Il percorso che si è sviluppato dal giorno dell’incarico a Draghi merita qualche considerazione.

L’ autorevolezza del Presidente Mattarella e quella di Mario Draghi hanno esercitato e tuttora esercitano una  forza di attrazione gravitazionale, tale da curvare lo spazio in cui giace il nostro sistema politico. Un po’ come succede sul piano astrale, secondo quanto ci insegna la teoria della relatività: cosicché, le forze che lo abitano non possono sfuggire a questa sollecitazione  centripeta e necessariamente ruotano attorno al nuovo baricentro del sistema.

Non sono, cioè, i partiti – segnatamente la Lega – a cambiare, senonché, pur restando uguali a sé stessi, a mutare; è, piuttosto, l’orbita, cui non possono sfuggire  che disegna una ellisse e che ripercorre il bordo di questa sorta di ciambella spaziale.

Può darsi che stia in questi termini, secondo una tale metafora, il repentino dietro-front della Lega, in particolare in chiave neo-europeista, ma perfino più duttile, almeno così pare, in ordine al tema delle migrazioni. Se son rose, fioriranno….

Ora il punto focale della situazione è un altro o meglio due, come ha fatto presente un paio di giorni fa Giancarlo Infante ( CLICCA QUI ). E’ necessario che il Paese – non solo il sistema politico – si raccolga e si concentri attorno alla guida di Draghi per uscire finalmente dal pozzo profondo della difficoltà che ci avvolge e ci avvilisce.

Peraltro, nel corso della “durata” del Governo Draghi – che ha davanti a sé una “dead line” possibile, in corrispondenza, tra un anno, della elezione del nuovo Presidente della Repubblica e, in ogni caso, la scadenza della legislatura nel 2023 – un compito compete alle forze politiche, o meglio due.

Anzitutto, ognuna deve riassettare la propria fisionomia, addirittura – almeno per alcune – affrontando a viso aperto il nodo, sempre accantonato, della propria effettiva identità.

In secondo luogo, nessuna può sfuggire alla responsabilità di concorrere a delineare l’architettura di un sistema politico del tutto nuovo, che tenga insieme il meglio della nostra tradizione democratica e, contestualmente, la capacità di disegnare la democrazia del tempo post-moderno.

Non bisogna cedere all’abusato gioco di immaginare il governo venturo, nel momento in cui nasce il governo del momento. Non è oggi il tempo di simili divagazioni che vorrebbero dire impaludarsi e non, piuttosto,  guardare le cose in prospettiva.

Ad ogni modo, l’aspetto più rilevante del quadro che abbiamo davanti, in ordine alla probabile evoluzione del nostro sistema politico, è sicuramente rappresentato da quello che possiamo chiamare l’accenno, almeno, di una mossa verso il centro di Salvini, che non a caso rompe con la Meloni e quasi, d’un balzo, anticipa ed oscura la disponibilità nei confronti di Draghi dello stesso Berlusconi. Come nel gioco del 15, se si muove una tessera, si muovono anche tutte le altre ed ogni volta cambia la configurazione complessiva.

Se Salvini accosta al centro, non possono fare a meno di imitarlo anche da sinistra o meglio deve farlo il Pd. Ne consegue che la competizione bipolare muta, in qualche modo, la sua fisionomia, nella misura in cui la si gioca meno sulle estreme e di più sul fronte mediano dello schieramento politico-parlamentare, che, pur tuttavia, bipolare continua ad essere e, dunque, vissuto pur sempre, in termini di incomunicabilità tra le parti e reciproco arroccamento.

Addirittura, se anziché un fronteggiarsi dalle rispettive trincee con le  artiglierie, la contrapposizione bipolare diventasse una sorta di corpo a corpo al centro dello schieramento, lo scontro si farebbe perfino più cruento e quel supposto, paradisiaco “centro” cui molti aspirano e che spetterebbe soprattutto a quelle anime pie dei buoni cattolici interpretare o diventerebbe un inferno di colpi bassi o sparirebbe del tutto.

Insomma – ma su questa parte conclusiva della riflessione si dovrà tornare – il gioco non vale la candela, ove si immagini chissà quale fatica sostenere, pur di essere ammessi al ruolo di terzo incomodo in un sistema consunto e giunto all’exitus, con la crisi del governo Conte.

E’, piuttosto, necessario cambiar gioco, nel segno della ”trasformazione”, come la suggerisce il nostro Manifesto ( CLICCA QUI ), e reintrodurre nel discorso pubblico del nostro Paese quella smarrita cultura della “moderazione” che nulla ha da spartire con un esangue moderatismo, ma, al contrario, significa ponderazione e senso della misura, discernimento, oggettività dell’analisi, capacità critica ed autonomia di giudizio, visione organica del contesto e facoltà di sintesi, cioè condizione stessa perché la “politica” come tale, secondo il profilo alto che idealmente le appartiene, sia possibile.

Domenico Galbiati

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