Il giudizio sui tre anni di governo Meloni non può che essere articolato. Sì, perché si deve ancora considerare quali fossero i punti di partenza. Cioè quelli della posizione sull’Europa e quelle promesse elettorali di natura populistica che facevano temere per la tenuta dei conti pubblici e dell’apertura di una vera e propria crisi – alla Orban per intenderci – con Bruxelles e gli altri leader europei.

Si può quindi dire che i giudizi positivi possono essere espressi perché questo Governo non è quello della “prima “Meloni” che, però, tanti elementi ci possono portare a ritenere sia sempre pronta dietro l’angolo. Anche perché è continuato l’antagonismo con la Lega nella paura che Salvini possa erodere quell’elettorato di destra “dura e pura” che continua ad avere un certa considerazione nell’orizzonte della nostra Presidente del consiglio.

I conti pubblici restano sotto controllo, come ha appena confermato l’impostazione della legge di Bilancio che abbiamo definito ” da poveri” (CLICCA QUI). Resta l’incognita – lo abbiamo già detto – su quella del prossimo anno, allorquando, entrando nella vigilia delle elezioni, si potrebbe assistere, invece, ad una scelta di distribuire mance e mancette destinate a restare a carico delle prossime generazioni, in prospettiva, e, nell’immediato, ad un eventuale governo diverso che dovesse farla uscire da Palazzo Chigi.

Anche quest’anno, infatti, notevoli sono le spese previste a partire dal 2027. L’ultimo caso eclatante è quello degli interventi a favore delle zone alluvionate dell’Emilia, colpite duramente e con continuità negli ultimi anni,  costrette ad attendere, infatti, quella data per veder dare corso agli interventi tanto solennemente promessi. Al punto che è la Regione Emilia e Romagna a doversi far carico di un anticipo.

Sulla scelta di una finanziaria “povera” avrà sicuramente pesato il fatto che, con il 2026, finirà l’effetto benefico portato dai finanziamenti del Pnrr. Che anche nel corso di questo terzo anno di guida Meloni è rimasto un qualcosa di “misterioso”.

Per tenere i conti pubblici sotto controllo, e non volendo, non potendo, o non sapendo costruire una politica alternativa, il Governo Meloni – anche questo lo abbiamo già detto – ha fatto sostanzialmente il proprio mestiere, e cioè quello della destra. Privilegiato il sistema finanziario e le rendita  I’m produttiva. Oltre che gruppi sociali che non amano confrontarsi con il mercato e contano sempre sull’aiuto della politica…  spesso imponendosi.

Il cordone della borsa stretto ha significato, per il terzo anno di fila, la mancanza di investimenti destinati all’innovazione e allo sviluppo, la rinnovata mancanza di attenzione al Mezzogiorno e ai giovani -come ci ha appena ricordato Michele Rutigliano (CLICCA QUI). Anche quest’anno, i dati sull’occupazione sono rivelatori perché, ad un aumento complessivo degli occupati, la scomposizione delle statistiche continua a mostrarci che molta di quella occupazione in più va trovata nelle fasce di chi ha un’età superiore ai 50 anni. E, ovviamente, senza entrare nel merito della questione salariale che ci vede, ancora una volta, in fondo alla classifica europea. I giovani più brillanti e capaci hanno continuato a trovare lavoro in altre parti d’Europa, come un crescente numero di medici e di infermieri.

La produzione industriale non ha smesso di calare, quasi come se fosse una costante in quasi tutto il periodo dei 36 mesi di governo Meloni. Al contrario, non si è arrestata, in direzione opposta, la crescita dell’inflazione che stravolge il carrello della spesa. E anche la Legge di Bilancio del ’26 non interverrà in maniera sostanziale per contenere l’erosione del potere di acquisto da parte dei consumatori ed impedire che si limitino e si modifichino le spese.

Un quadro che cozza completamente con l’immagine che viene fatta circolare all’estero. E questo spiega la durezza della reazione di Giorgia Meloni alle valutazioni su di lei espresse da Elly Schlein che, in un consesso internazionale, è andata contro la vulgata corrente.

E qui, senza entrare nel merito dei limiti dei suoi oppositori- del resto, lo abbiamo già fatto tante altre volte su queste pagine, ed oggi ci ritorna Domenico Galbiati (CLICCA QUI) – non possiamo non registrare come, forse, Giorgia Meloni, sia consapevole di un bilancio sostanzialmente negativo dei suoi primi tre anni a Palazzo Chigi. Persino mettendosi dal punto di vista del grosso del suo elettorato non ideologizzato, cui è stata promessa una “stagione dell’oro”.

A Giorgia Meloni, comunque, resta la palma delle cavalcate sul proscenio internazionale. Ha mantenuto ferma la posizione sull’Ucraina. Anche se non si riesce a capire come sia possibile conciliare la sua idea di applicare al paese di Zelensky un qualcosa di simile all’art 5 della Nato se, poi, corre a dichiarare che, comunque, nessun militare italiano metterà piede sul suolo ucraino. Ed è probabile che sia questo punto interrogativo a spiegarci perché sul tema non è ancora ritornata.

Anche questo terzo anno di governo conferma il suo applicare i due pesi e le due misure a seconda delle parti coinvolte. Il riferimento va alla sanguinosa operazione di Israele a Gaza e all’allargamento dell’occupazione dei territori palestinesi della Cisgiordania. L’Italia – certamente non è stata la sola -ha costantemente respinto l’idea di interventi europei più fermi e decisivi nei confronti di Netanyahu. E non sono alcune decine di bambini malati palestinesi – lodevolmente fatti uscire dalla Striscia di Gaza e portati in ospedali italiani – così come il lancio di un po’ di cibo sui territori distrutti dagli israeliani, a far dimenticare una decisa latitanza dettata dall’alleanza politico -ideologica con Trump e il Primo ministro d’Israele.

E il tipo delle sue reazioni di quest’anno alle imponenti manifestazioni popolari e all’opera della Flotilla aggiungono la pennellata finale ad un’azione di governo largamente deficitaria. Che poi sia uno dei più longevi della Repubblica italiana cambia poco.

Giancarlo Infante

About Author