Se vogliamo ficcarci nei guai fino in fondo è sufficiente che ci affacciamo, anche distrattamente, sulla questione del sacerdozio delle donne. Dove una domanda fa tutta la differenza: perché non io? Perché sono una donna? E chi oserebbe rispondere: sì, perché sei una donna? E se nessuno osa rispondere ‘sì, perché tu sei una donna’ dov’è il problema? Che le donne diventino sacerdoti e andiamo avanti come prima. E questo può essere uno scenario possibile (senza aggiungere la notazione irrispettosa: così almeno la pianteranno di lamentarsi). Ma allora possiamo avventurarci, per puro esercizio intellettuale, in un tentativo di lettura antropologica della questione?
Una prima considerazione mi fu offerta da un amico che commentò candidamente: se Gesù avesse voluto che le donne fossero sacerdoti, la prima sarebbe stata sicuramente sua madre. E l’obiezione che Gesù si sarebbe trattenuto perché considerava politicamente scorretto fare un cambiamento così drastico in una società tradizionale non pronta per la novità, certamente non tiene per uno che ha fondamentalmente sovvertito tutti i fondamenti dell’epoca.
È un fatto che Gesù è sempre stato seguito dalle donne, non meno che dagli uomini. Hanno ascoltato le stesse parole, sono state le prime a testimoniare la sua risurrezione, alla donna samaritana al pozzo ha rivelato le profondità del regno come a nessun altro. In tutto il Vangelo le donne sono state trattate con uguale dignità. Nessuno può addurre alcuna evidenza che Gesù disprezzi le donne. Arrivò fino al punto di dichiarare le prostitute ai primi posti nel suo regno, davanti ai leader religiosi. Il suo approccio ha sfidato – e anzi rovesciato – il nucleo della cultura ebraica, la legge di Mosè: ‘Nella Legge Mosè ci ordinò di lapidare queste donne. Ora che hai tu da dire?’ Il silenzio fu la sua risposta, seguita da quelle parole scolpite nella pietra: “Colui che è innocente sia il primo a lanciarle una pietra”. In quella circostanza ha aperto un nuovo orizzonte agli ascoltatori scioccati e l’occasione gli è stata data da questioni sulle donne.
Le donne contano per Gesù. Eppure nessuna di loro è stata fatta apostolo. È stata negligenza da parte di Gesù? Le aveva dimenticate? Erano ritenute inadatte per lo scopo? La risposta a queste domande non può essere altro che un categorico no, tenendo presente quello che abbiamo appena considerato. Allora perché? Perché una discriminazione così palese? Questa è una di quelle domande giuste che meritano un posto speciale nella nostra mente. Lasciamo che rimangano lì tutto il tempo che desiderano in modo che resettino il nostro sistema operativo – il pensiero. Non lasciamo che una risposta frettolosa dissipi il loro tocco risanatore.
Un primo tentativo di soluzione all’enigma potrebbe essere trovato nella considerazione dei due diversi modi in cui il mondo può essere visto: il modo maschile e quello femminile. Non possono essere ridicolizzati fino al colore blu o rosa del nastro di nascita. È impressionante la descrizione dell’uomo data nel libro della Genesi: “…Dio creò l’uomo, maschio e femmina lo creò”. Per mancanza della parola appropriata potremmo rendere la frase in questo modo “…Dio ha creato l’essere umano, maschio e femmina ha creato l’essere umano”. Si sta quindi dicendo che l’uomo (= l’essere umano) è uno ma fatto di due, che necessariamente devono essere diversi altrimenti l’uomo sarebbe fatto da uno e non da due? Mentre mi scuso per il bisticcio di parole, temo che questo sia esattamente ciò che la Scrittura vuole dire. E dobbiamo lasciarci disturbare da considerazioni di questo tipo. I due modi, maschile e femminile, sembrano non essere semplicemente paralleli, uno accanto all’altro, piuttosto si incrociano continuamente nel quotidiano, formando un angolo. Piuttosto che un ulteriore problema, quest’ultima osservazione può essere una risorsa, poiché un’uguaglianza che esprima uniformità non è di ispirazione a nessuno.
Si potrebbe arrivare a dire che i due geni, quello maschile e quello femminile, sono funzionalmente incompatibili: mancano di un’interfaccia. L’esperienza esistenziale della vita quotidiana delle coppie sposate abbonda di esempi, un argomento fin troppo facile per un comico brillante. Il problema è che sono entrambi necessari allo stesso tempo.
Bene, ma cosa ha a che fare questo esercizio intellettuale con il sacerdozio per le donne? Non è un andare a pescare un po’ troppo lontano? Forse. Oppure può essere una risorsa, può darci una mano a portare il peso della domanda. I tempi sono difficili, certo, ma questo ogni epoca lo dice, ma sono anche veloci, e questo forse è nuovo. Sollecitati da tanti determinanti, quando siamo costretti alla necessità di dissotterrare una parola che abbia la responsabilità di una definizione, non importa quanto provvisoria, siamo spinti a fare affidamento sui fondamentali. Ma anche i fondamentali non sono gli stessi in momenti diversi. In tempi relativamente recenti un rispettato teologo, Urs von Balthasar, ha identificato due diversi profili nella chiesa: il profilo petrino e quello mariano. Il primo in termini non incerti deriva dal mandato esplicito dato da Gesù a San Pietro di costruire la Sua chiesa: “tu sei Pietro e.…”. Il secondo, apparentemente meno evidente, ma sostanzialmente inequivocabile, trae origine da quelle strane parole pronunciate da Gesù morente a Maria: “madre, ecco tuo figlio” alludendo a Giovanni, unico maschio tra le donne presenti, e facile immagine dell’intera umanità. Rafforzato dalle parole speculari: “figlio, ecco tua madre”, come se temesse non sufficiente chiarezza.
Qualunque sia il peso che vogliamo assegnare alle fondamenta dei due profili coessenziali, è arduo impostare una soluzione escludendoli. Esempi di donne di straordinaria statura sono più che in abbondanza nella chiesa. Teresa d’Avila eresse numerosi monasteri in Spagna che attirarono molte ragazze ad una vita monastica attraente. Caterina da Siena riuscì a riportare a Roma l’allora papa in esilio nella città francese di Avignone. Entrambe queste signore hanno ricevuto il titolo di Dottori della Chiesa e come tali sono attualmente onorate. Pochissimi uomini nella storia della chiesa, inclusi i cardinali, possono vantare questo titolo. E nei tempi moderni è sicuramente da annoverare Chiara Lubich, a capo di un movimento spirituale in cui sono presenti uomini e donne di ogni stile di vita, religiosi e non, cristiani, musulmani, ebrei, buddisti, taoisti e non credenti. La particolarità di questo movimento è che, per statuto, approvato dalla Chiesa cattolica, il presidente sarà sempre una donna! Un’icona notevole e davvero potente dei nuovi ruoli che le donne possono ricoprire negli ultimi tempi in un’organizzazione come la Chiesa cattolica, generalmente percepita come un’istituzione con al comando soli uomini. Le donne possono ora essere posizionate in cima alla piramide!
Vorrei concludere con delle parole che mi hanno folgorato quando le ho lette. Sono di Margaret Karram, attuale presidente del Movimento dei Focolari, rilasciate in un’intervista al periodico Città Nuova: “Penso che la soluzione non stia né in un’uguaglianza di ruoli, né in una parità numerica ma nel creare gli spazi dove noi donne possiamo dare sempre meglio il nostro tipico e specifico contributo”.
Mi son sembrate parole frutto di una ispirazione profonda: è una di quelle classiche questioni alle quali non si può rispondere con un sì o con un no. Occorre parlarne, sviscerarne tutti gli aspetti storici, culturali, esistenziali, antropologici, spirituali.
Roberto Brundisini