“….lo smarrimento del senso dell’insieme che riduce in frantumi la società e l’identità personale…..” rappresenta il connotato di fondo dell’emergenza spirituale che l’Arcivescovo di Milano, Mons. Mario Delpini denuncia nel tradizionale “discorso alla città” in occasione della festa di Sant’Ambrogio.
“Non ci sono scorciatoie” ammonisce l’Arcivescovo e, dunque, “tocca a noi, tutti insieme” riemergere da questa condizione difficile ed amara. Di fronte alla quale la comunità cattolica ambrosiana , per bocca del suo Pastore, si dichiara pronta a collaborare con le istituzioni, recando, ad una rete di impegni comuni che ravvivi la collettività, il concorso delle diverse vocazioni, delle competenze, della pluralità di risorse umane ed associative in cui si articola il mondo cattolico della città.
“Milan l’è un gran Milan” come ha scandito, cimentandosi con il dialetto milanese, Ursula Von Der Layen la scorsa settimana. La Milano della “bela Madunina” di Giovanni Danzi. La Milano “dal cuore in mano” della tradizione meneghina, intrisa dei valori di un cattolicesimo popolare a forte connotazione sociale. La Milano del “cumenda” e dell’ operaio che insieme hanno fatto grande la città perché, al di là del differente ruolo sociale, venivano l’uno e l’altro dallo stesso ceppo culturale e per ambedue il lavoro era “sacro”.
A questa città, l’Arcivescovo che siede sulla cattedra che fu di Schuster, di Montini, di Martini ha ricordato che:
“Abbiamo imparato che l’ideologia non va bene: ha prodotto le peggiori stragi della storia. L’ individualismo non va bene: ha inaridito la voglia di vivere e dare vita e porta l’umanità verso l’estinzione.
Il neoliberismo non va bene. Ha creato disuguaglianze insopportabili”. Ed ancora, sostiene Mons. Delpini: “I mesi della pandemia….hanno decretato il fallimento dell’ io e dell’individualismo, il quale è una forma di presunzione rovinosa”. C’è, piuttosto, “…un dovere da compiere…un servizio da rendere…un contributo da offrire….” e, ribadisce l’Arcivescovo, “Tocca a noi, tutti insieme”.
Infatti, non un equilibrismo che conduce a “compromessi precari, ad alleanze temporanee, a collaborazioni calcolate”, bensì, al contrario: “Quello che può dare fondamento ad una società, anche nel mutare dei suoi governi, quello che può dare motivazione a una economia, anche nelle diverse congiunture, quello che può mantenere l’ identità di un popolo, anche nella molteplicità delle sue componenti, è la visione condivisa, una interpretazione pregiudiziale della storia, del presente, del futuro…..”
Come può l’ “umanesimo lombardo” concorrere a “dare volto ad una visione condivisa che non sia violenta come una ideologia o precaria come un compromesso”? L’umiltà, anzitutto, ricorda Mons. Delpini, e la modestia come “consapevolezza del limite” perché la “visione condivisa non è una ricetta, non è un sistema in cui tutto è al suo posto…..non è una prescrizione autoritaria”.
E questo avviene in quanto: “Non tutto è chiaro. Nessuno può presumere d’ essere maestro e di considerare gli altri scolari da indottrinare. Questo è tempo di costruzione paziente, non di opere compiute. E’ tempo per bonificare un po’ di terra e seminare quel pezzetto di terra che tocca a ogni famiglia, a ogni persona. Non ci sono opere perfette, piuttosto tentativi. Eppure vale la pena. L’opera ben fatta è già premio”. Del resto, “La condivisione, infatti, non è un automatismo, non si dà per forza di natura. E’ un processo complesso e non lineare, che chiede lavoro e impegno costante, confronti e verifiche. D’altra parte, senza condividere percorsi comuni, non si può scrivere insieme nessuna storia.”
Il “discorso alla città” dell’Arcivescovo Delpini continua con un importante capitolo dedicato all’ educazione ed all’alleanza educativa che merita di essere considerato ed approfondito a parte in una apposita occasione.
“Voglio ringraziare – dice, infine, Mons. Delpini – quelli che si fanno avanti e dicono “Eccomi. Tocca a me”….quelli che si fanno avanti per gli incarichi istituzionali……i sindaci, le forze dell’ordine, gli operatori dei servizi pubblici….quelli che comprendono che c’è un momento per farsi da parte, che non si ritengono né inamovibili, né insostituibili……quelli che per la loro situazione familiare, personale, professionale non possono farsi avanti, non possono fare altro che quello che già fanno, ma si alzano ogni mattina e senza sbuffare, senza lamentarsi, si mettono all’opera e si dicono: “Tocca a noi…..”.
In effetti, tocca anche a noi, anche a chi intende operare sul piano politico ringraziare Mons. Delpini della freschezza e dell’ ispirazione, del grande insegnamento che, per la loro azione quotidiano, traggono dalle sue straordinarie parole di Pastore della Chiesa ambrosiana.
Domenico Galbiati