Giovanni Palladino, su “Servire l’Italia”, ha fatto un’opera meritoria pubblicando alcune di quelle lettere che don Luigi Sturzo non le inviava e se le teneva per se. Edite da Il Mulino sotto il titolo “Non spedite” venivano fuori dalla penna di Sturzo nei momenti di più grave sconforto quando egli finiva per confidarsi solo con se stesso. Uno di questo momenti di sconforto giunse in occasione della firma dei Patti lateranensi tra lo Stato italiano e il vaticano. E Sturzo scrive:

“Bisogna convenire che il fascismo, almeno per ora, esce rafforzato dal Trattato del Laterano. Come stato d’animo anche i cattolici, almeno in un primo momento, saranno lieti della fine del conflitto fra l’Italia e il Papato. Lieti anche che certi problemi a noi cari – insegnamento religioso e matrimonio religioso – abbiano avuto una soluzione adeguata. Ma capi dell’Azione Cattolica e clero dovranno partecipare a eventi religiosi-politici o anche solo politici a favore del regime fascista. Ogni possibilità di partecipare alla resistenza passiva dei popolari deve essere esclusa.

Quindi il popolo si abituerà a credere che il clero sarà sempre più legato al fascismo e che l’antifascismo dei popolari in Italia sarà sempre più diminuito di ascendente e di importanza. Bisogna che tu, Donati e gli altri esuli vi decidiate a dare l’impressione di esistere come nucleo e al di fuori della mia diretta ingerenza.

Io so bene che la mia coscienza mi dice di restare all’estero come testimone di un pensiero e di una concezione democratica di ispirazione cristiana (che ho chiamato popolarismo) in opposizione al clerico-fascismo. E di non dare adesione ad una soluzione della Questione Romana che unisca il trono con l’altare. Ma io comprendo la delicatezza della mia posizione dopo che la Santa Sede si è impegnata con un Concordato a far fare ai Vescovi un giuramento politico, che oggi si risolve a favore del dominio fascista. Il che si risolve nel fatto doloroso che alla caduta del fascismo (perché il fascismo cadrà) membri del clero e dell’Azione Cattolica saranno accusati di averne favorito l’ascesa e ritardato la caduta.

Io penso che, quando scoccherà l’ora, i popolari debbano dire “presente!” come gli altri partiti anti-fascisti. E per avere il diritto di dire “presente!”, il PPI deve essere vivo e deve aver lavorato sia all’aperto che nell’ombra in Italia e all’estero. Se per via della posizione dei membri del clero dovuta al Concordato non si potrà contare su quelli (non molti) che nel 1919-1922 organizzarono le Leghe operaie e contadine bianche, e di quegli altri, certo pochi, che furono segretari del PPI o consiglieri provinciali e comunali, pazienza: si avrà meno efficienza, ma anche
più libertà di movimento.

Più grave può sembrare la perdita di quei cattolici che dirigono nei vari Paesi l’Azione Cattolica. Ma credimi, caro Francesco, l’80% sono dei conservatori e talvolta sono più clericali che cattolici. Se non furono sinceri popolari nel 1919-1922, non lo saranno di sicuro nel periodo dei più grandi sacrifici che ci saranno imposti dagli avvenimenti. I veri popolari sono e saranno al loro posto. Però un problema molto grave si presenta ai popolari, un problema degno di studio.

Quale il contegno da tenere riguardo alla soluzione della Questione Romana e del Concordato della Santa Sede con l’Italia? Questo problema è di ora e di domani. Oggi i partiti antifascisti accentuano il loro anticlericalismo e domani faranno degli interessi della Chiesa il capro espiatorio della nuova Italia.

I popolari sono d’accordo con gli altri antifascisti nella lotta contro il fascismo fino alla riconquista della libertà. Ma non possono accettare le tesi anticlericali, che ora ribollono. La situazione potrebbe divenire tragica. Oggi è solo necessario prendere posizione”.

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