L’avvento del governo Draghi segna non la nascita di una nuova formula politica ma di una nuova fase politica nella quale l’interesse nazionale prevale sulle dialettiche partitiche. Per questo è stato chiamato un personaggio super partes, un supertecnico che si avvarrà della collaborazione di altri ministri supertecnici nei settori chiave dello sviluppo sostenibile in campo economico, ecologico, digitale e, finalmente, educativo. È in questo quadro che è maturata, per la scuola, la scelta di un tecnico (ma con esperienze politiche) come Patrizio Bianchi, un economista attento all’importanza strategica delle politiche educative.

Bianchi non intende porsi in contrapposizione con il lavoro svolto dal suo predecessore, come ha dichiarato a “Il fatto quotidiano”: “Riprenderò subito le fila dell’enorme lavoro fatto dalla ministra Lucia Azzolina. In queste ore sto studiando atti e delibere. La priorità è capire il ruolo della scuola nel piano nazionale di Rilancio e Resilienza“.
Lavoro che Lucia Azzolina ha riassunto in un documento in 29 punti ( CLICCA QUI )  (in cui però non si cita il Rapporto della Commissione presieduta dallo stesso Bianchi, apparso sul sito del Ministero ( CLICCA QUI ) solo sabato 13 febbraio, il giorno della nomina a ministro di Bianchi).

Visto il curriculum del nuovo ministro (professore di politica economica e rettore dell’università di Ferrara, assessore all’istruzione e lavoro della regione Emilia-Romagna), e vista l’attività da lui svolta nella scorsa estate come coordinatore della task force nominata da Lucia Azzolina con il compito di redigere un piano in vista della riapertura delle scuole a settembre, poi riversata nel recentissimo volume Nello specchio della scuola (il Mulino), possiamo dire che Patrizio Bianchi si inserisce a buon titolo nel filone di quegli economisti che hanno più valorizzato il rapporto tra investimenti in istruzione e sviluppo economico, da Romano Prodi a Nino Andreatta, da Tommaso Padoa-Schioppa allo stesso Mario Draghi.

Non si può dire che Bianchi sia un tecnico puro (come non lo sono stati gli altri ora citati, compreso il Draghi delle trattative con i 27 Stati membri dell’Unione Europea), anche se ha quasi sempre operato più sul territorio che a livello nazionale, attività cui fa riferimento il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini nel messaggio che gli ha rivolto: “Mi permetto di inviare un particolare in bocca al lupo a Patrizio Bianchi, che è stato assessore della mia Giunta nella passata legislatura e che fu artefice del primo Patto per il Lavoro dell’Emilia-Romagna“.

Ma nel citato volume e in alcune interviste reperibili su Youtube (segnaliamo per particolare chiarezza quelle della Fondazione Feltrinelli ( CLICCA QUI ) e del sito StraOrdinario digitale ( CLICCA QUI )  Bianchi si occupa invece della dimensione nazionale delle politiche educative considerando “ormai indifferibile avviare una vera fase costituente per la scuola“, “una nuova stagione in cui essa torni a essere, o meglio divenga, il motore di una crescita di un Paese che da troppo tempo è bloccato“, perché “allargare a tutto il paese la battaglia per sconfiggere le vecchie e nuove povertà educative diventa il modo per ritrovare un’Italia in crescita in un’Europa che torni a essere orgogliosa di sé stessa“.

Concetti ribaditi nell’ampia intervista rilasciata a Tuttoscuola  nel numero di gennaio 2021 ( CLICCA QUI )  e anche nell’articolo, scritto prima della nomina a ministro, che Bianchi ha preparato per il nostro mensile, che verrà pubblicato nel numero di marzo 2021.

Tra le misure considerate indispensabili e indifferibili, come ha ripetuto anche in un webinar della AEFFE ( CLICCA QUI )  cui ha partecipato il giorno prima di essere nominato ministro, Bianchi mette la creazione di un sistema di istruzione superiore a carattere professionale stabile e competitivo con quello universitario decuplicando (almeno) il numero degli attuali iscritti agli ITS, da 15.000 a 150.000, il “fabbisogno minimo per far funzionare il sistema economico italiano“. Un obiettivo da conseguire in tre, o al massimo in 5 anni, sostiene Bianchi, non moltiplicando gli attuali ITS mono-corso bensì realizzando centri (o “accademie professionali”), di dimensioni adeguate nei quali venga offerta una pluralità di corsi.

Se Bianchi riuscisse anche solo in questa impresa, dopo 50 anni di fallimenti (anche se molte sono le altre urgenze che l’attendono), si guadagnerebbe uno spazio nei manuali di storia della scuola italiana.

Pubblicato su Tuttoscuola ( CLICCA QUI )

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