Appare ormai chiaro che la posta in palio nel referendum costituzionale non è il taglio dei parlamentari, ma il taglio del Parlamento. E’ l’obiettivo finale in fondo alla strada delineata da M5s: nato, cresciuto e consolidato sull’antipolitica, attraverso i “mitici” Vaffa… Pochi ricorderanno quella notte del 2013 quando, attraverso il blog, Beppe Grillo organizzò una marcia su Roma per fare “pressione” sulla candidatura di Stefano Rodotà a presidente della Repubblica contro la rielezione di Giorgio Napolitano. All’improvviso scattò il dietrofront quando molti militanti erano già in viaggio per la capitale.

Le marce a Minsk e Hong Kong per la democrazia sono tutta un’altra cosa. Così pure non va dimenticato quello che successe due anni fa quando Luigi Di Maio, divenuto leader del movimento, minacciò un impeachment nei confronti di Sergio Mattarella perché il presidente non voleva aspettare oltre, mentre M5s e Lega andavano per le lunghe nel definire il “Contratto per il governo del cambiamento del Paese” alla base del Conte I. Sono due casi, forse i più eclatanti, tra i tanti che si possono citare, per evidenziare la scarsa considerazione per la democrazia e per le sue regole da parte di M5s. Ma l’immagine più vergognosa è Di Maio con lo staff maggiore del non-partito e alcuni militanti in piazza Montecitorio a esultare per l’approvazione della legge sul taglio dei parlamentari, tagliando con la forbice una poltrona disegnata su un grande lenzuolo: come dire, tagliamo i rami secchi. Il Parlamento come qualcosa da sfrondare. Un’immagine che offende tutte quelle persone che hanno lottato, molti sono morti, altri hanno pesantemente sofferto, dai tempi della Carboneria alla Resistenza, per regalare agli italiani una Costituzione, l’architrave della democrazia. Pur ribadendo che una riduzione dei parlamentari può starci in un quadro organico e coerente e di riforma costituzionale.

Il gioco dei Cinque Stelle ha stregato prima la Lega, poi il Pd. La direzione nazionale dem ha deciso a larga maggioranza per il Sì. Il segretario Nicola Zingaretti ha precisato che il taglio non deve essere funzionale esclusivamente al risparmio. Eppure è il risparmio che cavalcano i grillini e che più fa presa sull’elettorato orientato per il Sì. Si dice che saranno risparmiati oltre 50 milioni all’anno. Allora viene spontaneo chiedersi: perché non risparmiarne 70 o qualcosa di più? Chi ha deciso di portare i parlamentari da 945 a 600? Perché non 650 o 550? Forse lo ha deciso un algoritmo della piattaforma Rousseau. Un altro autorevole dem ha affermato che in questo modo si avviano le riforme. Il Pd ha mercanteggiato con M5s il Sì con la riforma elettorale proporzionale, ma dopo un anno nulla di concreto si vede all’orizzonte. Un altro autorevole dem ha affermato che il Pd doveva essere coerente: dopo aver votato tre volte contro la riforma, ha votato una volta a favore, dopo essere passato dall’opposizione alla maggioranza di governo: adesso confermando il Sì salverebbe la coerenza. Come direbbe Gaber: ci vuole uno sforzo di fantasia per credere che questa coerenza sia una cosa seria.

Un ministro dem ha giustificato il Sì per puntellare il governo. Un governo che difficilmente sopravivrà alle Regionali di domenica prossima. Non è fantapolitica pensare che Mario Draghi abbia quasi pronta la lista dei ministri. Quel ministro dovrebbe ripassare un po’ di storia e scoprirà che non si mette mano alla Costituzione in base agli equilibri di governo: De Gasperi, presidente del consiglio, nell’unica volta in cui parlò alla Costituente, lo fece dallo scranno di deputato. Una lezione che tanti dovrebbero imparare: il Pd ha tradito due volte in 12 mesi. Mai come in questo momento il vessillo del Partito democratico appare sulle spalle di un gruppo di nani. Legittima la sferzata di Gaetano Silvestri, presidente, Aic, Associazione italiani costituzionalisti, pur parlando a titolo personale. “I cittadini hanno il diritto di valutare il taglio dei parlamentari insieme ad altre misure già adottate, come la riforma elettorale. Invece dovranno votare Sì o No con la semplice promessa che vi si porrà mano”. E aggiunge: “Non vorrei sembrare troppo sospettoso, ma le promesse dei politici italiani non sempre vengono mantenute. Se il Pd si è accontentato, io come cittadino e come costituzionalista, non mi accontento”. Anche l’Amleto shakespeariano ammetterebbe che non c’è nessun metodo in questa follia.

Un’altra osservazione, da non trascurare: forse mi è sfuggito qualcosa, ma non ho sentito nessun governatore esprimersi per il No, gli unici che ho sentito pronunciarsi sono per il Sì, sia pure di partiti diversi e in aperta contrapposizione. Questa è la conferma che i governatori vedono, con la vittoria del Sì, un indebolimento del Parlamento dal quale cercheranno di approfittare per rafforzare il potere delle Regioni. E il braccio di ferro Governo-Regioni durante la pandemia, non è stato un bel vedere.

Il pensiero politico occidentale ha preso le mosse dall’antica Grecia coltivando l’ideale della democrazia “il peggior sistema eccetto tutti gli altri” direbbe Winston Churchill. Agli albori di quel pensiero vi sono i due poemi di Omero: “Iliade” e “Odissea”. Con un indiscusso protagonista: Ulisse. Quell’Ulisse che ha il colpo di genio del Cavallo di Troia spingendo i Troiani, pur stanchi da un decennio di guerra, a cadere nella trappola della seduzione collettiva e Laocoonte inascoltato mentre li supplica a non cadere nell’inganno. Ed è lo stesso Ulisse che, ben consapevole delle insidie delle lusinghe, tappa gli orecchi alla propria ciurma, mentre lui, senza tappi negli orecchi, si fa legare al palo della nave per ascoltare le sirene senza farsi deviare. Il genio dell’inganno cerca di non cadere nella trappola dell’inganno.

Il risparmio, la maggiore funzionalità, il mettersi in linea con altri Paesi europei sono sirene per dare una picconata sul Parlamento e sulla democrazia. Probabilmente è faticoso votare No, sicuramente è rischioso votare Sì.

Luigi Ingegneri

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