La Settimana Sociale, tenuta a Trieste, nello scorso mese di luglio, sembra voler avviare un progetto di assunzione, da parte dei cattolici, di una rinnovata responsabilità politica, che sia all’altezza del momento storico in cui siamo immersi.
Le prime reti abbozzate in quell’occasione, i temi discussi, ma, anzitutto, l’argomento stesso della Settimana – “Al cuore della democrazia” – sono stati ripresi martedì scorso, sempre nel capoluogo giuliano per dare continuità ad un percorso arduo quanto necessario.
Per inoltrarsi su un terreno irto di difficoltà e di spine è necessario avere con sé gli strumenti adatti a disboscare, aprire sentieri impervi, esplorare falde acquifere e sorgenti che possano alimentare le teste di ponte via via da costruire. Ogni cammino, per quanto lo si debba distribuire su più tappe, è per definizione tale se dal primo avvio al definitivo approdo, per quanto non sia sempre e necessariamente rettilineo, conservi il carattere della continuità. In altri termini, bisogna fare chiarezza e condividere alcuni aspetti di metodo, per ora pochi ed essenziali: i “fondamentali” della politica.
Perché di questo si tratta e la politica ha, molto più di quanto non appaia, una sua “geometria” che va compresa e rispettata, se non si vuole andare a sbattere alla prima occasione.
Ed è ancora a Don Luigi Sturzo che è bene abbeverarci. Fondando il Partito Popolare, ci ha indicato come debbano essere sciolti, almeno tre nodi, che oggi, per quanto in un diverso frangente, si ripropongono.
Anzitutto, il “salto” dalla dimensione culturale, formativa, sociale, accademica, insomma “pre-politica” – come si dice oggi, ricorrendo ad un termine, peraltro, scivoloso – del proprio impegno al piano prettamente, espressamente politico. Il che – va detto con molta franchezza – vuol dire, possibilmente più prima che poi, “partitico”. Atteso che, fino a prova contraria, attori della vita politica ed istituzionale sono tuttora i partiti, che vanno ripensati nelle loro forme e nelle loro funzioni, ma pur sono sempre indispensabili, per quanto sia vasto e spesso meritato il discredito di cui hanno fin qui sofferto e tuttora soffrono.
I partiti sono indispensabili perché essere “partito” vuol dire “prendere parte” e “prendere parte” significa, nella coralità del discorso pubblico, assumere una posizione e saperne dar ragione; conseguentemente, scostarsi da altre, a costo di pagare dei prezzi.
La dialettica democratica avviene tra “parti” e solo in quanto ognuna di queste rivendica una sua originalità e dà conto di una certa specifica fisionomia, è possibile quel proficuo confronto che, esattamente nella misura in cui rispetta le differenti identità, consente che concorrano efficacemente alle necessarie mediazioni.
Attestare la propria identità viene, da taluni, interpretato come un gesto divisivo, se non addirittura arrogante. Senonche’, è vero esattamente il contrario: è una forma di rispetto per sé stessi e, ad un tempo, per i propri interlocutori di cui si riconosce come la particolare modalità di pensiero sia meritevole di un confronto, secondo un principio di reciproca legittimazione. In caso contrario, si cade nella melassa appiccicosa di fusioni confusive in cui culture politiche differenti, eppure pregevoli, anziché incrementare una comune capacità di interpretazione del momento storico, si elidono a vicenda.
Aderire ad un partito non è mai, del resto, una “sine cura” e nemmeno, come comunemente molti pensano, una sorta di privilegio o fonte di privilegi attesi. Succede, al contrario, che talvolta se ne debba pagare un prezzo e fors’anche per questo – oltre che per l’antipatia sociale di cui si diceva sopra – molti sono reticenti ad assumere un ruolo di schietta militanza politica, evitando – più che legittimamente – di sacrificarle opportunità personali, coltivate in altri campi oppure in una zona grigia ed indistinta, che fiancheggia il complessivo sistema politica e resta aperta a differenti possibili evoluzioni.
La ricerca culturale, l’impegno civico e sociale, la formazione delle coscienze sono di fondamentale rilievo, ma non devono essere momenti o pretesti che dilazionino un impegno politico organico e strutturato. Soprattutto, in un arco temporale in cui molte cose nuove irrompono e quasi succedono di per sé, senza che i cattolici – a differenza di altre linee di pensiero – possano concorrere ad orientarle.
In secondo luogo, la corretta e chiara accettazione della laicità della politica. Infine, la consapevolezza – che Sturzo aveva molto chiara – della divisione che la fondazione del PPI introduceva tra cattolici democratici e cattolici conservatori. Tre momenti, tre nodi – compreso quest’ultimo – che, sia pure in altro contesto, si pongono anche ai giorni nostri.
La laicità, appunto, in secondo luogo: non fa che ribadire il primato della responsabilità strettamente personale dell’impegno politico dei credenti, senza che la loro azione coinvolga o comprometta l’autorità della Chiesa, senza strumentalizzarne l’autorità pro domo propria oppure pretendere assensi o legittimazioni fuori luogo. Anzi, concorrendo ad evitare che la Chiesa come tale debba entrare troppo da vicino in questioni particolari e contingenti della lotta politica quotidiana che non attengono alla sua missione spirituale e la esporrebbero al rischio di una sorta di neo-temporalismo.
Laicità vuol dire, inoltre, accettare il confronto con le altre culture in condizioni di parità, senza pretendere un di più, una qualche sorta di privilegio o di primato dovuto alla fede e, nel contempo, rivendicando con forza, di quest’ultima, la piena legittimità ad ispirare una presenza che sia pubblica a tutti gli effetti, respingendo le pretese di quegli ambienti laicisti che vorrebbero circoscriverla nell’interiorità della coscienza di ogni credente, nella singolarità di ciascuno.
Infine – e qui non è necessario dilungarsi, tanto la cosa risulta del tutto evidente, a fronte di temi assolutamente rilevanti nel confronto politico in atto ai giorni nostri – come lo sapeva Sturzo, anche noi dobbiamo essere consapevoli che – a maggior ragione considerando l’acceso pluralismo che oggi caratterizza le opzioni politiche ed elettorali dei cattolici – non si tratta di unire, più meno forzosamente, bensì di distinguere. A costo di dividere e separare, rispetto ad alcune discriminanti che hanno a che vedere con la concezione della democrazia e della libertà, chi sta da una parte e chi dall’ altra. Senza infingimenti ed opportunismi.
Domenico Galbiati