Affidandosi a un’iperbole, si potrebbe dire che Ernesto Maria Ruffini, intervenendo a Milano all’incontro dei cattolici nel Pd, ha seguito l’arte di Michelangelo di togliere il superfluo del marmo per farne emergere ciò che il genio del Rinascimento vi intravedeva all’interno (CLICCA QUI) . E così, ha esordito con un discreto elenco di temi che non intendeva affrontare, quali quello del partito, della formazione di una corrente in un partito o del ritagliarsi una posizione “sotto l’insegna della religione cattolica”.

Quello del “partito cattolico”, o dei cattolici che si fanno corrente da qualche altra parte, è davvero un grosso petardo. Sapientemente fatto deflagrare ogni volta che si accende il dibattito in materia perché il termine, politicamente parlando, rischia di rimanere vago e, persino, deviante. Implicitamente, lo disse Benedetto Croce, riferendosi a tutti gli italiani, con il suo “perché non possiamo non definirci cristiani”. Direttamente, lo spiegò don Luigi Sturzo, e lo ha ricordato anche Ruffini, con la distinzione tra la politica, il cui presupposto è la scelta di “parte”, e la dimensione universalistica della fede cristiana.

E così Ruffini si è mosso sulle stesse orme per evitare le tante mine depositate da accorte menti e mani esperte sempre impegnate ad ostacolare, se non addirittura ad impedire, la possibilità di costruire un’alternativa al sistema bipolare la cui base di partenza sia costituito dal ritorno alla solidarietà e all’inclusione. Spesso, invece, questa ipotesi di alternativa è derubricata alla formazione di un “partito cattolico”, o “dei vescovi” come fu definita la nostra entrata in scena tanti anni fa.

A Ruffini è sembrato opportuno evitare anche la trappola dell’idea della creazione di un Centro concepito come “uno spazio geometrico astratto”: la riduzione di un progetto che dovrebbe, invece, essere indirizzato alla ricomposizione di un’area “centrale” da cui si possa partire per il superamento dell’attuale sistema politico, tra l’altro largamente minoritario nel Paese, e oramai del tutto deteriorato.

L’ex Direttore dell’Agenzia delle Entrate è andato a Milano, sulla base di una lodevole predisposizione a dialogare con tutti, dove c’erano quelli che, con molta probabilità, stanno registrato la determinazione di Elly Schein a sostituire molta classe dirigente in servizio effettivo assieme a quanti, già finiti senza ruolo da tempo, lamentano una “freddezza” nei loro confronti e una mancanza di spazio. Tutti, senza trarne le dovute conseguenze, come invece altri hanno fatto nel frattempo. E per tutti resta la domanda del che fare?

Del resto, la linea della Segretaria PD è chiara. Nel quadro del bipolarismo, i democratici accettano pienamente la logica di un’alternanza che, per il sistema elettorale in corso, non esclude affatto loro la possibilità del ritorno al governo, cosa che potrebbe diventare certezza, anche la prossima volta. Nel quadro, pure, di un ricambio della classe dirigente: perseguito in maniera soft con l’invio in Europa di personaggi come Zingaretti,  Bonaccini e De Caro o portando alle dimissioni di Andrea Orlando più interessato ad occuparsi delle cose liguri, dopo che ha molto di cui lamentarsi con il proprio partito per come sono andate le recenti elezioni regionali.

E , allora, non si vede perché questa logica non dovrebbe riguardare altri che, indipendentemente dal loro valore personale, sono immediatamente identificati con vecchie vicende e personaggi di una stagione che per la Segretaria Dem è da considerarsi del tutto superata.

Certo, di questo pagano le conseguenza il pluralismo interno e la possibilità del centrosinistra di essere scritto senza un trattino in mezzo e, quindi, nelle condizioni di offrire una ben più ampia ricchezza di posizioni. Come ben stanno sperimentando, non solo i provenienti dal Partito Popolare, ma anche altri dei partecipanti fin dai tempi della Margherita. Quelli insomma che si sono riuniti ad Orvieto, in contemporanea a Milano.

Alla fine, paga le conseguenze anche la possibilità di un dialogo con quell’elettorato fatto di cattolici e non che infoltiscono l’astensionisno. Segno evidente di un malessere che riguarda Giorgia Meloni e i suoi, ma che altri, allo stesso tempo, e con lo stesso atteggiamento, non coltivano e non curano.

Si può dire che dopo, l’appuntamento di Milano, e l’emergere di una certa irritazione di Elly Schlein per l’iniziativa, si arricchisce di incognite, dunque, la cosiddetta questione del cattolici in politica. Ma potrebbe anche diventare, invece, più spumeggiante e spendibile. Ovviamente, parliamo di quei cattolici che, politicamente parlando, lasciano un’impronta popolare e solidale, di quelli che intendono l’impegno pubblico come un servizio all’intera società, senza alcuna velleità integralista e coniugando la difesa dei propri principi di riferimento con lo spirito di coalizione.

In questo contesto, con l’intervento di Milano, Ruffini si è in qualche modo ripreso la possibilità di ripartire lungo il percorso da lui avviato con le dimissioni dalla guida dell’Agenzia delle Entrate in evidente polemica con il Governo Meloni. Ed ha chiaramente fatto capire cosa pensi del tentativo evidente di ingabbiarlo in logiche superate e destinate solo a risolvere un problema che pure esiste, quale quello affrontato dai cattolici del PD, ma che appare francamente rétro.

La lettura della sua figura di “federatore”, infatti, è stata subito indirizzata da alcuni su questa china riduttiva, scivolosa e sostanzialmente del tutto irrilevante a fronte dei grandi temi del Paese. Quelli, sì, che meritano impegno e determinazione. Ma anche ciò che noi continuiamo, ostinatamente, a chiamare piena “autonomia”. E cioè volontà e capacità di indicare agli italiani un impegno di trasformazione destinato a prendere le prime fondamentali mosse dal sistema politico istituzionale e dei metodi che i partiti presenti in Parlamento, tutti i partiti!, ci offrono, in modo abbastanza desolante. Sulla base di una ricchezza di un pensiero, non di una ideologia, che in questi trent’anni è stato messo all’angolo perché parla di solidarismo, sussidiarietà e Giustizia sociale.

E’ vero che fino a quando persisterà questa Legge elettorale ogni forza politica “nuova” incontrerà grandi difficoltà. Ma recenti esperienze, quali quelle della Lega, dei 5 Stelle e di Fratelli d’Italia smentiscono in parte il postulato secondo cui, oggi, non possa nascere niente di nuovo e si sia tutti costretti  a schierarci pregiudizialmente o nella destra o nella sinistra.

E’ su questo sfondo che va affrontata la questione del “partito” che definisce l’unica postura riconoscibile per chi vuole partecipare attivamente alla lotta politica. Ed è per questo che abbiamo partecipato alla nascita di INSIEME, partito d’ispirazione cristiana, ma laico e convinto che la questione centrale di oggi sia quella di battersi per una “trasformazione” più che inseguire le vecchie parole d’ordine di un generico riformismo.

Certo, i partiti oggi non possono essere costruiti secondo antichi modelli. Nuove forme sono richieste a livello di presenza e di organizzazione. E questa è, forse, la vera sfida che quelli interessati al superamento dell’attuale sistema devono affrontare riconoscendo che le condizioni complessive del Paese, e lo stato comatoso delle attuali forze politiche, pongono il problema del “come” e non del “se” di una organizzata e autonoma discesa in campo.

Giancarlo Infante

 

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