Grande delusione per il mancato incontro in Turchia, che avrebbe dovuto porre termine al conflitto in Ucraina. E che caricato di attese mirabolanti – preparato in maniera che più pasticciata non si potrebbe – ovviamente non è arrivato. Mentre a Gaza il cannone continua a sparare contro le “formiche”, e la Croce rossa, sempre più lasciate sole dal mondo intero. Intanto, grande è stato il rilievo per le dichiarazioni cinesi di ieri che ribadivano il rafforzamento dei rapporti con la Russia. Ma c’è poco da meravigliarsi. Siamo di fronte ad una continuità con l’impegno assunto, e non da oggi, da Putin e da Xi- Jinping di costruire un nuovo Ordine mondiale. E che lo sconvolgimento di quello sinora prevalente da parte di Donald Trump rende sempre più inevitabile.
Contrariamente a quello che pensava di ottenere l’uomo d’affari dal ciuffo giallo, la divisione tra Russia e Cina non si intravede. Al contrario!. E neppure, come pensavano Joe Biden e tanti leader europei, Mosca si ritrova isolata nel mondo dopo l’invasione della Ucraina. Anzi, pur essendo ancora ai primi passi, il gruppo dei Brics continua a restare come ipotesi di stabilimento di nuovi equilibri. Economici, ma non solo.
Negli anni ’60 nacquero i cosiddetti “paesi non allineati”. Quelli cioè che non volevano, nel pieno della Guerra fredda, schierarsi né con gli occidentali né con Mosca. La differenza è che oggi i Brics tendono a formare un ben più ampio fronte comune distinto, se non avversario, dell’Occidente. Ed anche questo su vari piani. Persino di livello più ambizioso. Come confermato da richieste sempre più insistenti da parte di alcuni di loro, in particolare dal Brasile, per giungere al pagamento di tante materie prime, a partire dal petrolio, non più mantenendo il dollaro come moneta di riferimento ma, addirittura, quelle dei singoli paesi. Cosa che la Russia ha messo in pratica già poco dopo l’arrivo delle sanzioni statunitensi ed europee.
Il fatto è che l’Occidente è diviso. Ancora di più con il ritorno di Trump alla Casa Bianca. E Trump, così facendo, ha dato a Putin la stessa impressione di debolezza che gli dette Joe Biden con il ritiro dall’Afghanistan. Gli europei, poi, stanno contribuendo, quasi quanto hanno fatto i due presidenti statunitensi, nel presentare loro stessi e l’intero Occidente in ordine sparso.
Se con la battaglia dei dazi, Donald Trump pensava di mettere dei punti fermi, sia verso la Cina, sia verso l’Europa, ha fatto male i suoi calcoli. Come gli hanno immediatamente detto i mercati facendogli registrare un bilancio davvero negativo di quei primi cento giorni che, invece, avrebbero dovuto segnare la rinascita dell’America.
Gli sforzi di Trump si sono arenati sul bagnasciuga della globalizzazione. Che ancora esiste e resta fattore caratterizzante la nostra epoca. Una realtà che a favorito agli occhi di Trump soprattutto Europa e, guarda caso, quelli dei Brics. Ovviamente, lasciando da parte la preminenza statunitense in tanti settori come quella delle multinazionali, del controllo dei grandi soggetti della digitalizzazione e dell’Intelligenza artificiale, oltre che della fornitura di servizi. Ma è certo che si vive con grande preoccupazione il ruolo che sta svolgendo la Cina. Ed è per la somma di valutazioni oneste, e di altre meno, che una parte della struttura economica americana ed europea vuole momentaneamente sospendere la globalizzazione e riequilibrarla ancora di più a proprio vantaggio.
Ma proprio perché la struttura dell’economia mondiale mantiene ancora carattere fortemente aperto, gli atti d’arbitrio si scontrano con la globalizzazione della scienza e della conoscenza, con quella della circolazione delle idee e delle persone, con quella dei servizi e dei viaggi di piacere. Soprattutto, dei grossi traffici di prodotti e di merci, come dimostra la flotta ombra delle petroliere russe. Il mercato capitalistico ne ha infatti bisogno per perpetuare l’indispensabile crescita di giri d’affari e di profitti.
Trump spaccando il fronte dell’Occidente l’ha indebolito. E senza riuscire a mantenere le promesse più importanti con le quali ha riguadagnato la Casa Bianca. A partire dall’intenzione di segnare la fine dei conflitti.
Quello di Istanbul, dove il Presidente americano auspicava addirittura di far stringere la mano tra Putin e Zelensky, si è trasformato in un incontro di serie B. E la sua ferrea garanzia di risolvere tutto con una telefonata con il Presidente russo non è stata ancora onorata. Di fronte a quello che, anche se speriamo di no, potrebbe essere un mezzo fallimento dell’incontro di Istanbul, Trump dice che solo dal suo incontro diretto con Putin potrebbe venire una soluzione. Ma davvero è così semplice risolvere un’equazione le cui incognite, con il passare del tempo, aumentano invece di diminuire? Sembra anche lui costretto ad allontanare sempre più la palla pur di tenerla in campo.
Il viaggio in Medio Oriente fa tornare Trump in America con consistenti accordi economici raggiunti con regni e principati del Golfo. Da magnificare in mancanza di successi diplomatici su altri scacchieri molto più necessari per soddisfare l’obiettivo di raggiungere davvero un nuovo Ordine mondiale, come lui vorrebbe intenderlo.
Pensando ai successi da raggiungere in Arabia saudita e nel Qatar, Trump ha lasciato dire sulla sua improvvisa presa di distanza da Israele il quale, intanto agisce continuando a richiamarsi proprio al cosiddetto Piano Trump. Cioè lo sradicamento dei palestinesi. E se siamo stati di fronte ad un gioco delle parti lo vedremo dopo il tour arabo. Anche da questo potremmo avere la conferma che Trump fa i vasi, ma non sempre i coperchi.
Giancarlo Infante