Di giorno in giorno diveniamo sempre più consapevoli che, qualunque possa essere l’esito del drammatico conflitto in Ucraina,  il quadro geopolitico, economico ed anche culturale risulterà profondamente mutato :se non proprio un cambio d’epoca, un mutamento di scenario si profila. Quale esso sia quello che emergerà da questa guerra non siamo in grado di  immaginarlo con sicurezza. Certo è che si profilano all’orizzonte due possibili alternative: l’una affidata agli automatismi di mosse e contromosse determinate  da logiche di confronto-scontro inesorabili; l’altra che nasca da un sussulto di consapevolezza che cambi  radicalmente strategie e regole del gioco.

Prescindendo dalle cause remote e dirette del conflitto, a guerra aperta e protratta, si ha l’impressione di un meccanismo scatenato che si sviluppa secondo una logica ferrea e inesorabile da cui non si riesce o non si vuole più uscire. Da un lato, Putin deve  necessariamente raggiungere i suoi obiettivi, pena  la sua fine politica e forse anche di vita; dall’altra, gli ucraini  non possono che resistere fino  alla loro completa sconfitta o alla loro improbabile, almeno nei tempi immediati, vittoria. E’ una lotta all’ultimo sangue con conseguente intensificarsi  della intensità dello scontro, delle distruzioni e dei morti. Sull’Ucraina poi si gioca un gioco molto più ampio e complesso, che concerne il sistema degli equilibri geopolitici strategici del futuro.

In tale situazione più che mai arduo e problematico un giudizio ed un orientamento che non siano viziati da precomprensioni non riconosciute. Come sempre si confrontano e si scontrano fautori della realpolitik  e idealisti, fornendo ragioni che non possono essere facilmente liquidate. Dato per acquisito il fatto che siamo di fronte ad una aggressione, che vede da un lato l’aggressore e dall’altro l’aggredito, resi consapevoli che cause più o meno remote sono addebitabili, in misura  però differente, a tutti i protagonisti diretti o indiretti del conflitto, si pone il problema del che fare oggi. Sacrosanto e obbligato appare l’appello a che si esplorino tutte le strade che portino alla sospensione delle ostilità e all’avvio di negoziati non  fasulli. Ma la questione cruciale è il come, a quali condizioni, su quale base. E qui le strade delle varie opinioni si divaricano. C’è chi, in nome di un idealismo che in questo caso si sposa con un realismo pessimistico, per por fine alla strage di morti, feriti e distruzioni, prendendo atto della attuale soverchiante forza russa e del pericolo reale di escalation,  propone di fatto una resa e l’avvio di un negoziato a condizioni diseguali. Dall’altro i cosiddetti “realisti” che, con motivazioni “ideali”, in nome della difesa dei valori di libertà, di democrazia e di autodeterminazione dei popoli, sostengono ed aiutano la resistenza ucraina destinata a pagare un prezzo altissimo.

Appare evidente che gli uni e gli altri  forniscono buone ragioni.

Emerge in maniera drammatica la polarità e la tensione fra un “etica dei principi” e un’” Etica della responsabilità”: l’affermazione e la difesa di un valore devono imporsi comunque a prescindere dalle valutazioni delle conseguenze dirette o indirette della decisione e dell’azione conseguente (pereat mundus … )? E reciprocamente: il puro calcolo delle conseguenze non rende ogni  valore relativo e non rende ogni decisione appiattita su  puri dati di fatto?   Chi è chiamato a prendere posizione e, soprattutto a decidere, se ha un minimo di coscienza avvertita, vive la terribile esperienza di quello che è stato chiamato il “tragico” della decisione e dell’azione. Non c’è nessuna certezza assoluta alle spalle della decisione, ma l’esito è affidato al rischio della propria responsabile libertà che è chiamata a trovare, praticamente, una sintesi, comunque sempre dolorosa, fra i valori in cui crede e la realtà che si impone.

Tali considerazioni potrebbero sembrare oziose elucubrazioni mentre il conflitto in Ucraina continua con intensità crescente. Tuttavia, dal momento che  non possiamo non prendere posizione, lo dobbiamo fare non con preconcetti o spirito di tifoseria, ma con coscienza avvertita.

Gianclaudio Tagliaferri

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