Il Giubileo mette l’Italia, per un anno, sotto gli occhi del mondo regalando a tutti la possibilità di fare un’“esperienza di futuro“; nello stesso intervallo di tempo Roma assurge a centro della comunicazione oltre che del cattolicesimo, assurgendo a capitale universale. Ecco perché l’Anno santo rappresenta un momento privilegiato per osservare storia e destino della città eterna. Solo in questo contesto possiamo cogliere la sostenibilità di aver ingaggiato una campagna di restauri e innovazioni costruttive, proiettandoci nel futuro.
Certo questi eventi non hanno goduto di un battage comunicativo capace di accompagnare i cittadini su quanto Roma avesse bisogno di interventi; ma da oltre duemila anni anni essa racconta una dinamica architettonica senza
precedenti, sempre implementando la geografia artistica e quella urbanistica. Retrospettivamente, sembra sconcertante che tutto si potesse fermare per dolorosi ma congiunturali danni soprattutto alla mobilità: avrebbe significato pretendere che una città come questa sia solo dei romani di oggi. Ma il rozzo tentativo di “sequestro privato” di un giacimento di significati si porrebbe come un attentato all’identità e alla cultura di Roma.
Lo stesso sentimento occorre difendere e nutrire nei confronti dei Romei, quei pellegrini che, in particolare dal 1300, considerano una meta di arrivo, talvolta anche esistenziale, la tomba di Pietro e le fantastiche costruzioni fondative del cattolicesimo. È il segno di un’appartenenza che trasforma questi cittadini del mondo in veri e propri “romani vocazionali”. Certo, la preparazione non è stata adeguatamente assistita dall’informazione, spesso vittima di un
tendenziale attacco alle istituzioni di cui l’Italia del giornalismo sembra ingorda. Ora però, siamo al giro di pagina, che aiuta a ricordare che Roma è sempre cambiata con i Giubilei; basta alzare gli occhi per rendersene conto.
L’opinione pubblica, inevitabilmente appiattita sull’oggi, si interroghi su cosa avrebbe significato difendere lo status
quo, e sulla miopia di quanti prima dei lavori consideravano soddisfacente la vita quotidiana di una metropoli non sottoposta a correzioni e costruzioni nuove. Una mitica frase di Goethe, portatrice di un’anticipazione culturale dell’idea di Europa, ci ricorda che essa “si è costituita pellegrinando”. È come se questo motto parlasse anche di Roma. Diventa possibile, così, individuare nei molti cantieri stradali che in questi mesi hanno “rivoluzionato” i percorsi degli uomini di oggi, afflitti dalla frenesia e dall’urgenza del presente, le linee di una più profonda e distesa
“viabilità dello spirito”, quasi per avvicinarci a una visione verticale in grado di prescindere dal tempo. Se ne può fare esperienza soprattutto nei luoghi prossimi a San Pietro, a partire dai sottopassi rinnovati che accompagnano il moderno viandante, quasi allegoricamente, a scendere sotto il livello stradale e poi risalire verso la luce e la bellezza, vivendo l’assoluta intensità di un luogo sacro ancora capace di convocare a sé gli uomini.
Siamo di fronte al fenomeno descritto da una memorabile pagina di uno scrittore-viandante come Henry James: nella sua fastosa scrittura, la basilica di San Pietro “non ha rivali; anche per il profano costituzionale funziona; poche grandi opere d’arte hanno tenuto vivi più a lungo la curiosità e l’incessante interesse per la trascendenza”. Ma c’è di più. I rivoluzionari storici francesi degli Annali, meno miopi dei comunicatori di oggi perché educati alla “lunga
durata”, ci consegnano una frase lapidaria che definisce l’essenza immateriale e profonda di Roma: “Per essere, bisogna essere stati”. Mai una citazione poteva meglio descrivere una città che si offre al futuro, anche oltre l’anno
giubilare, più attrezzata a vivere le interazioni urbane in una dimensione aperta al nuovo, alla valorizzazione dell’antico e allo spirito del tempo che verrà.
Certo, serve pazienza per tornare alla “normalità” rispetto agli eventi straordinari; ma solo per un attimo pensiamo a quante volte abbiamo detto, di fronte a emergenze tipo Covid, e per archiviarne l’angoscia per il nostro cuore, “niente sarà più come prima”. Ebbene questa frase, per una volta, può essere pronunciata in positivo. E nel flusso di una vicenda più grande dei singoli tasselli, il segno è quello di un cammino che ha come suo orizzonte la storia irripetibile
di Roma.
Massimo Morcellini
Pubblicato su Formiche