1. Nel mondo digitale contemporaneo la lotta geopolitica ha quale obiettivo principale i c.d. big data, l’aggregato delle informazioni personali che più o meno consapevolmente ognuno di noi trasmette a mezzo della rete, grazie alla connessione garantita dagli strumenti informatici di cui neppure la famiglia sudcoreana protagonista del film Parasite riesce a fare a meno, benché viva in miseria.
Ogni Stato dovrebbe quindi riconoscere enorme rilievo alla propria infrastruttura tecnologica di telecomunicazioni, per cui in apparenza ci si dovrebbe accodare ai tanti commentatori che hanno plaudito alla scelta del Governo italiano di dare vita alla rete unica per portare internet superveloce a mezzo dell’alleanza fra il gestore principale, TIM, con la CDP-Cassa Depositi e Prestiti, s.p.a. di diritto privato in realtà controllata dal MEF-Ministero Finanze ed Economia a capitale interamente pubblico (gestisce il risparmio postale). Il tramite sarà costituito dapprima da FiberCop, società partecipata dalla stessa TIM cui era inizialmente destinata solo la rete secondaria – l’ultimo miglio della connessione dall’armadio stradale alle singole abitazioni -, al cui azionariato si aggiungerà il fondo americano KKR e Fastweb, con l’appoggio anche della Tiscali di Renato Soru; poi, con la costituzione della newco AccessCo, società alla quale farà capo la gestione della rete unica, nella quale dovrebbe confluire sia Fibercop che l’originario competitor, Open Fiber, società partecipata al 50% da ENEL e per l’altra metà da CDP Equity.
Lo schema governativo, che prevede il coinvolgimento di tutti gli attori già presenti sullo scenario del mercato delle tlc, si completa con una governance a controllo, se non guida, statale, in quanto lo statuto della newco dovrà riconoscere non solo la necessità di maggioranze qualificate, che richiederanno l’intervento obbligatorio di CDP, ma anche e soprattutto la nomina del Presidente esecutivo e con ampie deleghe da parte del MEF.
2. Il premier Conte sembra avere raggiunto l’obiettivo che non era stato ottenuto da Romano Prodi nel 2006, quando fu bloccato il piano Rovati, allora consigliere personale del Presidente del Consiglio, di scorporare da TELECOM la sua rete e riportarla in mano pubblica. Infatti, l’originario monopolista dei servizi di telefonia era stato privatizzato nel 1997, in ossequio alle direttive ordoliberiste europee che ne imponevano l’apertura alla libera concorrenza, mantenendo però la titolarità dell’infrastruttura, analogamente a quanto più di recente è avvenuto con le Ferrovie dello Stato, allorché l’apertura a più gestori del servizio ferroviario si è accompagnata al mantenimento della proprietà di quest’ultima in capo all’originario monopolista.
Il risultato parrebbe ancor più meritevole di pregio se si considera che anche le diverse anime della maggioranza governativa sembrano concordare. Qualche giorno fa il ministro Roberto Gualtieri aveva invitato l’amministratore delegato di TIM Luigi Gubitosi a rinviare al CdA del 31 agosto la decisione di acconsentire l’ingresso nell’azionariato della controllata Fibercop del fondo americano KKR, addirittura minacciando l’esercizio della golden share a mezzo del veto di tale operazione, in attesa che si concludesse la mediazione affidata a Fabrizio Palermo, amministratore delegato della stessa CDP, per raggiungere l’accordo sulla rete unica, così suscitando le ire e le esplicite pressioni di segno contrario degli USA, già infastiditi della disponibilità italiana a consentire invece la gestione della rete 5G alla cinese Huawei. Alla fine gli americani sono stati accontentati, senza peraltro che la componente filocinese del governo abbia avuto a che ridire: il ministro dello Sviluppo Economico, espressione del M5S, Stefano Patuanelli ha commentato con entusiasmo l’operazione ‘rete unica’: “E’ il primo passo di un percorso verso una società delle reti e delle tecnologie a governance pubblica” per “colmare il gap infrastrutturale del nostro Paese e garantire a cittadini e imprese l’accesso ai servizi digitali”. In nome dell’interesse nazionale, il Governo parrebbe aver soddisfatto tutti.
3. Sia consentito di avanzare qualche perplessità e porre alcuni quesiti.
Vi è in primo luogo il legittimo dubbio sulla validità macroeconomica, già censurata con riferimento all’ampliamento dei poteri previsti e introdotti con la legislazione emergenziale di contrasto alla crisi indotta dalla pandemia, di riaffidare direttamente allo Stato, per il tramite della CDP novella IRI, non semplicemente il controllo della rete ma la partecipazione stessa di capitale pubblico alla intrapresa economica, secondo un modello non solo superato dogmaticamente ma che tanti danni alle finanze pubbliche ha apportato nel passato anche recente.
E poi, siamo sicuri della regolarità di un’operazione che viene fatta passare non solo sulle teste dei parlamentari – non risulta che l’argomento sia giammai stato trattato nell’Aula della Camera o del Senato -, ma soprattutto attraverso le tasche dei tradizionalmente oculati risparmiatori e investitori postali, i veri titolari del patrimonio finanziario di CDP, nel cui statuto non è affatto prevista l’assunzione di partecipazioni societarie in attività economiche?
Quest’ultima domanda introduce, infine, al marchingegno individuato dal Presidente del Consiglio: la CDP non entrerà nella società cui verrà affidata la rete unica delle tlc direttamente, bensì attraverso la sua partecipata CDP Reti s.p.a. Quest’ultima è una società del gruppo CDP costituita nel 2012 quale veicolo di investimento, e già possiede partecipazioni in SNAM, al 31,04%, Italgas, al 26,04%, e in TERNA, al 29,85%, “come investitore di lungo termine con l’obiettivo di sostenere lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto, rigassificazione, stoccaggio e distribuzione del gas naturale così come della trasmissione dell’energia elettrica”.
I suoi azionisti sono CDP al 59,1%, ma anche, al 35%, la SGEL-State Grid Europe ltd, società del gruppo State Grid Corporation of China, diretta emanazione del Partito-Stato cinese che, a mezzo del veicolo di CDP Reti, entrerà nel capitale della newco cui verrà affidata la rete unica, con conseguente facoltà statutaria di interferire nella governance, mentre agli americani di KKR rimarrà solo la soddisfazione degli eventuali dividendi! Oltre alla partecipazione indiretta nel comparto energetico, oltre alla dipendenza per la fornitura dei farmaci, per il 90%, dell’intera Europa da Pechino, oltre la backdoor di Huawei e ZTE, chi potrà più facilmente accedere ai nostri dati: la CIA o la CINA?
Renato Veneruso
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