Abbiamo assistito all’esercizio della caparbia volontà di vendere San Siro, con i 29 ettari circostanti, ad opera del Sindaco e della sua amministrazione. Abbiamo assistito perché non ci è stato permesso di esprimerci sulle alternative attraverso il referendum. Ora le società Inter e Milan, i cui proprietari effettivi non è consentito conoscere, tanto al Consiglio Comunale quanto a noi cittadini, hanno espresso come unica preoccupazione il possibile intervento della Procura. Dato che non stiamo parlando di un infausto intervento atmosferico che interrompe la partita, si tratta forse di ‘coda di paglia’?

Qui in gioco non c’è la nebbia ma la salute di decine di migliaia di cittadini, il rispetto del vincolo sul secondo anello così come quello delle norme e delle procedure vigenti. Stiamo assistendo allo sfaldamento del centrosinistra, a partire dal Campo Largo. Così come alla facile politica dei ‘due forni’ del centrodestra che permette il passaggio della delibera per la vendita ma, vedi il Presidente del Senato La Russa, sostiente sia il nuovo stadio sia il mantenimento di San Siro, uno accanto all’altro. Il suicidio assistito del centrosinistra a pochi mesi all’avvio della campagna elettorale.

Qui mi interessa proporre una considerazione che spiega, salvo apprezzabili eccezioni in entrambi gli schieramenti, cosa e chi ha dato corpo alla plastica configurazione della consociazione degli affari che ha permesso l’approvazione della delibera.

Da diversi decenni abbiamo leggi elettorali che consegnavano alle segreterie di partito l’elezione dei parlamentari. L’elezione diretta dei presidenti di regione, dei sindaci e la sospensione della Costituzione per le Città Metropolitane e le Provincie, ha indebolito l’effetto della partecipazione popolare. Questo perché sono state accompagnate dalla spoliazione di prerogative politiche delle assemblee elettive.
L’esempio ultimo, legato alla delibera per la vendita dello stadio, è stato l’impedimento della votazione degli emendamenti presentati dai consiglieri. Veniamo a questi ultimi, sostanzialmente esautorati da ogni possibilità di partecipazione e intervento nei processi deliberativi, tanto nelle commissioni che in aula consiliare. La gran parte di loro accetta la condizione di sostanziale esclusione perché essa è parte della gavetta. Sanno che devono curare e alimentare le preferenze che hanno raccolto utilizzando le prerogative di orientamento delle pur minime risorse pubbliche che possono indirizzare. Sanno che devono meritarsi la permanenza nella cordata/corrente di partito. Sanno che non possono sbagliare il tempo per capire se devono passare ad un’altra cordata: quella ritenuta vincente. La loro ambizione/aspettativa è duplice: o ascendere ad altri livelli di responsabilità amministrativa o istituzionale o essere premiati/rimossi con una nomina nel CdA di una partecipata. Nel secondo caso si apre uno scenario nuovo: essere affidabili, capire il contesto della filiera del settore, diventare un professionista della nomina indipendentemente dalla provenienza iniziale della stessa. Una ulteriore possibilità è di trovare un ruolo professionale in un organismo del Terzo Settore per provenienza e per riconoscenza ricevuta.
Chi si è mosso con efficacia nelle relazioni e con una rendita di visibilità pubblica ha ancora un ruolo nel processo deliberativo: l’intellettuale o il competente che prende posizione nel dibattito intorno a una questione di sostanza economico/finanziaria. A loro interessa poco e niente che una amministrazione comunale vieti il fumo in strada ma si appresti a distribuire nell’aria le polveri velenose dell’abbattimento dello stadio. Stanno in città il minimo di tempo per le relazioni dirette e il resto del tempo è in un buon ritiro in un territorio ritenuto sufficientemente qualificante per il loro status.

Questo è il profilo sociologico della nomenclatura che mette in scena la competizione e che garantisce la consociazione. Ciò spiega perché sempre meno cittadini esercitano il diritto al voto, anche a livello comunale dove hanno libertà di scelta. La crisi dell’istituto della democrazia richiede un processo costituente per definire le possibilità/prerogative di partecipazione popolare al processo deliberativo in relazione a istituzioni adeguate. Ciò a partire dalla prossimità territoriale locale,  fino alla dimensione continentale europea. Altrimenti non ci dobbiamo stupire di essere sballottati nella polarizzazione populismo vs sovranismo. Sarà “hopeful thinking”, ma spero che la marea intergenerazionale e pacifica di queste settimane, che ha riempito le piazze delle grandi città come di quelle piccole, non sia un canto del cigno ma un nuovo inizio.

Fiorello Cortiana

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