Parliamo comunemente di “ordine mondiale”, lamentiamo, oggi in modo particolare, la sua dissoluzione, ci interroghiamo sulle possibili strategie di ricomposizione di un nuovo assetto – appunto “ordinato” – delle relazioni internazionali. In realtà, dovremmo dire piuttosto di un processo perennemente incompiuto, costantemente “in fieri”, che tende alla stabilità di un qualche equilibrio che, in effetti, non si consegue mai in modo organico. Insomma, più che di un “ordine” finalmente conseguito, dovremmo rifarci ad un perenne “disordine”, almeno relativo e pur distribuito secondo un ventaglio ampio di differenti gradazioni. Neppure la cosiddetta “Pax Augustea”, a cavallo degli anni in cui nacque, a Betlemme, Nostro Signore, fu davvero tale.

Non dovremmo, dunque, sorprenderci di quanto è complessivamente avvenuto nel mondo dopo la caduta del muro di Berlino. Anzi, almeno fino alla scoppio della guerra in Ucraina, stavamo assistendo alla formazione di quel “multilateralismo” che rappresentava e rappresenta, se non altro, l’auspicio e l’incipit di una stagione nuova, che guardi ad una corresponsabilità integrata tra vecchi e nuovi attori della scena internazionale. In altri termini, stava avvenendo – se si può ricorrere ad una metafora del genere o forse meglio ad una analogia con quanto studiano le scienze della natura – quel processo di spontanea ricomposizione su cui si tornerà più avanti.

Solo acquisita la distanza temporale necessaria a formulare un giudizio di carattere storico, si potrà dire se quel che avviene oggi – la frantumazione, messa in opera a randellate da Trump di quel po’ di ordine che restava, almeno nel contesto del mondo occidentale – rientri o meno nella logica di questi subentranti flussi e riflussi oppure no.
Senonché, dobbiamo vivere, valutare e comprendere questo momento, standoci dentro, senza poterlo osservare da una prospettiva che lo ricomprenda in un sol colpo d’occhio. E c’è seriamente da preoccuparsi per un carattere che compare in questa crisi, forse per la prima volta. C’è, addirittura, un rovesciamento delle parti, come se non solo fossero andate a farsi benedire la grammatica e la sintassi del fraseggio internazionale, ma addirittura il lessico, cioè perfino le parole, ciascuna nella sua singolarità, appaiono disarticolate.

Affiora una domanda su cui non è il caso di insistere qui ed ora: Trump e tutto quel che si raccoglie attorno a lui è la causa o l’effetto del processo in atto? Ma, intanto, siamo destinati ad un’ entropia che si è spinta oltre il punto di non ritorno, cosicché non sia fuori luogo temere possibili esiti catastrofici, in qualche modo il rischio della terza guerra mondiale che Trump imputa a Zelensky? Dobbiamo, piuttosto, augurarci che si verifichi qualcosa di analogo a quanto succede in natura quando si passa da processi lineari, a processi non-lineari. Questi ultimi si verificano in sistemi nei quali una differenza impalpabile nelle condizioni iniziali del loro sviluppo danno esito ad un ventaglio amplissimo di possibili esiti finali, assolutamente differenti, addirittura antitetici, del tutto impredicibili. Insomma, il caos.

Senonché, dopo una fase più o meno prolungata di intrecci del tutto fuori controllo, improvvisamente, al di là di ogni possibile, sensata previsione, compare, in un qualche imprevedibile punto del sistema, un cosiddetto “attrattore”. Un punto, cioè, attorno a cui, via via, si raccolgono, fino a ricomporsi progressivamente, le linee assolutamente disordinate di cui si diceva, finché un nuovo ordine compare, tanto inaspettato quanto spontaneo. Per questo, nelle scienze naturali, si parla di “caos deterministico”. Potrebbe valere un’ analogia con quanto succede in tutt’altro campo? Lo si può sperare?

Si tratta di “processi dissipativi”, aperti all’ambiente circostante e nei quali si ha una dispersione di energia. Né ancora si sa come e perché avvengano, così da scongiurare una involuzione entropica catastrofica. Si discute se intervenga una consequenzialità “causa-effetto” più sottile e nascosta che non riusciamo a cogliere e decifrare oppure intervengano motivi ed istanze di altra natura, che non sia il classico principio di “causalità”. Che, nel nostro caso, si tratti davvero del “salto quantico” di cui ha detto Elly Schlein?

Domenico Galbiati

About Author