del Job Act di epoca renziana, allo scopo di ristabilire, peraltro confusamente, le regole di un tempo ormai defunto, poteva essere la pista credibile per tutelare il Lavoro nel nostro tempo?
In secondo luogo, la cittadinanza per gli stranieri. Ho votato SÌ a questo quesito. Ma non è un caso che esso abbia ricevuto un percentuale di SÌ molto inferiore agli atri quattro. E non è stato solo per la posizione “da mani libere” assunta dal M5S. (Per inciso, non ho mai avuto dubbi sul fatto che questo movimento populista, alla fine, ha tratti identitari più vicini al sovranismo della Destra che ai valori del centro sinistra).
Le percentuali del NO di chi ha votato su questo punto (per citare solo un esempio, il 35.7 in Emilia Romagna) dicono che c’è qualcosa di più da interpretare. Non si può solo evocare i giusti principi dell’accoglienza senza “abitare politicamente” le periferie sociali e territoriali del Paese, quelle che per varie ed evidenti ragioni faticano di più ad accettare questa prospettiva, pur necessaria e doverosa per gli stessi interessi, come sappiamo, della nostra comunità.
Si tratta di un sfida culturale e sociale, prima che politica. E chi, se non il centrosinistra, deve avvertire e praticare il dovere di accompagnare da vicino il popolo, senza supponenze e respingenti ideologismi, con proposte organiche e sostenibili, in questa transizione epocale ed a fronte di una Destra che vince perché intercetta e cavalca le inevitabili paure di larga parte della comunità?Altro che “mezza vittoria dalla quale ripartire”, dunque!
L’esito dei Referendum (che tra l’altro rende ora praticamente impossibile percorrere per via parlamentare il miglioramento delle relative norme) è un ennesimo campanello d’allarme che segnala una crisi profonda dell’opposizione. Così come essa si presenta non ha nessuna possibilità di vincere la contesa per la guida del Paese. Prima se ne rende conto, meglio è.
Si legge di un certo vivace dibattito nato nel PD. Lo seguo dall’esterno con rispetto ed interesse non strumentale: abbiamo tutti bisogno di un PD meno grillinizzato e più riformista. Ma ugualmente abbiamo bisogno di una sorta di Nuova Margherita, che torni a rappresentare – superando l’ormai insopportabile serie di sigle e di start up nazionali e territoriali – una parte importante dei cittadini oggi politicamente “apolidi” e sempre più rassegnati, disorientati e sfiduciati. Che dia voce e forza ad un Centro plurale e riformatore; chiaramente alternativo alla Destra; capace di rigenerare, senza nostalgie ma con linguaggi e classi dirigenti fresche, le culture della liberal-democrazia e del popolarismo.
Quel popolarismo di tradizione degasperiana che in Italia (diversamente da molti altri paesi Europei) da anni ha abiurato al suo pensiero originale ed alla sua presenza politicamente organizzata. Con l’effetto evidente che la Destra sta espandendosi a dismisura e la capacità di rappresentanza del sistema democratico si riduce sempre più ad un contesa tra tifoserie dentro la minoranza dei cittadini che vanno a votare.
Che cosa vogliamo aspettare ancora per superare personalismi e ostracismi incrociati che ci condannano sempre più all’insignificanza politica?
Lorenzo Dellai

About Author