Il problema del mondo cattolico è proprio quello del continuare a “baloccarsi” nel prepolitico che nel migliore, e più dignitoso dei casi, può corrispondere ad un fase di attesa. Purtroppo, dopo trent’anni di diaspora e finita nell’orrilievanza ed indifferenza di un popolo che guarda impotente alla distruzione di un Paese che, grazie, anche, ma soprattutto, ad una generazione di coraggiosi e dignitosi rappresentanti del popolarismo erano riusciti a far diventare davvero importante l’Italia e gli italiani.

Gli incontri ripetuti sul “Dopo Trieste” ci sono, ma per ora non rappresentano un segnale concreto e solido. Questi appuntamenti sono ancora frammentati, liquidi, dispersi. Servono a decentrare le idee a livello locale e a creare reti, ma è importante ricordare che anche le reti hanno bisogno di emergere periodicamente e di un punto di confluenza nazionale.

Questo attivismo è però una chiara avvisaglia di qualcosa che, pur nei suoi inizi, sta manifestando una voglia di risveglio. L’obiettivo è valorizzare e promuovere un patrimonio di valori utili all’intera società. L’augurio è quello di mantenere il più possibile i piedi per terra ed essere “concreti”, soprattutto nelle analisi della società in cui viviamo, non di quella che pensiamo o desideriamo, come ammoniva don Luigi Sturzo.

Un fatto è certo: tutto ciò che si è ereditato dall’impegno sociale e politico dei cristiani, tutto quanto proviene dal cattolicesimo politico e, soprattutto, da quello cattolico-democratico, fondato sui valori della Costituzione e sull’Insegnamento Sociale della Chiesa, oggi è avvolto da un inspiegabile silenzio.

Se questo è lo scenario, Trieste è stata la prima tappa di un risveglio che non deve essere abbandonato. È quindi incoraggiante che, in molte città italiane, studiosi, associazioni, gruppi, movimenti, fondazioni e persino parroci stiano promuovendo incontri di approfondimento. Anche Roma si è mossa: giorni fa, alla Lumsa, si è svolto un primo appuntamento sul “Dopo Trieste”, promosso da Lucio D’Ubaldo e Giuseppe Fioroni. Il titolo dell’incontro mi è parso straordinariamente realistico e provocatorio: “Dopo Trieste. In cammino per andare dove”. Ecco, per andare dove? Aggiungo un punto interrogativo, che sottintende una ricerca prepolitica e formativa sulle grandi novità del terzo millennio.

Un secondo incontro si è svolto all’Istituto Sturzo, che ha ripreso i temi di Trieste: “Chiesa e democrazia a ottant’anni dal radiomessaggio di Pio XII per il Natale 1944”. Alcuni giorni fa, a Milano, padre Giuseppe Riggio, direttore di Aggiornamenti Sociali, ha organizzato un terzo convegno con la rete degli amministratori locali del “Dopo Trieste”. A metà febbraio, sempre a Milano, questi amministratori, già connessi tra loro, si riuniranno per un primo incontro nazionale coordinato, che suggerisce un metodo efficace di sintesi per tutti gli incontri sparsi. Molti altri appuntamenti si sono già svolti e molti sono in programma.

Alla Lumsa, la scena è stata occupata da Ernesto Maria Ruffini, un manager di spessore, dimissionario dall’Agenzia delle Entrate per incomprensibili e ingiustificabili accuse da parte della destra al governo, individuato da molti come un possibile federatore di un neo-ulivismo. Era presente anche padre Valerio Occhetta, da sempre interessato all’impegno politico dei cristiani, mentre l’incontro è stato introdotto dal professor Francesco Bonini, direttore della Lumsa.

Va ricordato che, a Trieste, si è volutamente dichiarato che non si doveva parlare di un nuovo partito politico cattolic – di centro, sinistra o destra – anche se queste categorie storiche, ormai superate, sono in via di ridefinizione. Lo stesso è avvenuto alla Lumsa.

Dunque, niente partito politico. Tanto a Trieste quanto a Roma, è stato messo a fuoco il tema fondamentalmente culturale, prepolitico e prepartitico della “partecipazione”, parente stretta della ricerca del bene comune. Un tema che si collega all’urgenza di trovare gli strumenti più adatti per promuoverla, in un momento segnato da una disaffezione al voto senza precedenti. Si tratta di fare rete, certo, ma anche di avviare un Forum nazionale annuale che faccia sintesi di tutte queste esperienze, partendo dalla dimensione civica e comunitaria locale—da non dimenticare mai—fino a quella europea, per la quale rimane ancora aperta la proposta del cardinale Zuppi su una nuova Camaldoli.

Concludo.

  • Un “prepolitico” di incontri formativi ancora sparsi, che diffonde conoscenze e promuove ricerche, in attesa di un incontro annuale riassuntivo sulla direzione di marcia comune.
  • Un “prepolitico” fatto di analisi e approfondimenti culturali, convegni e dibattiti locali, incontri e scambi di idee, giornali online.
  • Un “prepolitico” indispensabile alla nostra classe politica attuale, soprattutto considerando lo spessore culturale ed etico necessario, la carenza di competenze e la totale assenza di esperienze amministrative locali. Competenze e conoscenze che non sarebbero secondarie per combattere l’assenteismo e contrastare quella che definisco una “emidemocrazia” del 50%, sotto i nostri occhi.

Un “prepolitico”, insomma, che formi e prepari prima di far accomodare in Parlamento. Un tema, quello della partecipazione e della democrazia partecipata, che non è affatto concluso. Anzi, provoco: deve ancora iniziare. Lo dimostrano i terremoti che scuotono i vecchi equilibri geopolitici internazionali e le tragedie delle guerre in corso.

Una storia che riparte, segnata dalle trasformazioni radicali imposte da un capitalismo finanziario ristretto, orientato ad affossare libertà e uguaglianza nelle democrazie e a promuovere disuguaglianze. Una questione che dovrebbe riguardare tutti i partiti italiani, non solo un ipotetico nuovo partito di centro cattolico, soprattutto alla luce delle rivoluzioni epocali già in corso: quella climatica, quella del futuro del lavoro in mano all’IA, e quella – tragica – dei 200 milioni di poveri subsahariani pronti a migrare.

Nino Labate

Pubblicato su www.ildomaniditalia.eu

About Author