L’articolo è un estratto di un intervento più ampio pubblicato sul numero 4.078 di “La Civiltà Cattolica”

La nostra civiltà tecnologica è attraversata da tensioni e segnata da un’acuta ambivalenza. È capace di produrre incredibili progressi nell’intelligenza artificiale, che consentono di fare diagnosi impressionanti e di curare malattie, o di far circolare veicoli senza guidatore e generare energie pulite; ma al tempo stesso è incapace di evitare la morte, per malnutrizione o per malattie curabili, di migliaia di bambini al giorno, o di impedire che milioni di rifugiati vivano in condizioni subumane.

Raggiungiamo conquiste incredibili, ma non sappiamo, o non vogliamo sapere, come risolvere questioni fondamentali in cui è messa in gioco la dignità umana. Siamo testimoni diretti di un’epoca storica nella quale nessuno può prevedere l’ampiezza e la profondità dei cambiamenti economici, politici o sociali, le alterazioni nelle abitudini di consumo o come verranno toccate la privacy e la (ciber)sicurezza, o ancora il modo in cui noi esseri
umani ci metteremo in relazione con noi stessi o con le altre persone. È messa in questione la stessa identità umana, poiché l’odierna accelerazione della scienza e della tecnologia in settori come la genetica, le neuroscienze o l’intelligenza artificiale induce a parlare dell’avvento del ‘postumanesimo’, con le sue promesse di trasformare le capacità fisiche e intellettuali degli esseri umani, o di incrementare esponenzialmente le capacità di certi organi, come l’occhio o l’orecchio bionici.

È una rivoluzione totale, che eserciterà i suoi influssi non soltanto sul controllo sociale, attraverso i big data, o sul futuro del lavoro, ma anche sul modo di essere umani. E se non ci arriviamo con l’immaginazione, non per questo crederemo che si tratti di fantascienza. La domanda dell’etica è quella che cerca di conciliare il bene con la libertà, chiedendosi se ciò che possiamo fare (sotto il profilo fisico o psicologico) lo dobbiamo fare effettivamente. Per alcuni, il fatto stesso di azzardarsi a frenare il progresso tecnico-scientifico è un affronto; per altri, esso significa rispettare la razionalità e la libertà che in definitiva ci definiscono come esseri umani. La nostra tesi è che il criterio del bene comune fornisce strumenti per affrontare molte delle sfide che ci preoccupano, e previene una concezione strumentale che vede la forza del progresso tecno-scientifico come un dato incontestabile e la giudica neutrale. (…)

Le incredibili possibilità dischiuse dalla comunicazione digitale non sempre si traducono in partecipazione reale. In effetti non basta circolare per le ‘strade’ digitali, vale a dire essere connessi: è necessario che alla connessione si accompagni un vero incontro, e questo richiede tempo, disposizione e capacità di ascolto. Il mero fatto di essere
interconnessi non risolve, di per sé, la sfida della comunicazione, che resta «una conquista più umana che tecnologica».

Papa Francesco invita a costruire una cultura dell’incontro, richiedendo nuove e buone pratiche di uso dei mezzi tecnologici e di coltivazione delle relazioni; rivendicando un’istruzione che non formi soltanto alla perizia tecnoscientifica, bensì a valori, abilità attitudinali e a ideali umanistici, nonché a capacità e dinamismi incessanti di apprendimento continuo.

Nella cultura dell’incontro l’istruzione acquista un ruolo preminente. Per mettersi sulla via della prosperità inclusiva (sviluppo sostenibile senza scarti) è necessario un dialogo profondo tra leader dell’impresa e della politica, rappresentanti dei lavoratori e dei vari gruppi della società civile, educatori, ricercatori e pensatori di diverse aree, che permetta di sviluppare nuovi modelli di organizzazione e metta a fuoco prospettive per elevare la produttività, generando ricchezza, creando opportunità per la vasta base sociale, senza lasciare ai margini gli esclusi.

Ci dev’essere un dialogo plurale quanto alle visioni, alle prospettive e alle discipline, perché la realtà è interconnessa e, se non vi accediamo da prospettive e fronti diversi, finiamo con il mascherare i problemi (cfr Laudato si’ 111). Invece di aspettare passivamente che sia la realtà a obbligarci, dobbiamo prendere l’iniziativa, metterci alla sua guida in un atteggiamento attivo e di servizio, adempiendo con questo spirito l’obbligo improcrastinabile di riflettere sul futuro, non per arrestare il progresso scientifico e tecnologico, ma per ‘discernere’ da essere umani questi scenari nuovi e sconosciuti.

Se Benedetto XVI afferma che «la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica» (Caritas in veritate 75), Francesco sostiene che «non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia» (Laudato si’ 118). Per stabilire i valori etici necessari allo sviluppo delle persone e della società è necessaria un’adeguata antropologia che dia la base per comprendere le relazioni tra gli esseri umani, e tra questi e la tecnologia, e tra questi e le altre creature. In
effetti, questo contributo di approfondimento dovrebbe essere un apporto essenziale dell’’ecologia integrale’ all’Agenda 2030: può darle il taglio di un itinerario antropologico capace di addentrarsi nei terreni di un umanesimo integrale, all’altezza del XXI secolo.

La domanda antropologica ben formulata non è né settaria né colonizzatrice, e nemmeno carente di impegno per la giustizia sociale. Non ha senso veicolarla attraverso i rimpianti per una natura umana astratta e statica che non esiste e, qualora lo fosse, non sarebbe condivisibile. Qualsiasi indagine antropologica dev’essere rispettosa della diversità culturale, anche se nessuna apologia del multiculturalismo dovrebbe togliere la possibilità di dire qualcosa di
valido per tutti gli esseri umani. La domanda antropologica è quella che, nell’interrogarsi sul mondo che vogliamo lasciare alle generazioni future, manifesta la consapevolezza di trovarsi al livello del significato dell’esistenza e dei valori (cfr Laudato si’ 160).

Non saranno pensabili né fattibili un cambiamento del modello dello sviluppo globale e una ridefinizione del progresso-crescita, se non si approfondisce la comprensione dell’essere umano, sia quanto a ciò che lo fa crescere in umanità e in libertà, sia quanto a ciò che glielo impedisce. E approfondire significa superare le ideologizzazioni, le
mode politicamente corrette e i vari pregiudizi. Qui occorre chiarire che l’antropologia cristiana, quando parla di ‘persona’, si riferisce «sia alla irriducibile identità e interiorità che costituiscono il singolo individuo, sia al rapporto fondamentale con gli altri che è alla base della comunità umana» (Commissione teologica internazionale, Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio, luglio 2014). In tal senso, il bene della persona e quello della comunità non vanno intesi come princìpi contrapposti o che obbediscono a logiche separabili, ma come
obiettivi convergenti dell’impegno etico e dello sviluppo umano.

Il racconto biblico delle origini dell’essere umano stabilisce per la persona tre tipi di relazione che ne esprimono la dignità: la relazione con Dio, che è l’autore della sua dignità; la relazione con le altre persone, come fratelli e sorelle; e la relazione con il ‘giardino’, la terra, in quanto suo ambiente familiare. La persona è un essere-in-relazione, e per essa la giustizia consiste nel vivere nel rispetto delle esigenze che derivano dai suoi rapporti costitutivi, mentre l’ingiustizia coincide con la mancanza di rispetto e la rottura delle esigenze di quelle relazioni fondamentali. È la riconciliazione, una delle grandi missioni che ci attendono e di cui il bene comune costituisce l’orizzonte. Possiamo
ripensare, nel contesto della dottrina sociale cattolica, al significato della tecnologia, del lavoro, della comunicazione, dell’economia e della politica secondo i nuovi parametri del mondo, entro cui devono farsi reali il rispetto e la promozione della dignità umana nel concreto e nella dinamicità dell’esistenza.

Sotto la guida dello Spirito, la Chiesa interpreta «l’esperienza umana alla luce del Vangelo», e in questo processo di apertura alla realtà può condividere con l’intera società la sapienza accumulata nel corso del tempo sulla categoria del bene comune e promuovere con umiltà e verità quegli atteggiamenti spirituali che sono condizioni pre-politiche per illuminarlo e impegnarsi in esso.

Julio L. Martínez

Rettore della Pontificia Università Comilla

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