L’ impegno ad allargare le basi democratiche dello Stato è una costante della vicenda costituzionale e repubblicana dell’ Italia, da De Gasperi a Moro, che va tuttora mantenuta come “baricentro” dell’ azione politica.

La destra è alla ricerca di una egemonia che vada oltre il quinquennio dell’attuale legislatura e rappresenti piuttosto che la continuità del proprio primato elettorale – aspirazione del tutto legittima – dentro l’attuale contesto politico ed istituzionale, un radicale cambio di paradigma, una sostanziale “rottura di sistema”. Inebriata del successo, pensa, sogna, si illude e spera che l’avvento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi abbia effettivamente un significato storico come conclusione di un ciclo politico, che, fin dall’immediato dopoguerra e costantemente, ha promosso quella progressiva inclusione dei ceti popolari nella macchina istituzionale dello Stato che ha consentito all’Italia di crescere dal punto di vista produttivo e soprattutto dal punto di vista culturale e civile.

Immagina che si possa mettere tra parentesi non il ventennio fascista, ma piuttosto decenni e decenni di esperienza democratica, come fossero un corpo estraneo da enucleare dalla vita di un Paese che deve tornare al “quo ante” di una tradizione legata alla cultura dell’ “uomo forte” e del trasformismo. Oggi a “benevolo” e necessario supporto di questa impostazione si vorrebbe richiamare la difficoltà a governare la società globale, liquida e complessa. Senonché, è vero esattamente il contrario.

Si può domare la complessità, riportarla dentro un orizzonte di senso e di governabilità solo attraverso processi di ampliamento della partecipazione diffusa ed attiva dei cittadini alla vita della collettività. E questo esige non tanto più o meno sofisticate ingegnerie istituzionali – che pur ci vogliono – ma la capacità di riaccendere la passione civile, il gusto della libertà e della responsabilità personale.

E’ il tema del “pensare politicamente” che a Milano ci ha insegnato Giuseppe Lazzati. E’, anzitutto, con questo scenario che devono confrontarsi, prendendo posizione, anche quelle nuove imprese politiche – cui pure noi concorriamo – che intendono “trasformare” il nostro sistema politico e rivitalizzare il Paese.

Domenico Galbiati

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