Quel che, nel fumo e nella polvere della guerra, emerge abbastanza chiaramente dalla vicenda dell’Ucraina è che le conseguenze dell’invasione russa non si risolvono né attraverso lo scontro militare sul terreno né nell’ambito delle sole relazioni bilaterali ucraino – russe. C’è qualcos’altro che avvelena i rapporti tra i due popoli, che pure hanno tantissimo in comune, nella storia, nella cultura e nel destino.

Il Patriarca russo Kirill ha di recente gettato un po’ di luce su questo qualcos’altro con il suo intervento in cui  ha confermato che esiste in Russia il convincimento di un inevitabile scontro con la visione culturale dell’Occidente. Anche se, poi, ha ridotto tutto alla questione dell’omosessualità: la quale, però, non assorbe certamente tutta la problematica antropologica. Kirill ha inoltre sorvolato su quello, che è vissuto da lui e da Putin, in maniera radicale come loro  controparte, ha ben altro da far valere. Per la libertà, per la partecipazione alla vita pubblica, per il pluralismo. E a questo riguardo, c’è da notare che la deriva individualista, indubbiamente caratterizzante una buona parte del cosiddetto “mainstream” del pensiero occidentale, è comunque sottoposto ad un confronto, anche molto articolato, perché non assorbe e non definisce tutta la sostanza di ciò che rappresenta una cosa così ampia, e non ingabbiabile in una dimensione unidirezionale, qual è l’Occidente.

Ma questa guerra, che per il momento si svolge in un ambito territoriale ben preciso è parte di uno scontro più generale. Soprattutto per ciò che riguarda la geopolitica, l’economia, il controllo delle materie prime, e non solo quelle del gas e del petrolio. La cartina di tornasole è venuta dal dibattito internazionale, le prese di posizioni e da come si è andati al voto, prima, nel Consiglio di Sicurezza e, poi, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Il Sudafrica è stato invitato (o auto-invitato) a svolgere un ruolo di mediazione nel conflitto tra Russia e Ucraina. Lo ha annunciato il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, dopo un colloquio con Vladimir Putin. Il Sudafrica è uno dei 34 stati che si sono astenuti, di cui 16 africani, in occasione del voto all’Onu di condanna dell’invasione russa dell’Ucraina. Altri due, Burkina Faso e Guinea, considerati molto sensibili all’influenza di Mosca, non hanno partecipato al voto, mentre l’Eritrea ha fatto parte dei cinque che hanno votato palesemente contro.

L’elenco dei 16 paesi africani che si sono astenuti, nonostante il documento predisposto dai paesi occidentali fosse stato già notevolmente “annacquato”, Algeria, Angola, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Madagascar, Mali, Mozambico, Namibia, Senegal, Sudafrica, Sud Sudan, Sudan, Uganda, Tanzania e Zimbabwe, conferma – da parte di circa la metà delle nazioni africane – non solo una tiepidezza a schierarsi apertamente per l’uno o l’altro campo, ma anche una certa pregiudiziale simpatia per lo stato-pariah.

Questo elenco ci dice insomma che molteplici sono le motivazioni che spiegano un simile atteggiamento. Il quale e, comunque, da ricondurre alla cura dei rapporti che la Russia ha coltivato e intrattenuto nel corso degli anni con il continente africano dove è comunque diffuso, per varie ragioni, spesso riconducibili al vecchio retaggio della esperienza coloniale e post coloniale, un sentimento anti occidentale. In alcuni casi le ragioni sono da ricondurre allo sfruttamento di materie prime, in particolare quelle che servono per la produzione dei semiconduttori, come Columbite e Tantalite, di cui i maggiori produttori africani sono il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e l’Uganda che – guarda caso ! –  sono tra i 34 paesi astenuti.

Poi ci sono le relazioni specificamente relative al petrolio, che non riguardano solamente un gigante in materia qual è l’Algeria, perché Uganda e Repubblica del Congo sono nel novero anch’essi. Già abbiamo parlato della complessa situazione che coinvolge i paesi produttori di petrolio del Golfo (CLICCA QUI) che spiega, ad esempio, il voto negativo espresso come paese membro temporaneo del Consiglio di sicurezza, poi trasformato in astensione in sede di Assemblea generale, da parte degli Emirati arabi.

E’ dunque estremamente importante che siano creati  i presupposti perché i due diretti contendenti sul campo militare, Putin e Zelensky, siano portati ad un tavolo di trattative, ma è evidente che una soluzione davvero concreta e duratura sarà trovata solamente se un insieme di coerente di nuove regole mondiali consentiranno, anche in Africa e nel Medio Oriente, di raggiungere intese soddisfacenti per tutti. Mentre, ovviamente, resta sullo sfondo il confronto a tutto campo in corso con la Cina.

Giancarlo Infante

 

 

 

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