Premessa:   Mi è stato riferito da persone vicine al Vaticano che da tempo un Pontefice voleva fare questo viaggio. Giovanni Paolo II intendeva recarvisi già 21 anni fa, ma la visita gli fu sconsigliata sia dagli Stati Uniti che dal governo iracheno per via della difficile situazione interna. Egli perciò dovette rinunciare al progetto.

Verso la fine dello scorso anno la Santa Sede prese finalmente la decisione di organizzare il viaggio in questo Paese martoriato e di antica civiltà che per la figura di Abramo era la culla delle tre grandi religioni monoteiste. Il viaggio, della durata di 3 giorni, si sarebbe svolto agli inizi del mese di Marzo e sarebbe stata la sua 33esima missione all’estero. Ad oggi, il Papa si è recato in 52 Paesi.

La visita avrebbe consentito alla Chiesa di Roma di poter finalmente entrare in stretto rapporto con l’intera comunità islamica. Si sarebbe trattato del suo primo viaggio nel paese e del primo spostamento in 15 mesi. Per via della pandemia, il Pontefice era sembrato quasi uscito di scena: lo si vedeva poco e ancor meno lo si sentiva parlare: tutti ricordiamo le immagini di una Piazza San Pietro vuota e di un uomo in solitudine. Questo breve viaggio avrà indubbiamente una sua valenza storica e con tutta probabilità sarà visto un domani come uno dei segni del passaggio tra il XX e il XXI secolo.

Questa visita è alla fine riuscita a mantenere tutte le sue promesse, mettendo in evidenza anche le capacità politiche del Pontefice. Egli ha voluto mostrare di non avere effettuato questo viaggio solamente per denunciare la condizione dei cristiani nell’area ma, impostandolo su tre tappe fondamentali, ha voluto lanciare un messaggio di ben più vasta portata: nel corso del sua prima giornata ha avuto un incontro con le autorità politiche in quanto rappresentanti della società civile irachena; si è poi recato a Najaf per un colloquio con la massima autorità religiosa sciita ed infine ha portato il suo messaggio a quel che resta della comunità cristiana in Iraq.

Così facendo ha voluto indicare come la comunità cristiana irachena non facesse parte di quel solo Paese ma dell’intero mondo arabo. La visita del Papa ha avuto luogo in un momento nel quale gli Stati Uniti stanno mostrando la volontà di riprendere una politica mediorientale ricalibrando le posizioni già espresse da Trump. La prima telefonata fatta dal presidente Biden ad un capo di governo arabo è stata quella al premier iracheno. Il gesto indica l’importanza che la nuova amministrazione americana attribuisce all’Iraq nel quadro di uno scacchiere in grande movimento.

Una nota sull’Iraq:   Per comprendere il senso degli eventi che nel corso degli ultimi trent’anni hanno investito l’intera regione, non si può non tener conto di ciò che è avvenuto in Iraq.

Storia:  Terra di antichissima civiltà, ha conosciuto in passato numerosi popoli ed imperi. Fu anche una monarchia ellenistica, parte della compagine di Roma e di Bisanzio per cadere nel III secolo in mano ai Sassanidi. Gli Arabi vi si installarono nel VII secolo, Baghdad divenne la capitale del Califfato abbaside e l’area conobbe una grande fioritura culturale.

Dopo la caduta della dinastia Omayyade il paese subì nel XIII secolo l’invasione delle orde mongole, alla quale seguì un lungo periodo di impoverimento e di instabilità politica. Nella prima metà del XVI secolo l’intera area fu occupata dagli Ottomani. Cadde in mano inglese nel corso del primo conflitto mondiale ed a seguito della caduta dell’Impero Ottomano e del Trattato di Sevres diventò un mandato britannico.

Nel 1921 Londra vi stabilì una monarchia hashemita nominando re Feysal I, che i Francesi avevano rimosso dalla Siria. Nel 1932 l’Iraq ottenne la sua indipendenza e divenne una monarchia costituzionale. Nel 1948 entrò a far parte della Lega Araba e nel 1955 del Patto di Baghdad. Tre anni dopo, a seguito di un colpo di Stato, l’Iraq divenne una repubblica. Nel 1968 il generale Ahmad Hasan al-Sadr giunse al potere dopo un successivo colpo di Stato. Con lui prese il potere il partito socialista arabo Baath. Nazionalizzazione dell’industria petrolifera nel 1972: il paese si allinea all’Unione Sovietica.

Nel 1979 al-Sadr viene destituito dal suo vice Saddam Hussein, che subito dopo dà vita ad una purga che elimina tutti i suoi avversari. Nel 1980, a seguito della rivoluzione islamica in Iran che caccia lo Shah ed instaura un regime teocratico, Saddam entra in guerra contro quel paese nella speranza di una rapida vittoria. Ciò non accade e il conflitto si prolunga fino al 1988 per concludersi senza vincitori. La questione dei debiti contratti per sostenere la guerra conduce direttamente all’invasione del Kuwait nel 1991 e al successivo intervento di una coalizione di 34 Paesi guidata dagli Stati Uniti.

Saddam sopravvisse ma gli anni successivi furono durissimi per l’Iraq e il suo popolo a causa di un esteso embargo che contribuì a bloccare lo sviluppo del Paese ed impoverirlo. A seguito dell’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono del 11 Settembre 2001, l’amministrazione Bush decise di invadere l’Afghanistan. Considerando Saddam Hussein come una grave minaccia per la pace e la stabilità del Medio Oriente, il presidente americano con l’appoggio dei suoi consiglieri neo-conservatori si preparò per un attacco all’Iraq, cosa che avvenne il 20 Marzo 2003.

Dopo aver combattuto un esercito indebolito da 12 anni di embargo, le truppe americane entrarono a Baghdad nella giornata del 9 Aprile. Saddam fuggì e si nascose. Il 1 Maggio, il presidente Bush dichiarò la guerra terminata ed iniziò la caccia all’uomo. Il dittatore venne catturato nei pressi del suo villaggio natale di Tikrit il 13 Dicembre. Fu impiccato il 30 Dicembre del 2006. Che ne sarà del futuro dell’Iraq e del suo popolo?

Gli americani avevano occupato il Paese ma nulla era chiaro sul da farsi e molto di quello che veniva indicato come possibile soluzione mancava di realismo e non aveva attinenza con la situazione sul terreno. La transizione politica fu condotta in modo disastroso, a cominciare dal processo di de-baathificazione, affidato ad una commissione composta essenzialmente di sciiti. La cosa si tradusse in una purga di sunniti: lo Stato perse la sua forza lavoro ed il suo esercito, che tornò a casa senza paga e portandosi appresso le armi.

Particolarmente grave la situazione della Guardia Repubblicana e del corpo ufficiali. Per protesta molti di questi iniziarono a prendere le armi e ad unirsi in piccoli gruppi allo scopo di difendere i propri diritti e resistere agli Stati Uniti. Gradualmente a quest’insurrezione si unirono anche molti civili sunniti. Per armarsi si servirono dei depositi militari di Saddam dei quali conoscevano l’ubicazione.

Approfittando di questa situazione, al-Qaida mise piede in Iraq portandovi al-Zarkawi, accompagnato da qualche centinaio di terroristi stranieri. La rabbia degli iracheni sarebbe stata la grande occasione ed iniziarono a reclutare insorti. Nel corso del 2004 gli attacchi terroristici ed i moti insurrezionali si moltiplicarono. Con la nascita di un governo provvisorio il Paese entrò in uno dei periodi più sanguinosi della sua storia. Il terrorismo islamico vi si era impiantato e questo avrebbe poi portato all’Isis e tutto quello che ne è seguito.

L’errore più grave commesso dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti fu quello di scatenare all’interno dell’Iraq un conflitto tra sciiti e sunniti, scontro che ancora oggi continua avendo finito col coinvolgere Iran e Arabia Saudita. Il conflitto interno all’Iraq si è così allargato all’intera regione.

Geografia e demografia:   L’Iraq si estende su un’area di 435 mila kmq, che comprende gran parte di quel territorio che in antico aveva il nome di Mesopotamia. A Nord confina con la Turchia, ad Est con l’Iran e ad Ovest con Siria e Giordania. I suoi confini meridionali toccano il Kuwait, le acque del Golfo Persico e l’Arabia Saudita.

Il paese può descriversi come una terra dai rilievi monotoni, in gran parte semi-desertica, che si estende soprattutto tra il fiume Tigri e l’Eufrate, le cui acque sono utilizzate per l’irrigazione. Verso il mare questi due fiumi si congiungono per formare lo Shatt al-Arab, che scorre attraverso zone paludose per terminare nelle acque del Golfo Persico.

Questo Paese si caratterizza per due grandi aree climatiche: un basso piano caldo e arido ad Ovest, un’area desertica verso Sud-Ovest ed una più umida nel Nord-Est. Nelle terre settentrionali ed orientali si dipana una steppa caratterizzata da una vegetazione di cespugli e spine. Nel meridione e ad occidente questa si compone in gran parte di cespugli resistenti al sale.

La sua popolazione è di circa 38 milioni, l’età media è di 21 anni e la maggioranza dei suoi abitanti sono arabi. La capitale è Baghdad. Le due lingue ufficiali sono l’arabo ed il curdo. Vi si pratica l’Islam, la componente più numerosa essendo quella sciita, concentrata essenzialmente nell’area sud-orientale del paese e corrispondente al 62,5% dei fedeli. I sunniti, che sono il 34,5%, vivono soprattutto nella zona centro-occidentale. Vi è presente anche una minoranza cristiana che fino al 2003 contava circa un milione e mezzo di fedeli, per lo più appartenenti alle chiese assira, cattolica caldea, siriaco-ortodossa, siriaco-cattolica e armena. Negli anni successivi il loro numero è fortemente calato e oggi si stima sia intorno alle 200 mila.

La minoranza più importante è quella curda, che si concentra nel nord-est del paese e corrisponde al 15-20% della popolazione. Vi sono anche piccole minoranze turcomanne ed assire, così come un pugno di Mandei, Yazidi, Yarsan e Shabak.

Economia Riguardo l’economia, la più importante fonte di reddito è il petrolio. Si calcola che l’Iraq ne possegga la terza riserva al mondo. I due terzi del reddito di esportazione si basano sul questa materia prima che però non sono sufficienti ad equilibrare la bilancia commerciale. Grazie ai due grandi fiumi vi è un’agricoltura sviluppata. Nelle steppe periferiche invece la sola risorsa è l’allevamento delle pecore. Piuttosto debole la produzione industriale per i danni subiti da questo settore nel corso dei successivi conflitti che hanno lacerato il paese a partire dal 1980.

Il prodotto interno lordo corrisponde oggi a circa 225 miliardi di dollari. Quello pro-capite supera di poco i 17 mila. In relazione al Pil, le sue spese militari sono le quarte al mondo. Il suo bilancio per la difesa due anni fa era di 20,5 miliardi di dollari, ossia poco più del 9% del Pil. Con circa 200 mila reclute, le sue Forze armate sono per numero al 25° posto nel mondo.

Uno studio statistico del 2018 indica come l’Iraq sia secondo al mondo per attacchi terroristici in rapporto alla popolazione. Dopo l’Afghanistan e la Siria è considerato quello meno pacifico, mentre si classifica tra i primi al mondo per le richieste di asilo ed è uno dei maggiori destinatari di aiuti bilaterali e multilaterali. L’indice di sostenibilità ambientale è tra i più bassi.

La giornata del 5 Marzo:   Questa visita senza precedenti per via dell’emergenza Coronavirus non ha visto folle festanti né abbracci: sbarcato dall’aereo, il Papa è stato accolto in pompa magna dal primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi e ha poi avuto con lui un colloquio in una sala appositamente allestita dell’aeroporto.

Accompagnato da un imponente servizio di sicurezza e molti agenti motorizzati, si è poi avviato verso la capitale Baghdad in un esteso corteo di automobili scure: per l’occasione ha dovuto rinunciare alla sua consueta Papamobile e fare uso di una BMW blindata come specificato dalle autorità locali.

Lungo il percorso e malgrado le restrizioni imposte dalla sicurezza e dalla pandemia, è stato salutato da numerose persone. Giunto in città, il Papa ha fatto il suo ingresso nella residenza presidenziale nella quale ha avuto un incontro con il capo dello Stato Barham Salih, di etnia curda.

Dai comunicati della Santa Sede, questo viaggio è descritto come “un dovere verso una terra martoriata” e, non a caso, le parole del Papa pronunciate nel suo primo discorso tenuto alla presenza del Governo Iracheno e delle autorità civili, sono state: “Tacciano le armi! Se ne limiti la diffusione, qui e ovunque! Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare, pregare in pace. Basta violenze, estremismi, fazioni, intolleranze!”. Un discorso forte, di impronta politica, da potersi quasi leggere come un’interferenza interna.

Papa Bergoglio ha concluso la sua prima giornata incontrando vescovi, sacerdoti e seminaristi nella Cattedrale di Nostra Signora della Salvezza, colpita il 31 Ottobre del 2010 nel corso di una messa da un attacco terroristico, il più grave avvenuto in Iraq contro la comunità cristiana. Le vittime furono 53 ed i feriti una sessantina. In questa giornata il Papa ha voluto tendere la mano al mondo musulmano e allertare sulla sorte dei cristiani in Medio Oriente.

In questa sua prima giornata il Santo Padre ha parlato con leader politici e religiosi. Avendo affrontato anche argomenti di natura politica, il suo intervento non si è limitato a temi di carattere unicamente spirituale. Ha chiesto che tutte le religioni abbiano gli stessi diritti, ha condannato la violenza e gli estremismi e ha insistito affinché una voce venga data anche ai più piccoli e ai più poveri.

E’ necessario – egli ha continuato – pensare al popolo, impegnarsi a far tacere le armi e limitarne la diffusione. Che cessino gli interessi particolari che scavalcano le persone e che si possa costruire la giustizia. Si è scagliato contro la corruzione e parlato di libertà, pluralismo e giovani. Ha sottolineato la necessità di rinforzare le istituzioni nazionali, portare stabilità al Paese e andare nella direzione di una politica sana che offra un futuro alle prossime generazioni. A seguito delle sue parole, il Papa ha mostrato di avere un forte interesse per l’Iraq, unito ad una grande simpatia per il suo popolo.

La giornata del 6 MarzoVolato verso Sud, il Pontefice inizia la sua giornata con un incontro a Najaf, la città santa degli sciiti, con il Grand’ Ayatollah Sayyd Ali Al-Sistani. L’uomo ha 90 anni ed è considerato il più importante e rispettato esponente religioso in Iraq. Il senso di questo colloquio può essere visto anche nella scia dell’Enciclica “Fratelli Tutti”.

Nato in Iran nella città di Mashad, egli ha compiuto i suoi studi nel celebre seminario religioso di Qom, il più importante centro di studi teologici sciiti insieme a quello di Najaf. Uomo di grande autorità morale e dimensione intellettuale, egli non ha mai esitato ad alzare la voce contro le derive estremiste del credo islamico. Vive in una piccola dimora in affitto a poca distanza dal mausoleo di Alì, importantissimo luogo di pellegrinaggio per i fedeli sciiti.

In questo luogo è sepolto Alì, cugino del Profeta e marito della sua unica figlia Fatima. Maometto lo avrebbe scelto come suo successore, ma venne scavalcato da Abu Bakr prima e da Omar poi. Ucciso il terzo Califfo Othman, egli fu infine scelto dalla comunità come suo successore. E’ da lui che si reclamano gli sciiti, che disconoscono i primi tre Califfi e lo ritengono essere l’unico legittimo. E’sulla successione di Maometto infatti che nasce la divisione tra sunniti e sciiti: in arabo il termine è quello di shi at Alì, la fazione di Alì.

A farla molto breve, gli sciiti sono meno aderenti alla lettera del Corano e alla tradizione. Lo sciismo si compone di diverse sette quali i Drusi, gli Ismailiti, gli Alawiti, i Duodecimani e gli Zaiditi. Identificano l’Imam, o gli Imam, con il Mahdi e si differenziano per un’interpretazione più o meno allegorica del Corano. Dal XVI secolo, la versione duodecimana che riconosce dodici Imam, è la religione nazionale dell’Iran.

L’Islam sciita, se così si può dire, è più vicino al Cristianesimo di quello sunnita. Il martire Hussein ricorda la figura del Cristo crocifisso. Vi è poi la figura del Santo come mediatore tra il mondo degli uomini e quello celeste, cosa che comporta l’idea dell’intercessione. Intorno alle tombe di coloro che reputano Santi, gli sciiti innalzano dei santuari. Agli occhi dei sunniti, tutto ciò rappresenta un’eresia totale.

Fatima, madre del proprio padre, non è come nella religione cristiana la madre del Dio incarnato ma è considerata come prossima alla Vergine Maria. Quando alla fine dei tempi ricomparirà il Dodicesimo Imam, o Imam Occulto, egli riapparirà insieme alla figura del Cristo per portare pace, unità e giustizia.

Va ricordato che nell’organizzazione dello Stato musulmano il Califfo, il cui significato del termine è successore, era il capo dei credenti e al vertice della gerarchia. L’Islam non ha un clero: al suo posto, invece, delle guide religiose il cui compito è quello di interpretare la legge coranica e vegliare sulla sua corretta applicazione.

Nella comunità islamica gli sciiti corrispondono circa al 10%. La maggior parte di loro si trova in Iran, Iraq, Azerbaijan e Bahrain. In Libano e Yemen costituiscono un’importante minoranza.

Nel mondo sciita per ottenere il titolo di Hojatoleslam servono sei anni di studi in un seminario religioso. Per diventare Ayatollah ne servono altri 32 al fine di specializzarsi nelle otto discipline necessarie. Trascorsi questi 38 anni, si deve poi riunire una commissione di religiosi e in caso di approvazione si accede al titolo di Ayatollah. Il Grand’Ayatollah viene nominato dai suoi pari.

Tornando all’incontro tra il Papa ed al-Sistani, è necessario sottolineare come siano due leader religiosi che hanno a cuore l’umanità e sognano di un mondo fatto di fratelli. Ad esprimere questo senso di profonda unità venivano fatte circolare in coincidenza dell’arrivo del Pontefice locandine con scritto “Voi siete una parte di noi e noi parte di voi”. Si è trattato di un incontro a porte chiuse della durata di circa 45 minuti nel quale l’anziano Grand’Ayatollah ha fatto importanti dichiarazioni sulla presenza dei cristiani in terra irachena e sul loro diritto alla cittadinanza.

Sarebbe d’uopo sottolineare che nel corso della sua funzione di alto esponente religioso egli non ha mai ricevuto in visita un capo di Stato e non si era mai alzato di fronte a qualcuno. Col Papa lo ha fatto. Al-Sistani in precedenza non aveva mai accettato di incontrare esponenti americani e tra i diplomatici ebbe solo due incontri con i rappresentanti speciali delle Nazioni Unite. Gioca un ruolo importante nel processo di ricostruzione dello Stato iracheno.

Va ricordato che oltre ad essere considerato la massima autorità dell’Islam sciita, egli è il venerato esponente di quella corrente pietista che separa l’autorità religiosa da quella politica. Egli si concentra sull’attesa del ritorno del Mahdi ed è lontano dalla corrente militante legata alla politica così come espressa in Iran da Khomeini attraverso la sua dottrina del Velayat e-faqih che comporta l’assunzione diretta del controllo dello Stato da parte dell’autorità religiosa.

Al-Sistani ha voluto portare ai fedeli cristiani un messaggio di speranza sottolineando il suo impegno a che siano protetti e possano vivere in Iraq. Questo sottolinea l’importanza del dialogo religioso in quanto sono tutti figli di Abramo. Come il Pontefice, egli aspira alla costruzione di una società armonica, giusta ed unita. Tra i risultati di questo incontro, quello di aver respinto e minato gli integralismi. E’ lecito ricordare che di fronte all’attacco dell’Isis, l’anziano ayatollah si appellò alla popolazione invitandola ad unirsi per combattere e respingere il nemico comune.

Atteso e dovuto, l’incontro è stato un gesto importante e coraggioso che mostra riguardo verso il mondo islamico e dà supporto alle comunità cristiane che in Medio Oriente hanno una storia molto antica. Erano infatti presenti nella regione secoli prima dell’arrivo dell’Islam.

Il Papa ha fatto successivamente sapere di aver riconosciuto nella figura dell’anziano religioso elementi di santità. E’ un’affermazione importante che avrà un eco anche al di là delle frontiere dell’Iraq. Non potrà non piacere a Washington e segna una distanza dal regime della Repubblica Islamica dell’Iran. Anche il governo di Baghdad deve averne tratto piacere, visti i suoi rapporti non del tutto distesi con Tehran.

Successivamente, come simbolo di questa solidarietà il Pontefice si è recato a Ur dei Caldei, casa di Abramo padre delle tre religioni monoteiste, per una messa celebrata con il rito orientale. Qui si sono letti passi della Bibbia e del Corano e tra gli astanti vi erano anche degli Yazidi, minoranza perseguitata da secoli che, come quella cristiana, è stata particolarmente presa di mira dall’Isis.

Alcune parole su di un lontano passato:   Per meglio comprendere l’importanza simbolica di questo incontro è necessario un breve salto nel passato.

A seguito della cacciata dall’Eden da parte dell’Angelo di Dio, Adamo ed Eva si avviarono verso il sentiero dell’esilio. Ebbero poi due figli: Caino ed Abele. Dopo aver ucciso suo fratello, Caino fuggì e dei suoi discendenti l’unico a meritare la benevolenza del Signore fu Noè.

Tale fu la malvagità degli uomini che Dio decise di sterminarli tutti salvo uno, Noè, al quale ordinò di costruire un’Arca. Al suo interno fece poi entrare tutta la sua famiglia ed una coppia di ogni specie animale. Seguirono quaranta giorni e quaranta notti di diluvio, finché al 150° giorno le acque iniziarono a ritirarsi. Morto in età molto avanzata, Noè ebbe il tempo di lasciare tre figli: Sem, Cam e Jafet.

Dio punì nuovamente l’orgoglio degli uomini confondendo loro le lingue e fermando l’impresa della costruzione della Torre di Babele. Costrinse poi gli uomini a spargersi per il mondo. Questi si allontanarono da Dio e praticarono l’idolatria ed il peccato, tutti con una sola eccezione: quella di Abramo, discendente di Sem.

Egli viveva nella città di Ur ed un giorno Dio lo chiamò. Gli disse di abbandonare la sua terra per recarsi in un luogo che gli avrebbe indicato. Abramo si fermerà nella terra di Canaan iniziando così il percorso dell’Antico Testamento, patto stretto tra Dio ed il popolo di Israele. Da qui, le radici di quel Nuovo Testamento che narra le vicende di Gesù, venuto per salvare gli uomini. L’incontro di Maometto con l’Arcangelo Gabriele porterà secoli dopo alla rivelazione del Corano.

La sosta ad Ur:   Nella piana di Ninive il Papa si è fermato nell’antica città sumera di Ur, patria di Abramo per celebrare una messa secondo il rito orientale.

Ha poi tenuto un discorso sulla tolleranza e lanciato un appello alla pace e alla fraternità. Ha sottolineato l’importanza del dialogo tra le religioni, indicando che le sue parole non si limitavano unicamente alla famiglia cristiana. Questo di Ur è stato forse il momento di maggior contenuto spirituale della sua visita, nella quale ha incoraggiato cristiani, ebrei, musulmani ed altri a restare uniti e volgere tutti insieme lo sguardo nella stessa direzione. Ha poi avuto parole di condanna per la violenza degli estremismi religiosi e ha chiesto alla comunità internazionale di opporvisi. Numerose le allusioni ad Abramo.

Si è potuto notare che in questa celebrazione interreligiosa non fosse presente nessun ebreo. Nel passato vi era una numerosa comunità israelita che però in vari momenti fu spinta a lasciare l’Iraq. Il primo episodio avvenne nel corso del secondo conflitto mondiale prima che Baghdad venisse ripresa dagli inglesi. Altri furono il risultato della nascita dello Stato di Israele e delle successive guerre arabo-israeliane. Particolarmente ostile alla comunità ebraica si mostrò il regime baathista. Di questa nel paese oggi non restano che pochi anziani sparsi in qualche luogo.

Al suo ritorno a Baghdad, Bergoglio ha prima celebrato la Messa nella Cattedrale di San Giuseppe e poi presieduto ad una celebrazione in rito caldeo.

La terza giornata:   La Domenica del 7 Marzo, Papa Bergoglio scende ad Erbil, capitale del Kurdistan iracheno. Si tratta di una delle città abitate con continuità più antiche del mondo. Oggi vi vivono circa un milione e mezzo di persone, di etnie e religioni diverse. Nel mese di Febbraio è stata colpita da un attacco missilistico che ha fatto due morti e otto feriti.

Da questa città il Papa si è successivamente recato a Mosul, dove ha pregato per le vittime della guerra. Di questa città, si diceva una volta che i minareti parlavano con i campanili.

Questa antica città è un importante centro sunnita che i jihadisti dell’Isis avevano occupato nell’Agosto del 2014 ed eretto a capitale del Califfato. Tra le rovine del centro storico, le cui ferite sono tutt’ora ben visibili, il Papa ha reso omaggio alle vittime della guerra e alla comunità cristiana locale, che fino al 2003 contava sulle 45 mila persone. Oggi di queste ne sono rimaste solo poche decine.

Per Mosul si è trattato di una grave perdita e molte delle vittime hanno subito trattamenti barbari. Va aggiunto che i tre anni di occupazione dell’Isis ne hanno devastato e profanato le chiese. Il Papa è venuto oggi ad infondere coraggio a questi pochi cristiani rimasti nella speranza che quest’angolo del Paese ne possa conservare una presenza.

Sul ritorno di questa comunità resta tutt’ora un punto interrogativo. Con l’arrivo degli uomini del Califfato i cristiani hanno infatti preferito abbandonare tutto per recarsi altrove. Alcuni si sono trasferiti all’estero, altri hanno trovato rifugio in diverse parti del paese ed un più gran numero si è spostato in direzione del Kurdistan iracheno per sistemarsi ad Erbil o nelle sue vicinanze. Per il momento a tornare sembrano essere in pochi.

Anche in questa occasione il Pontefice ha voluto esprimere un messaggio di fede e di speranza chiedendo ai presenti di aver fiducia in Dio quale portatore di pace. Ha condannato la violenza del terrorismo e avuto parole severe per chi strumentalizza la religione. Ha poi parlato del torto fatto a Mosul e all’intera società irachena.

La visita a QaraqoshLasciata Mosul, il Papa è volato in elicottero a Qaraqosh, citta assira nel Nord del paese. Vicina alle rovine di Nimrud e Ninive, è oggi un centro di 35 mila abitanti distante 32 chilometri da Mosul e 60 da Erbil. Il 6 Agosto del 2014 è stata abbandonata dalle truppe curde che la difendevano ed il giorno successivo occupata dalle milizie dell’Isis. E’stata liberata il 19 Ottobre 2016 nel contesto della battaglia di Mosul.

Tra le rovine dell’antico centro storico, si è recato nella Chiesa dell’Immacolata Concezione distrutta del 2014 dalle bande dell’Isis. Sulla cupola, per dargli il benvenuto, è stata posta una statua della Vergine. Al suo interno, recentemente restaurato, ha celebrato una messa ed avuto un incontro con un gruppo di fedeli.

Questa città è stata duramente colpita quando gli uomini del Califfato l’avevano presa  d’assalto ed espugnata. La ricostruzione è oggi in corso e già vi è rientrata poco più della metà originaria dei suoi abitanti. Si tratta di poco meno di 25 mila persone alle quali il Santo Padre ha voluto lanciare un messaggio di speranza. Benché le sue parole avessero una portata universale, i fedeli del posto hanno potuto capire che anche a loro era dedicato il terzo giorno della sua visita in Iraq.

Nella sua omelia, il Pontefice ha espresso l’augurio di una rinascita dell’Iraq, facendo poi appello alla tolleranza e al mutuo rispetto tra le genti e le fedi. Ha esortato a trovare la capacità di perdonare, il coraggio di lottare affermando che sarà Dio a portare la pace in terra. Ha poi espresso parole di condanna sia per il fanatismo che per l’estremismo religioso, entrambi causa di molti lutti e devastazioni. Si è opposto alla strumentalizzazione della religione e incoraggiato la rinascita della città così pesantemente colpita dalle orde del Califfato.

Questa visita è stata caratterizzata da un episodio particolare: la restituzione del Sidra, il “libro profugo”, ovvero un manoscritto liturgico databile tra il XIV e il XV secolo e scampato alla furia devastatrice dell’Isis. Trasportato in Italia, è stato poi restaurato con un paziente lavoro durato 10 mesi. Stilato in caratteri siriaci, quest’opera manoscritta raccoglie le preghiere liturgiche in aramaico da recitare tra la festa della Pasqua e quella della Santa Croce.

L’antico testo si è salvato grazie alla previdenza di alcuni sacerdoti: poco prima della fuga dalla città sotto la spinta dell’assalto dei terroristi dell’Isis, questi lo nascosero murandolo insieme ad altri antichi testi in un sottoscala. Il libro nel corso della visita papale è stato restituito al vescovo Yohanna Boutros Mouche per la recita dell’Angelus nella cattedrale dell’Immacolata Concezione.

Come al suo arrivo, anche alla sua partenza il Papa è stato acclamato dalla folla.

Il ritorno ad Erbil:   Lasciatosi alle spalle il centro di Qaraqosh, il Pontefice si è diretto nuovamente ad Erbil dove ha celebrato la messa nel più grande stadio della città. Questo luogo all’aperto era stato scelto per consentire a un maggior numero di fedeli di accoglierlo ed assistere alla celebrazione. Già all’esterno del complesso molte persone si erano radunate in un clima di gioia per acclamarlo festosamente.

In questi ultimi anni Erbil è diventato un luogo di rifugio per molti cristiani provenienti dalla piana di Ninive che, sotto la spinta delle milizie jihadiste, hanno dovuto abbandonare in fretta le loro dimore ed i loro averi. Di questi poi un gran numero ha deciso di restare, in quanto si sentiva più libero e al sicuro.

Questa è stata per il Papa l’occasione di sentirsi più vicino alla popolazione. Benché lo stadio potesse ospitare fino a 25 mila persone, per motivi di sicurezza e soprattutto per le restrizioni imposte dal Coronavirus, i presenti erano intorno ai 10 mila. Si è trattato del più grande evento pubblico nel corso dei suoi tre giorni di permanenza in Iraq.

Anche in questa occasione il Pontefice si è appellato alla pace e al dialogo tra le religioni. Ha esortato a perdonare e al coraggio di lottare benché conscio delle molte difficoltà. Ha incoraggiato il dialogo nel rispetto delle differenze e chiesto di coltivare i sogni ed avere speranza.

Considerazioni finali:  Era da tempo che il Papa desiderava recarsi in Iraq e questa visita, unica nel suo genere in un Paese così profondamente lacerato, sarà ricordata come il primo viaggio di un Pontefice in questa nazione anticamente nota come Mesopotamia. La visita ha significato il ritorno della Chiesa cristiana in quest’area considerata dalle tre grandi religioni monoteiste come culla della fede.

Il Pontefice vi ha voluto portare un messaggio di pace, tolleranza e di speranza, oltre che far vedere ai cristiani della regione che non sono stati abbandonati. Si è trattato  inoltre di un importantissimo passo avanti in quel grande dialogo interreligioso che da alcuni anni vede coinvolti ebrei, cristiani e musulmani.

Questo viaggio ha avuto un eco internazionale e tra i suoi successi anche quello di aver portato un messaggio di pace, amore e speranza in zone considerate tutt’ora come pericolose. Il Santo Padre ha voluto dargli uno scopo più vasto non essendovi unicamente giunto come il difensore di una piccola comunità perseguitata, ma anche e soprattutto l’iniziatore di un dialogo con le autorità politiche, civili e religiose del Paese. Con le sue denunce si è schierato dalla parte dei deboli, dei giovani e delle generazioni future. Si è trattato di un viaggio coraggioso in un Paese ferito, insicuro e ancora percorso da milizie armate.

Se era importante per l’anziano Papa compierlo, lo stesso può dirsi per l’Iraq. Papa Francesco non solo è un personaggio di massimo rilievo, ma al contrario di altri uomini di Stato la sua visita è stata la prima che non si è limitata ad un mero passaggio nella Zona Verde di Baghdad. La sua parola, la natura degli incontri e la portata di questo viaggio hanno fatto sì che raramente gli iracheni siano stati così uniti e contenti, al punto che in molti hanno espresso l’augurio che questa visita possa essere foriera di luce, cambiamento e giorni più felici.

Edoardo Alagià

 

Nota:  I cristiani dell’Iraq sono considerati una delle più antiche comunità presenti continuativamente in un paese. In stragrande maggioranza fanno parte dei popoli orientali di lingua aramaica, discendenti dalle antiche comunità assire della Mesopotamia. Vi si trova anche una piccola comunità di armeni e un esiguo numero di curdi, arabi e turcomanni cristiani.

 In Iraq nel 2003, la comunità cristiana contava circa 1.500.000 di persone, poco più del 6% della popolazione, in calo rispetto al 12% del 1947. A distanza di 40 anni sono stati contati oltre 1,4 milioni di cristiani, ovvero l’8% degli abitanti. Dopo le guerre del 1991 e del 2003 e i successivi scontri tra milizie, esercito regolare e l’autoproclamato Stato Islamico, è stato stimato che nel 2013 il numero dei cristiani sia sceso fino a 450.000.

 Gli attacchi e le occupazioni dell’Isis nel corso del 2014 hanno fatto il resto, massacrando migliaia di persone e costringendo alla fuga decine di migliaia di famiglie. Ancora oggi sulla rotta dei migranti che passa dai Balcani si incontrano gruppi di iracheni che cercano di raggiungere parenti emigrati in Europa. I cristiani rimasti in Iraq sono oggi intorno ai 200 mila, la maggior parte assiri riuniti nella Chiesa cattolica caldea. Accanto a loro, gruppi di siro-cattolici, greco-cattolici e comunità di rito latino.

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