“Rigenerare in Cristo la società civile: riparare, nella grazia, l’ordine umano collettivo; ridare al culto collettivo, alla Ecclesia, il posto che gli spetta!….un vasto movimento politico di cattolici non può venire che da una nuova offensiva della Chiesa per la conquista del mondo civile”(Giorgio La Pira).  Una comunità solidale ispirata ai principi cristiani.

E’ questa l’esortazione di tre grandi domenicani: S. Tommaso d’Aquino (1225-7 marzo 1274), S. Antonino Pierozzi (1389-2 maggio 1459) e Gerolamo Savonarola (21 settembre 1452-23 maggio 1498) .

Benché siano trascorsi tanti secoli, i loro insegnamenti morali costituiscono ancora oggi-a mio parere- una guida irrinunciabile per tutti noi e ci indicano come primaria la necessità di contribuire tutti insieme, con una presenza decisa ed unitaria di cattolici- proprio in giorni così drammatici e in un clima di forti tensioni sociali e politiche- a (ri) costruire in ogni città una “socialis dilectio” , l’amicizia politica o amicizia sociale.

Per S. Tommaso “homo naturaliter est animal politicum et sociale”, ma la società a cui Tommaso fa qui riferimento non ha nulla a che fare con lo Stato nel senso moderno del termine.

E’ la civitas, che indica non l’agglomerato urbano, e nemmeno il territorio, bensì l’insieme dei cittadini, la multitudo : la domestica multitudo, la famiglia, che si allarga e completa con la multitudo civilis, dalla quale viene aiutata non solo per i suoi bisogni materiali, ma anche per i suoi bisogni morali.

La politica – afferma S. Tommaso – è “scientia civilis”: possiede una particolare dignità rispetto a tutte le altre scienze pratiche e rientra nel settore delle scienze morali, ossia delle scienze dell’agire.

Essa trova il suo centro vitale nella polis : in questo senso egli considera la città-Stato (civitas) e lo Stato( regnum) come le communitates perfectae, la cui perfezione si manifesta nell’unità dell’ordine.

“La ragione della fondazione di un regno deve essere desunta dall’esempio della creazione del mondo”, al cui riguardo si deve considerare anzitutto la genesi delle cose stesse, e quindi l’ordinata distribuzione delle parti del mondo.

“Compito (di chi ha il potere) consiste in tre operazioni: primo creare nella moltitudine le condizioni di una retta via, secondo, conservarla, terzo promuoverla a ulteriore perfezione. Ora nel ben vivere di un uomo due condizioni si richiedono di cui una principale: l’operare secondo virtù. La virtù infatti è ciò per cui ben si vive (qua bene vivitur); l’altra secondaria e quasi strumentale, è la sufficienza dei beni materiali, il cui uso è necessario agli atti della virtù.

Così per creare il ben vivere di una moltitudine si richiedono tre condizioni: prima che essa sia costituita in unità di pace; secondo che, unita da vincoli di pace, sia indirizzata al bene operare. In terzo luogo occorre (inoltre) che […] siano sufficientemente provvedute le cose necessarie al ben vivere […]” (De Regimine principum , Libro primo, capitolo XV) “è opportuno ai re e ai principi nei loro domini provvedere ai poveri col comune erario dello Stato […] in ogni provincia, città, castello o tal esercito e ministero, sono istituiti ospedali da re e da principi e gentiluomini a sollevare la miseria dei poveri e non solo presso i cristiani, ma anche presso gli infedeli. I quali istituivano a sollievo dei bisognosi case ospedaliere che chiamavano ospizi” (De Regimine principum, Libro secondo, capitolo XV).

L’unione delle persone o bene comune è ottenuta dalla giustizia, ma è perfezionata dall’amore naturale. Per ottenere il buon governo – osserva S. Tommaso – dobbiamo non solo osservare la giustizia, ma anche promuovere l’ “amicizia politica” o “amicizia sociale”.

L’Aquinate coniò l’espressione “socialis dilectio” –, la quale “sia tra i cittadini di una stessa città, sia tra diverse città, è la stessa cosa che la concordia”.

C’è un’amicizia sociale: l’amicizia unisce gli uomini buoni e preserva e promuove la virtù. L’amicizia è necessaria a tutti gli uomini in qualunque professione occupino.

Nella prosperità non si autoalimenta su di noi, né ci diserta nelle avversità. (De regno ad regem Cypri, I,11; Ed.Leon,42, 461); e c’è un’amicizia naturale tra tutti gli uomini: “l’uno per l’altro a causa della loro somiglianza in natura specifica. […] della loro origine naturale, o di qualche somiglianza nelle abitudini della vita, o di qualsiasi tipo di sociale interessi”.

Nella Summa Teologica, dopo aver esaminato la giustizia, nei suoi vari aspetti (legale, distributiva e commutativa), S. Tommaso ci offre una riflessione di grande rilievo morale sulla proprietà privata.

Egli ha presente le posizioni dei Padri della Chiesa che consideravano il ricco un buon cristiano solo se amministrava i suoi beni largheggiando con i poveri: lo consideravano solo “amministratore” dei suoi beni di cui avrebbe dovuto rendere conto a Dio.

I beni della terra – afferma l’Aquinate – appartengono a Dio in ultima analisi: l’uomo può averne il possesso, ed è bene che li utilizzi e ne abbia cura, ma il suo diritto non è assoluto. L’altra facoltà che ha l’uomo sulle cose esterne è il loro uso. Ora, da questo punto di vista l’uomo non deve considerare le cose come esclusivamente proprie, ma come comuni: in modo cioè da metterle facilmente a disposizione degli altri in caso di grave o estrema necessità.

Chi è in una società è in certo senso parte e membro di tutto il corpo sociale. Perciò chiunque agisce in bene od in male di qualcuno che si trova in società agisce in bene od in male della società medesima. Come chi lede una mano, per conseguenza lede l’uomo.

Lo stesso bene o male che ciascuno fa singolarmente a sé stesso si ripercuote sulla società.

La concezione politica di S. Tommaso è diventata, in certo senso, il principio basilare del nostro edificio politico e si articola in due punti: che vi sia un bilanciamento equilibrante (in tre parti) dei poteri( talis principatus ad omnes pertinet, tum quia ex omnibus eligi possunt principes,tum quia etiam ab omnibus eliguntur) ; che tutti i cittadini siano chiamati a partecipare come elettori e come eleggibili alla cosa pubblica (ut omnes aliquam partem habeant in principatu) .

In relazione alla partecipazione della vita politica, un altro grande santo domenicano, Sant’Antonino Pierozzi (compatrono di Firenze) si è battuto per la difesa della libertà di voto nelle elezioni dei rappresentanti cittadini.

Cosimo de’ Medici, dopo il ritorno dall’esilio(1434) per consolidare il suo potere, violando la Costituzione della Repubblica, tentò di introdurre alcune modifiche al meccanismo di nomina dei Rappresentanti del popolo. Cosimo mirava a sopprimere il voto segreto delle elezioni, così da poter introdurre nelle borse nomi di sostenitori ed amici; inoltre , nella proposta del nuovo regolamento  si prevedeva  che , al posto del sorteggio, i nominativi delle persone da eleggere  sarebbero stati scelti preventivamente.

Queste modifiche pur lasciando in auge l’istituzione democratica delle votazioni , in pratica la svuotava di ogni libertà.  Cosimo stava mirando a diventare il dittatore di Firenze ma non aveva fatto i conti con il santo Arcivescovo.

Antonino si sentì in dovere di intervenire “ a salvaguardia dei diritti di Dio e dei cittadini”.  Così, non esitò a fare affiggere alle porte delle chiese, alcune pergamene da lui scritte e sottoscritte in cui dichiarava senza mezzi termini che coloro che favorivano quella manovra erano da considerarsi “ spergiuri contro la  Costituzione della Repubblica”. La presa di posizione del grande Domenicano fece l’effetto di un fulmine in ciel sereno e suscitò controverse reazioni: molti lo ammirarono per il coraggio, altri – i sostenitori di Cosimo- lo criticarono; alcuni giunsero perfino a minacciarlo. Una delegazione andò all’Arcivescovato per chiedere spiegazioni per “ l’ improvvida ingerenza” .

Sant’Antonino rispose che aveva fatto solo il Suo “ dovere di buon pastore  per salvare le anime loro , acciocchè per lo spergiurare non si dannassero…”. E quando i delegati lo minacciarono di destituzione, Antonino – almeno così riferiscono gli antichi cronisti  – dopo essersi fatto una bella risata si dice abbia esclamato:” Deh…per amor di Dio, fatelo; ché io ve ne prego! Se voi lo fate io ve ne resterò obbligato e leveretemi uno grande peso di in su le spalle, e andrommene in Santo Marco in una mia cella, che ho le chiavi qui allato…”. Agli sbalorditi inviati non rimase che andarsene  con la coda fra le gambe. Antonino vinse una battaglia di libertà ed il problema delle elezioni fu sospeso per alcuni anni. Forse, fu proprio in occasione di questi avvenimenti che il nostro Domenicano scrisse alcuni appunti di etica “ politica” che poi sarebbero serviti alla composizione di un paio di lunghi paragrafi della Summa Moralis.

“ Ogni governo- osserva Antonino Pierozzi- deve dominare secondo il modo stabilito dalla sua giurisdizione e non oltrepassare i limiti di ciò che gli fu attribuito. E poiché in molti luoghi, come avviene a Firenze, quando uno entra in carica, giura di osservare gli Statuti della città e prende certi impegni precisi, scrupolosamente attenda ad osservarli, altrimenti è spergiuro e commette , senza dubbio, peccato mortale (Summa moralis, parte III, tit. 3, cap. 4)

E ancora “ Parimenti, i Signori, oltrepassano il loro potere  quando non permettono ai Consigli di votare liberamente, quando con violenza o molta importunità  obbligano i votanti a mostrare i loro voti. Infine peccano gravemente quando agiscono…contro la libertà.; e se giurano di dare le fave coperte divengono spergiuri agendo al contrario: e peccano mortalmente. Il timore o il sospetto di dare dispiacere ad alcuno non li scusano, nemmeno il pericolo di rappresaglia o di odio. Ciascuno deve infatti sopportare ogni male piuttosto che acconsentire a questo peccato”(Summa moralis, parte III, tit. 3, cap. 4).

In conclusione “Tutti i  governi degli uomini cristiani- osserva Gerolamo Savonarola- devono essere ordinati finalmente alla beatitudine a noi da Cristo premessa. E perché a quella non si va, se non per il mezzo del ben vivere cristiano, del quale (come abbiamo provato in altri luoghi) nessuno può essere migliore, devono i cristiani istruire tutti i governi, e particolari e universali, per tal modo, che questo ben vivere cristiano conseguiti da quelli principalmente, e sopra ogni altra cosa. Essendo l’uomo animale sociale che non sa e non può vivere solitario, è stato necessario come gli uomini si radunino e congreghino insieme o in città, o i castelli, o ville, e facciano congregazione insieme per i bisogni comuni. E chi attenderà più presto al bene comune che al proprio, Dio li concede i beni temporali e spirituali e eterni. E chi ha l’amore suo retto e non distorto amerà sempre più il bene comune che il proprio. E’ necessario ancora, in una città ben regolata, che quelli che governano facciano che le gravezze che si pagano per la città e per il dominio siano poste giustamente e sopra i beni, e non per arbitrio come è stato qualche volta fatto, acciocché gli uomini si possano esercitare per il bene universale. Cristo fu la forma di tutti i reggimenti e le sue regole sono notissime a tutto il mondo, cioè la semplicità, la carità e l’umiltà. In queste tre virtù consiste l’arte del regnare.

“La carità opera cose grandi e mirabili … Così come i rami, i fiori, le foglie e  i frutti sono in potenza nella radice dell’albero, e similmente ogni scienza e ogni legge naturale è radicalmente fondata nel lume della ragione, del quale è scritto : “signatum est super nos lumen vultus tui Domine” così nella carità  è fondamentalmente e virtualmente ogni legge, e chi ha carità può adempiere facilmente ogni legge, essendo la legge una certa misura e regola degli atti umani, dirizza e regola le operazioni umane.

La carità poi è misura e regola di tutte le misure e di tutte le regole, perché la carità misura e regola tutte le altre leggi …Sai tu perché oggi non si trova buon reggimento di anime? Perché la carità è spenta insino a’ fondamenti.”

Il 23 Maggio 1498 Girolamo Savonarola fu condannato a morte per impiccagione e successivamente messo al rogo.

Nino Giordano

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