Si aggirano molti spettri, dotati di “ismo”, nei cieli dell’Occidente. Eccone alcuni: trans-umanismo, post-umanismo, accelerazionismo, geo-traumatismo…
Nei cieli? Non proprio, ma certamente nelle università, su Youtube, nei “think tank” vicini alla politica, nei giornali e nelle Fondazioni. Che cos’hanno in comune? L’idea di concludere l’itinerario della concezione millenaria dell’uomo e della storia, che ha fatto da sfondo alle vicende dell’Occidente.
Siamo all’”ultimo uomo”, prevista da Fukuyama? Forse no. Ma possiamo legittimamente sospettare che abbiano anche qualcosa a che fare con le fratture di faglia che oggi attraversano l’Occidente o quel che ne resta.
Il trans-umanismo
Il primo spettro si è presentato con il “Transhumanist Manifesto” del 1998. Nel 2021 è nato negli USA un Partito transumanista. L’ambiente culturale è quello dell’Anglosfera.
Sua “mission” non è, apparentemente, quella di scalzare la specie “homo sapiens” dal trono dove si è auto collocata, ma, semmai, di potenziarne le performance.
Mediante le biotecnologie, l’applicazione di circuiti neurali e il ricorso all’I. A. si propone di moltiplicare le capacità intellettive e mnemoniche.
Sono anni che Ray Kurzweil predica che “la singolarità è vicina”, cioè che l’Intelligenza artificiale sorpasserà quella umana, a partire dal 2029. Ma, intelletto a parte, l’ambizione è più grande: prolungare la durata della vita, mediante la tecnica crionica, e conquistare all’immortalità.
Basterà estrarre la Mente dal suo corpo mortale con una semplice operazione di download per farla vivere in un robot sottratto all’usura del tempo, sempre aggiornabile e aggiustabile. Il corpo è solo una protesi, sostituibile con altre più durevoli. D’altronde, si avvicina il tempo della placenta meccanica, in cui far sviluppare ovuli fecondati.
Dietro le quinte si agita l’antica idea gnostica di liberare la Mente dai miserabili impacci del corpo mortale, in cui è incarnata e prigioniera – tra cui quello fondamentale della differenza maschio/femmina – per” fare ali folle volo”, quello raccontato dal Canto XXVI dell’Inferno, oltre le colonne d’Ercole della specie.
Il post-umanismo
Ed è oltre quelle che si dirige il “post-umanismo”, filosofia ispirata dell’Eurosfera filosofica continentale, nata più dalle cattedre che dai laboratori, ma anche più ambiziosa speculativamente.
Non si tratta più di potenziare l’Umano, ma di dissolverlo nella relazione con la tecnologia, con la natura e con altre forme di vita. Basta con le opposizioni femmina/maschio, mente/corpo, natura/cultura. L’uomo non è più la misura di tutte le cose. Queste le tesi di alcuni, tra cui Donna Haraway, la filosofa statunitense, che, a partire dai “gender studies”, è approdata all’identità umana come “cyborg”, come forma ibrida di organico e di tecnologico.
Il corpo è sempre meno “naturale”. E poiché sul corpo l’intera cultura occidentale ha costruito le categorie del dominio – ecco riapparire qui tutti insieme Foucault, Deleuze e Guattari! – la rinuncia al corpo rende possibile una condizione umana simbiotica con la Terra e la Tecnologia, fatta di identità nomadi, liquide, plurali, finalmente liberate dal “patriarcato cis-etero normativo”!
Secondo i post-umanisti siamo sempre stati post-umani. Siamo sempre stati dei cyborg, perché la tecnologia ha sempre fatto parte di noi. Noi creiamo la tecnologia, ma è la tecnologia che ci definisce umani rispetto alle altre specie animali. Che, infatti, non ne sono capaci.
Questa è anche la linea di Rosi Braidotti, filosofa italo-australiana, che ha scritto “Posthuman Feminism” nel 2022, nel quale le questioni della giustizia sociale, del genere, della razza e della classe si possono risolvere solo nel “post-umano” nomadico.
E qui arriva lo “xeno-femminismo” post-umanista di Helen Hester e del gruppo di ricerca “Laboria Cuboniks”, cioè tecnomaterialista, antinaturalista e abolizionista del genere e che critica, en passant, il femminismo storico perché “bianco, cisgender e non-disabile”.
L’accelerazionismo
Il “Manifesto per una politica accelerazionista” del 2013, scritto da Nick Smicek e Alez Williams, attinge al “Cybernetic Culture Research Unit” del 1992 del filosofo Nick Land, che si ispira, a sua volta, a Deleuze e al trans-umanismo, in versione distopica e nichilista.
Il punto di partenza dell’accelerazionismo è la contraddizione già individuata da Marx, secondo il quale i rapporti di produzione capitalistici imbrigliano e alla fine bloccano lo sviluppo delle forze produttive – oggi sempre più costituite dalla conoscenza e dalla scienza/tecnologia – e perciò fanno implodere il sistema capitalistico.
Tuttavia, come Asor Rosa, Mario Tronti e Toni Negri furono costretti a notare nei lontani anni ’60, il capitalismo si è dimostrato così potente da imbrigliare ogni potenziale antagonismo che nasce da quella contraddizione. In parole povere, avrebbe addomesticato i partiti e i sindacati della classe operaia. Se è così, è inutile attendere un qualche antagonismo liberatore dall’interno di quella dialettica.
Occorre, viceversa, “accelerare” lo sviluppo delle forze produttive, di cui la conoscenza/coscienza umana è la prima, puntando su un iper-sviluppo delle tecnologie. Sono esse il motore della liberazione. Chi vuole disfarsi del capitalismo deve spingerlo all’estremo del suo sviluppo. Ma questa conclusione di sinistra è paradossalmente condivisa anche da Elon Musk e Peter Thiel, secondo i quali occorre liberare gli spiriti animali della tecnologia, verso un futuro dominato da Neuralink, dall’I.A.
La liberazione delle forze produttive esige il superamento dei vincoli del capitalismo liberale, cioè delle istituzioni della democrazia nazionale e sovranazionale.È il Deep State, lo Stato profondo l’ostacolo da sradicare. Il che equivale a dire che la direzione politica della società verso il progresso spetta automaticamente a chi guida il processo tecno-produttivo.
Il geo-traumatismo
Siamo con ciò approdati all’ultima spiaggia del nichilismo occidentale? Non ancora! A questi -ismi si sta aggiungendo il catastrofismo filosofico, eccitato dai temi dell’inquinamento e del cambiamento climatico.
Alcuni giovani filosofi hanno riscoperto, contro la tradizionale impostazione biblica del rapporto tra gli uomini e la natura – la natura ci ospita benevolmente o la natura è stata creata per noi – che la Natura è… matrigna, anzi nemica. Come scrive Thomas Moynihan, “Il nostro ambiente galattico diventa esso stesso un’incombente catastrofe di proporzioni cosmiche: rendendo drammatica la già sconsolata intuizione che la natura stia cospirando per generare la nostra estinzione…”. D’altronde, chi crede di essere il nostro Pianeta? Tutta la storia del Pianeta finirà necessariamente in un Inferno, non subito si intende, tra circa 4 miliardi di anni. E intanto?
Deliri di un ceto intellettuale elitario?
E allora?… Ancora non vediamo torme di cyborg per le strade, la Terza guerra mondiale non è ancora scoppiata, la superficie del Pianeta pare ancora abbastanza abitabile, la gente nasce e muore.
Si è quindi tentati di considerare questi -ismi solo dei deliri oracolari post-nietzscheani e post-foucaultiani di un ceto intellettuale elitario, che si muove per linee accademiche interne. Con il fine di épater le bourgeois e di inventarsi cattedre di “social studies”, “gender studies”, “racial studies” – che alimentano il wokismo, oggi entrato nel mirino del trumpismo.
I resoconti che ne vengono fatti di alcuni di questi – tra i più recenti quello di Manfredi Negro su Argumenta – sembrano limitarsi a registrarli, restando alla larga da criteri di valutazione e da domande del tipo: vero/falso? bene/male? Ma qui da queste domande non si può prescindere. Perché questi movimenti culturali hanno conseguenze socio-culturali e politiche. In primo luogo, nella formazione/educazione delle giovani generazioni. I messianismi e gli apocalittismi sono paralisi ipnotica della ragione, vuoto oracolare che sta corrodendo l’Occidente dall’interno.
Giovanni Cominelli