La ripartenza del contagio COVID dopo le distrazioni dell’estate ci ha riportati in un clima che si può ben definire di guerra. Guerra perché abbiamo di fronte un nemico molto potente e contro il quale le nostre armi di difesa sono deboli, guerra perché ci sono vittime a centinaia (per ora, ma a migliaia nella prima fase e chissà domani), guerra perché l’economia del paese e il nostro modo di vivere si devono adattare di colpo a condizioni di funzionamento del tutto anormali.

In una situazione di guerra i paesi forti si distinguono perché riescono a stabilire un clima di unità nazionale. Le forme possono essere diverse – un governo di larghissima maggioranza, oppure un dialogo continuo ed efficace tra forze di governo e forze di opposizione – ma la sostanza è la stessa: si fa fronte comune. Le ragioni sono evidenti, in guerra bisogna adottare rapidamente misure difficili e rigorose che spesso comportano restrizioni delle libertà normali e limitazioni delle attività economiche, culturali, scolastiche. Bisogna inoltre mobilitare risorse eccezionali. La questione del consenso diventa allora essenziale. Quanto più intorno all’azione del governo c’è un largo sostegno della popolazione tanto più le misure decise saranno messe in atto volontariamente ed efficacemente e senza bisogno di mettere di ricorrere a troppi strumenti coercitivi. Il clima di unità nazionale deve coinvolgere anche le diverse istituzioni territoriali (governo nazionale, regioni, comuni) che ciascuna ha compiti importanti da svolgere nella battaglia.

Una popolazione e istituzioni decentrate che si riconoscono nelle scelte del governo e le condividono sono sicuramente l’arma più importante in una guerra come la nostra che in attesa dell’arma atomica del vaccino si vince essenzialmente sulla base di diffusi comportamenti istituzionali e sociali responsabili.

Ma in Italia questo spirito di unità nazionale oggi non c’è e per ragioni ben precise che hanno a che fare con il quadro istituzionale e con quello dei partiti.

Che i partiti non riescano ad operare in questa prospettiva di consenso è sotto gli occhi di tutti. Il dialogo tra partiti di governo e partiti di opposizione è caratterizzato da un continuo rinfacciarsi, da parte dei partiti di opposizione di non essere stati consultati e da parte di quelli di governo nei confronti dei primi di fare una opposizione pregiudiziale e irresponsabile. Oltre alla distanza molto forte tra i due fronti che si percepiscono e si presentano all’opinione pubblica come radicalmente alternativi (e pericolosi per il paese) giocano le divisioni interne dei due fronti. I partiti di governo costituiscono chiaramente un’alleanza tenuta insieme solo dalla necessità di non far vincere l’opposizione ma senza un programma ben condiviso e una guida sicura. Quanto all’opposizione guidata dal partito più estremo, la Lega, è anch’essa divisa al suo interno e si ricompatta solo nel condannare il governo. In questa situazione ogni apertura al dialogo verso il fronte opposto è subito attaccata dall’interno della coalizione come un’intesa con il nemico. Lo spazio per un dialogo che ascolti le ragioni dell’altro si chiude subito.

Sul fronte istituzionale due decenni di mancati aggiustamenti, dopo una revisione costituzionale sbagliata che aveva reso confusi i rapporti tra stato e regioni (per non parlare del ruolo dei comuni), e di forte conflittualità tra governo centrale governi locali (che a più riprese ha costretto la Corte Costituzionale ad intervenire), non hanno potuto che accentuare le divisioni in questa fase in cui invece la chiarezza su che cosa tocchi all’uno e agli altri e uno spirito di collaborazione istituzionale sarebbero essenziali per affrontare l’emergenza.

Le ragioni per riportare il baricentro della politica lontano dagli estremismi irresponsabili e verso il centro dei problemi e della lealtà istituzionale sono dunque evidenti. Insieme nasce proprio per tenere alta questa bandiera.

Maurizio Cotta

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