I non facili rapporti tra Europa e Stati Uniti, che coinvolgono dazi doganali, il finanziamento delle spese per la difesa e la decisione dell’Unione Europea di una imposta a carico delle grandi multinazionali che vendono servizi tramite internet (“digital-tax”) potrebbero trovare qualche soluzione in tempi prevedibili, concorrendo così a superare gli sconquassi che avevano caratterizzato il tempo di Trump

La notizia, di fonte francese, è di un passo avanti decisivo sul problema della imposizione fiscale sui profitti di Google, Facebook e altre OTT che producono ricavi e utili in Paesi dove non hanno la loro sede e rappresenta un passo importante per avviare a soluzione una tra le più recenti tensioni che avevano indotto Trump a non lesinare minacce.

Nel corso dell’ultimo G20 dei ministri economici, presieduto dal nostro ministro Franco, si è infatti profilato un possibile compromesso in base al quale i Paesi europei che intendono applicare la digital tax rinuncerebbero alla loro pur fondata pretesa in cambio di una “global minimum tax”  che preveda un’imposta del 15% da pagare ai Paesi dove si realizzano i  profitti delle grandi multinazionali del web.

Il vantaggio per i governi sarebbe reciproco: quelli europei (non solo quelli membri dell’Unione ma anche il Regno Unito) potrebbero finalmente acquisire a tassazione i profitti realizzati nei loro Paesi, quello americano potrebbe a sua volta tassare i rilevanti guadagni delle stesse imprese tenendo in conto quanto già pagato fuori dai confini nazionali ma nello stesso tempo vedere venir meno i paradisi fiscali o le facilitazioni dei Paesi che applicano aliquote impositive molto basse.

I possibili accordi dovranno ora essere perfezionati e soprattutto approvati dai parlamenti.  La”global minimum tax” potrebbe quindi essere applicata non prima del 2024.

Restano naturalmente altri problemi aperti, il primo dei quali riguarda l’applicazione dei dazi tutt’ora in essere ma che entro dicembre dovrebbe essere rivista dagli stessi americani. La partita si giocherà tutta sul loro versante e in particolare tra l’amministrazione Biden e le lobby economiche che si sono già espresse a favore del mantenimento di misure protezionistiche.

Particolarmente delicato, su questo fronte è il settore dell’acciaio che, come altre materie prime e semilavorati del comparto, ha registrato aumenti di prezzi impressionanti. Tra l’altro la chiusura delle frontiere americane aveva già  provocato una forte pressione di Cina e India sui mercati europei tanto da costringere Bruxelles a contingentare le importazioni di taluni tipi di acciaio sia pure con scadenze trimestrali.

Su quello che può ritenersi l’altro problema di carenza, ovvero le forniture di energia, non si parla di rapporti con l’alleato, anche se gli Stati Uniti sono ormai diventati esportatori di gas liquido. I destinatari del loro export, oltre al Messico, sono nell’altra metà del mondo: Cina, Giappone, Corea del Sud e il grande mercato asiatico in forte espansione.

Noi importiamo gas da Russia e Norvegia (oltre Libia e Algeria) ma non è che non sussistano problemi con gli USA. E’ infatti aperto un contenzioso per gli interessi della Germania ad aprire un nuovo corridoio (North Stream 2) con la Russia e l’iniziativa non è particolarmente apprezzata dagli americani che temono un eccessivo sodalizio tra russi e tedeschi.

Il segnale della “global minimum tax” per i colossi del web comunque è rilevante in un momento nel quale gli Stati Uniti sembrano sempre più interessati a privilegiare l’area del Pacifico per interessi geopolitici ed economici.

Guido Puccio

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