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Salvini “defensor fidei”? – di Domenico Galbiati

Il passo dai rosari – esibiti in piazza a coronamento dei propri comizi da leader “sovranista” e tutore dei sacri confini della Patria minacciati dalle orde fameliche dei migranti che malamente sopravvivono al brigantaggio degli scafisti e alla furia del mare – al proficuo colloquio con il responsabile vaticano per i rapporti nientemeno che con gli Stati, non è certo cosa da poco per Salvini.

A maggior ragione a tre settimane da un voto sì amministrativo, ma inevitabilmente di grande rilievo politico per almeno tre motivi uno più importante dell’altro: la particolarità del momento che il nostro Paese sta vivendo, cosicché il Capo del Governo ogni giorno deve affrontare tematiche spesso rese effettivamente “scottanti”, in particolare dai dissensi dello stesso partito di Salvini ; il fatto che, con una miriade di comuni grandi e piccoli, votino Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna e la Regione Calabria, cioè ambiti territoriali che rappresentano i luoghi più sensibili ed emblematici della politica italiana; il fatto che le amministrative del prossimo mese sono l’ultimo banco di prova che le forze politiche rappresentate in Parlamento affrontano prima di tuffarsi nel girone infernale dell’elezione del nuovo inquilino del Quirinale.

Nessuno potrà stupirsi e men che meno lamentarsi se importanti fasce di elettorato cattolico – e non solo quello più tradizionalista – dovessero interpretare questa piega degli eventi se non come uno sdoganamento del voto dei credenti verso la desta, quale un sia pur generico e sicuramente mal interpretato “placet”. Del resto, le agenzie parlano di un incontro di Salvini in Vaticano cui ne seguiranno altri.

Peraltro, una sinistra miope ed ottusa non perde nessuna occasione – dal DDL Zan, all’eutanasia ed al relativo referendum, fino allo stesso tema della maternità surrogata – per spingere oltre il limite del puro e semplice buon senso, perfino a dispetto di ambienti culturali che ad essa pur anno riferimento, come taluni movimenti femministi, quella connotazione “radicale” che ormai ne rappresenta il “trip” ideologico, testimone di un desertificazione culturale che la condanna alla marginalità.

Quello che maggiormente sorprende – si fa per dire, dato che probabilmente sta nell’ordine delle cose – è la passività, l’inerzia e l’inettitudine con cui i cattolici che militano da quelle  parti  osservano la consegna del silenzio, se non addirittura, per mostrarsi più realisti del re, suonano la gran cassa nella stessa direzione. 

Per quanto ci riguarda la nostra posizione a difesa della vita è assolutamente ferma, sia come cattolici che come semplici cittadini. Sia per ragioni morali, sia per ragioni politiche poiché riteniamo che un attento esame della questione – ed anche a sinistra farebbero bene a sviluppare questa riflessione – dimostri che la difesa del valore primario della vita è il necessario presupposto per una affermazione autentica della libertà e della giustizia; detto altrimenti, rappresenta il fondamento stesso della democrazia.

Ne consegue – e nessuno si scandalizzi – che il criterio dell’autonomia politica dei cattolici che rivendichiamo come elementare ragion d’essere di INSIEME, nello specifico di queste battaglie e secondo la particolarità delle nostre modalità di azione politica, ci vede schiettamente sullo stesso fronte di forze, sia pure la Lega, di cui pur non condividiamo nessun profilo programmatico ed, anzi, rifiutiamo la visione complessiva.

I valori del cattolicesimo sono universali e nessuno, tanto meno noi, può pensare di sequestrarli a proprio esclusivo possesso. Vorrebbe dire derubricarli a motivi di mera propaganda. Ben venga, dunque, chi, purché sinceramente e secondo una coerenza che anche la politica esige, intenda, come noi,  farsene carico.

Ma è, appunto, in quanto credenti che non intendiamo abbandonare, tanto meno delegare, la difesa e la promozione dei valori in cui crediamo come necessario presupposto di ogni politica diretta al “bene comune”  a soggetti politici che, malgrado le frequentazioni vaticane, sembrano non conoscere quanto riteniamo di aver appreso dal Magistero della Chiesa e, cioè, che i valori che la Dottrina Sociale della Chiesa assume come propri, non sono assimilabili a prodotti esposti sui banchi di un ideale supermercato, cosicché il cliente di turno, passeggiando più o meno distrattamente, secondo la voglia del momento, ne acquista uno e lascia perdere gli altri. Al contrario, questi valori si tengono, tessuti d’un solo pezzo, in un’unica tela.

Si tratta di principi, di criteri, di orientamenti che non possono essere sgranati in quanto traggono la loro origine da un’unica fonte, dal rispetto e dalla cura del valore intangibile, ontologicamente fondato della persona, cioè della dignità trascendente non di una categoria o di un concetto astratto che si dice a fior di labbra, ma di ogni figlio di Dio che incontriamo, nella sua insopprimibile singolarità, ogni giorno sul nostro cammino, anche quando viene da di là dal mare.

Domenico Galbiati

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