Non siamo a Quintino Sella, ma poco ci manca. Si comincia a mettere ordine i conti pubblici, si mettono ancora di più in crisi le famiglie. Non c’è la “tassa sul macinato del Primo ministro dell’Italia appena unificata, ma c’è un’altrettanto pesante” tassa” che pagano i consumatori italiani.
Secondo i dati dell’Istat siamo nel pieno di una sostanziale stabilità dei consumi e su questo il Governo Meloni fa una delle sue tante autocelebrazioni. Perché non racconta l’altra faccia della medaglia. La quale ci dice che, sì, gli italiano spendono di più – del 7,6%, ma comprano di meno. Nel senso che i prezzi al consumo sono contemporaneamente cresciuti del 18,5%. Altro che tutto va meglio: gli italiani ci perdono ben 11 punti.
La conseguenza è che più di una famiglia su tre è costretta a contrarre la spesa. Ed è un fenomeno che nel 2024 ha seguito sostanzialmente l’andamento dell’anno precedente. Il 35,3 % degli italiani dichiara di aver ridotto i consumi.
Anche in questo caso le disuguaglianze colpiscono. Soprattutto quelle geografiche giacche al Nord si consuma per il 38% in più rispetto al Sud. In Trentino-Alto Adige e in Lombardia si spende di più all’opposto di Calabria e Puglia.
Continuano ad aumentare di più i costi nelle città, mentre sono in calo nei piccoli centri.