Sono trascorsi pochi giorni dalle elezioni del 25 settembre e già si sentono il rombo dei tamburi e gli squilli di tromba della Lega-Nord per una rivalsa dei “lumbard” sulla linea politica nazionale di Matteo Salvini, che, seppure coalizzato con la destra vincitrice, è da considerare uno sconfitto per la consistente perdita di voti. Da parte dei fondatori del Carroccio, con Umberto Bossi in testa, è scattata l’operazione recupero per un ritorno alle origini e, in particolare, per un rilancio del federalismo, presentato in veste di autonomia delle regioni, ma, in realtà, per una scissione della Padania dal resto d’Italia.
Ci risiamo. Federalismo e autonomia regionale sono termini usati anche da Luigi Sturzo, ma in ben altro senso, ossia in un’organica e serena visione della situazione socio-politica, amministrativa ed economica del Paese, così come lo esigono la sua natura geografica e la sua storia.
Sin dalla prima fase della sua attività socio-politica, Sturzo – sulla scia di Gioacchino Ventura, Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini, Francesco Ferrara, Vito d’Ondes Reggio, e di altri pensatori a lui contemporanei, anche estranei all’area cattolica, come Napoleone Colajanni -, avvertì la necessità e l’urgenza che lo Stato italiano si desse, tramite l’autonomia degli enti locali, un’articolazione organica. A suo giudizio tale struttura, assai più adeguata di quella centralizzata, avrebbe messo il Paese nelle condizioni di superare le gravi e congenite crisi, manifestatesi al momento stesso della sua nascita sotto forma di squilibrio economico tra Nord e Sud, questione meridionale, delinquenza organizzata, brigantaggio, analfabetismo e trasformismo politico.
Sturzo parlava di decentramento, di autonomie locali e di regionalismo, ma, in effetti, il suo progetto si identificava con quello di una federazione. Fu restio ad abusare di questo termine, ma quelle poche volte che lo adoperò fu incisivo. Molto noto quel suo articolo apparso su “Il Sole del Mezzogiorno” il 31 marzo 1901 e intitolato
“Nord e Sud. Decentramento e Federalismo”, tramite il quale si faceva promotore di una «federalizzazione delle regioni».
Sturzo lo scrive ad appena ventinove anni e manifesta una straordinaria profondità di pensiero. Egli, sia nel linguaggio, sia nella proposta, è un moderno e, per molti aspetti, un anticipatore dei nostri tempi. Non a caso conia il termine federalizzazione per dire che esiste nella storia una logica che, malgrado il male provocato dall’uomo, conduce i popoli e le loro istituzioni verso l’unione senza intaccare le loro diversità.
Più tardi questa giovanile intuizione sarà da lui così elaborata: «come le nazioni moderne, malgrado i contrasti e le guerre, si formarono col passaggio dalle unità locali, città, contee e province, in unità superiori, regni, stati, nazioni», è altrettanto «prevedibile che lo stesso passaggio avvenga da nazioni a gruppi internazionali a carattere regionale e continentale e da questi ad unità intercontinentali, e così via fino a una rappresentanza di tutti i popoli nel parlamento mondiale».
Dal punto di vista politico Sturzo, sempre nell’articolo sopra indicato, rileva che «tra tutte le cause della questione del nord e sud Italia […] le principali siano l’accentramento di Stato e l’uniformità tributaria e finanziaria». E se si vuole effettivamente arrivare alla radice del male, si deve avere, a suo giudizio, il coraggio di affrontare la questione senza le solite titubanze e proporre «una federalizzazione delle varie regioni, che lasci intatta l’unità di regime». La quale, a sua volta, «serve a collegare finanziariamente ed economicamente le regioni, e a dare unità legislativa, giudiziaria, coattiva e militare, e in tutto ciò che è appartenenza politica interna od estera».
Sono, qui, indicati da Sturzo i compiti propri di un governo federale centrale che, appunto, per garantire l’«unità di regime», deve tracciare e perseguire una comune linea finanziaria ed economica, assicurare una legislazione comunitaria, provvedere alle forze armate, coordinare la politica interna e rendersi responsabile della politica estera. A tal riguardo, come a volersi implicitamente richiamare a un principio di sussidiarietà non ancora ben definito, sostiene che «è tempo ormai di comprendere come gli organismi inferiori dello Stato – regione, provincia, comune, non sono semplici uffici burocratici o enti delegati, ma hanno e devono avere vita propria, che corrisponda ai bisogni dell’ambiente, che sviluppi le iniziative popolari, di impulso alla produzione ed al commercio locale. […] E così solamente la questione del nord e del sud piglierà la via pratica di soluzione, senza ingiustizie e senza odi e rancori».
Sturzo scava sempre più addentro e in un successivo articolo, La questione del Mezzogiorno, apparso sotto lo pseudonimo “Il Crociato” su “La Croce di Costantino” del 22 dicembre 1901, sostiene che il Mezzogiorno nell’Italia unitaria «ci sta a disagio, è fuori posto, manca della sua naturale posizione». Cruda verità questa, che, a suo giudizio, si avverte e che non si ha il coraggio di denunciare perché la logorrea unitaria taglia le ali alla libera discussione di un pensiero ormai maturo: «il pensiero di una più organica vita delle parti di questa Italia, che
non è destinata alla uniformità, ma a una unità risultante dalle varie tendenze delle vite diverse delle sue regioni». E poco più avanti sottolinea: «Parliamoci chiaro: nord e sud sono due termini irriducibili e inconciliabili […]. Verità dolorosa se si vuole, dura forse agli orecchi adusati alla lirica del quarantotto, ma non per questo meno evidente e meno chiara. E la colpa non è nostra e non è neppure dei fratelli del nord».
Le cause di tale e tanto divario, secondo Sturzo, non sono soltanto di tipo economico. C’è altro e c’è di più che, in atto, sembra congenito nelle popolazioni meridionali. «C’è – egli prosegue – l’educazione politica: le masse del meridione non vivono la vita della nazione, non delle concezioni politiche, non del movimento delle idee […] il campanile, il deputato, ecco tutta la vita delle nostre masse. E in alto la corruzione, la sopraffazione dei politicastri interessati, delle sanguisughe dei municipi, dei manutengoli della mafia e della camorra». E, più avanti, scrive:
«La radice è una, una sola. – Io sono unitario, ma federalista impenitente». Alla luce di tale affermazione ecco, all’insegna del federalismo, la sfida lanciata da Sturzo allo “Stato accentratore e livellatore”: «Lasciate che noi del meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali; […] e uniti nell’affetto di fratelli e nell’unità di regime, non nell’uniformità dell’amministrazione, seguiremo ognuno la nostra via economica, amministrativa e morale nell’esplicazione della nostra vita».
Quando Sturzo lanciava quell’appello, era impegnato da quattro anni nelle lotte municipali della sua Caltagirone e da due era consigliere comunale d’opposizione. Nel 1905 diverrà pro-sindaco e resterà in carica sino al 1920.
Eugenio Guccione
Pubblicato su Servire l’Italia