Il messaggio di Donald Trump, alla vigilia del suo insediamento, è giunto davvero chiaro. Anche diffondendo la lista degli invitati alla cerimonia di oggi.

Per quanto riguarda gli ospiti stranieri, in generale, fin troppo facile notare una generale prevalenza dei principali esponenti del “sovranismo” mondiale. Per l’Europa, in particolare, quelli che le sono contro.

Un segno evidente che non può, certo, non essere recepito. E del quale è stata presa buona nota da parte di Bruxelles e delle principali cancellerie europee. Soprattutto da quelle che più contano: Berlino e Parigi.

Come ha scritto Walter Russel Mead su The Wall Street Journal, esse sanno che “il secondo mandato di Trump sarà ancora più dirompente e conflittuale del precedente”. E ciò sulla base del convincimento del Presidente Usa che “gli Stati Uniti saranno più potenti rispetto ai loro alleati principali più che in qualsiasi altro momento degli ultimi decenni”. Dato che, Russel scrive, “ad eccezione degli Stati Uniti, gran parte dell’Occidente è sprofondata nel declino”.

A questo quadro, oltre a Berlino e Parigi, in realtà, bisognerebbe aggiungere anche Londra. Per la quale, infatti, sono cambiate completamente le coordinate rispetto ai tempi del primo insediamento di Trump. Allora, sulle rive del Tamigi c’erano i conservatori di Theresa May, al posto di David Cameron costretto a lasciare Downing Street a metà del luglio 2016, dopo la sconfitta del “remain” al referendum sulla partecipazione alla UE. Oggi, al potere ci sono i laburisti, tra l’altro sotto attacco da parte di Elon Musk. E così, sembra più difficile che politici e stampa britannici continuino a definirsi “gli amici più stretti degli americani”. Nel frattempo, è diventata effettiva la Brexit, da Trump fortemente appoggiata, ma senza che poi il Regno Unito abbia potuto godere – e qualcuno di quelli che sostenevano l’uscita dalla UE lo davano invece per certo – del sostegno americano per superare i contraccolpi negativi facilmente prevedibili a causa dell’abbandono britannico dell’Unione.

Alcuni, oggi, sono già al cospetto di Trump cercando di ritagliarsi un possibile ruolo di “mediazione”. Anche se le carte in mano sono poche e di debole peso in una partita che vedrà al tavolo ben altri giocatori. Quelli che, a partire dai tedeschi, indipendentemente da come andranno le elezioni del prossimo mese, guardano quasi esclusivamente alla gran parte di quei loro interessi consolidati, nonostante tutto, nel sistema europeo disegnato negli anni a trazione franco – tedesca e condizionati da una oggettiva competizione con gli Usa che, certamente, non nasce oggi con il ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Molte incognite pesano, dunque, sul futuro delle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico. Ma non è detto che il dinamismo eccessivo e semplificatore del nuovo Presidente non finisca per creare una situazione mondiale che lo porti ad essere meno avventato. Così come non è detto – e questo non può comunque non essere il nostro auspicio – che proprio l’atteggiamento di Trump, ed il più generale contesto mondiale, non costringano l’Europa a superare le insidie che da ogni lato la stringono. E, dando scacco ai possibili doppi giochi di alcuni personaggi del Vecchio Continente, a reagire a quelli che Russel Mead, evidente interprete del pensiero del nuovo Presidente Usa, definisce – con pessimismo francamente eccessivo – “tre decenni di fallimento economico, politico e strategico”.

Giancarlo Infante

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