Stati Uniti d’Europa: solo un “dolce sogno”? Di fronte alla complessa situazione internazionale, con le democrazie in bilico, servono vie e risposte nuove
Sul Corriere del 10 aprile Ernesto Galli della Loggia ha argomentato che è molto difficile – ma si tratta di un eufemismo – costruire uno Stato europeo. E la ragione è che “lo Stato nazionale è storicamente l’ambito, l’unico ambito, nel quale ha trovato finora forma la democrazia politica, e quel suo strumento decisivo che è il suffragio universale”.
Non esiste un corpo politico europeo continentale, che possa fare da base democratica per un eventuale Stato europeo. La democrazia o è nazionale o non è.
Pertanto il discorso europeista è tanto encomiabile quanto, al momento, vuoto. Inutile sventolare le bandiere dell’Europa, se non siamo in grado di costruire un soggetto istituzionale che sia titolare delle decisioni fondamentali della politica estera, tra cui quella di poter mandare la nostra gioventù “post-eroica” – l’aggettivo è di J. Habermas – a calpestare il terreno ucraino con gli stivali. Al momento l’Europa unita assomiglia di più al “dolce sogno” della pace perpetua, di cui scriveva Kant nel 1795.
E con ciò siamo in stallo. Dal quale si può uscire per due strade convergenti, una molto realistica e una più utopico-realista.
Lo Stato, la paura, la guerra
Quella “realistica” ha quale motore la paura. Non quella che Hobbes descrive come derivante dall’essere “l’uomo lupo all’uomo”, ma piuttosto quella dall’essere “lo Stato lupo allo Stato”.
Charles Tilly, citato da Bordoni Sadun nel suo “Guerra e natura umana”, lo ridice in modo brutale: “War made the state and the state made war”: “la guerra fece lo stato, lo stato fece la guerra”.
Gli Stati europei, e non solo loro, si sono costituiti usando la violenza bellica all’interno e verso l’esterno, verso il Nemico. D’altronde, non è mai stato un Popolo o una Nazione a fare lo Stato.
È sempre andata in senso contrario: lo Stato sardo-piemontese ha fatto l’Italia, la Prussia ha fatto la Germania, Luigi XI ha conquistato la Provenza e la Bretagna, dopo la Guerra del Cent’anni, e ha fatto la Francia. Lo Stato, cioè gli Eserciti.
Tre imperi che vogliono spartirsi il mondo
Di quale “nemico” abbiamo o dovremmo oggi avere paura? Ci sono tre imperi che voglio spartirsi il mondo. Di qui la minaccia alle nostre libertà, alla “freedom” e alla “liberty”, alla “libertà da” e alla “libertà di”, al nostro modo di vivere, ai nostri valori, al nostro Stato di diritto, al nostro Stato sociale.
È crescente il rischio che le nostre democrazie nazionali vengano sopraffatte ad una ad una come accadde agli sfortunati Curiazi e che ci venga imposta una dittatura o una “democratura”, o per resa o per guerra perduta.
Anche perché la guerra non pare affatto uscita dalla Storia. Dunque, neppure la paura è uscita alla Storia.
Tuttavia la paura quale motore comune è debole. Perché non tutti i popoli europei condividono la stessa paura, né quanto all’oggetto né quanto alle dimensioni. I Polacchi ne hanno di più, i Baltici ancor di più, gli Italiani poca. Alcuni temono più Trump di Putin. Perché noi Italiani abbiamo così poca paura del mondo che viene avanti?
Molti di noi usano la tecnica dello struzzo, non vedono il mondo reale. Molti pensano che basti starsene alla larga. Le classi dirigenti sembrano condividere questi atteggiamenti. Il disordine mondiale, generato dalla dialettica riaccesasi tra equilibrio e egemonia, sta lambendo i nostri 27 Stati. Ai quali non resta molto da scegliere: o fanno i vassalli o si mettono insieme. La difesa della democrazia, che abbia come usbergo soltanto lo Stato nazionale, risulta debole. Andare oltre lo Stato nazionale è la condizione per la sopravvivenza della democrazia in Europa.
Verso una sfera pubblica europea e l’Erasmus consensus
La strada utopico-realista è quella che parte dalla sfera pubblica europea in gestazione. Diversamente che nel periodo napoleonico e in quello hitleriano, una statualità europea si potrebbe costituire per accordo pacifico. Un’eccezione?
Certamente. Così come lo sono stati gli ottant’anni di pace appena trascorsi. Ma qualcosa è accaduto in questi decenni. Benché gli Europei siano cittadini di 27 Stati – anzi di 28, come Carlo III ha solennemente riaffermato nel nostro Parlamento a nome degli Inglesi – ciascuno con propria storia, legislazione, lingua, si è venuta costituendo una “koiné” europea, fondata sui valori comuni cristiano-liberali.
È vero che il Cristianesimo in quanto fede è, oggi, in contrazione drammatica, ma, in quanto religione, il suo stigma è scolpito nella nostra civilizzazione. La prima impronta, decisiva, è l’idea della persona, dotata di dignità assoluta, che ha generato l’”Habeas corpus” e lo Stato di diritto. Nonostante le insorgenze populiste e tecno-populiste e i deliri minacciosi dell’ ”Illuminismo oscuro”, che rendono incerto il futuro della democrazia liberale, stanno alle nostre spalle ottant’anni di educazione alla teoria e alla pratica della democrazia liberale.
Tra i giovani soffia il nuovo spirito del tempo
Tra i giovani che si aggirano e si incontrano per l’Europa, da Barcellona a Praga, da Milano a Varsavia è facile avvertire questo nuovo spirito del tempo. Potremmo chiamarlo “Erasmus consensus”. Non solo “coercion” dunque, ma anche “suasion”. Lo Stato nazionale è il confine giuridico-istituzionale di ogni democrazia, ma la democrazia degli Europei esonda oltre gli Stati nazionali. Insomma, un corpo politico democratico europeo è in formazione. Si sta costituendo una sfera pubblica europea.
Nuove domande e nuove possibili risposte
Esistono modelli istituzionali realizzabili di Stati Uniti qui in Europa? L’impero austro-ungarico e l’Impero ottomano hanno tenuto insieme popoli, lingue e storie per qualche secolo. Certo, non erano liberali.
La Confederazione svizzera ha messo insieme, sponte e spinte, quattro lingue/civilizzazioni. Oggi in Europa corrono l’Inglese, il Tedesco, le Lingue romanze, lo Slavo. Il presente pone domande nuove, occorre sbrigarsi a dare qualche risposta nuova.
Qui sta il compito degli intellettuali e di ogni apparato capace di produrre idee e educazione: svolgere un’azione di formazione di una nuova classe dirigente. Che consiste, in primo luogo, nell’evitare di infantilizzare le giovani generazioni, tenendole lontane dalla visione realistica del mondo. La politica oggi insegue “lo struzzismo” dei propri elettori. Quanto alla politica della UE, occorre ostinatamente continuare lungo la strada intrapresa. Non è data alternativa, se non il cedimento di schianto agli Imperi.
Giovanni Cominelli