E’ possibile creare le condizioni per superare quella divisione interna al mondo dei cattolici che il cardinale Gualtiero Bassetti ha individuato tra “ quelli del sociale” e” quelli della morale”.
La profonda crisi economica infatti, è diventata anch’essa disagio esistenziale. In aggiunta a quello etico che riguarda le persone, le famiglie, le abitudini e i comportamenti privati e pubblici del vivere civile.
Nel pieno di queste criticità, aggravatesi reciprocamente, sono emersi ulteriori problemi e sono stati adottati provvedimenti legislativi in merito alle relazioni tra le persone, alla questione della vita e del rispetto dell’essere umano, per noi da intendersi tale fin dal momento del suo concepimento.
I settori più avvertiti della destra, del centro e della sinistra, del resto, si rendono conto che vari fenomeni finiscono per obnubilare la centralità della donna e dell’uomo e per mettere a repentaglio l’insieme di quelle finalità che, per quanto risalenti a differenti visioni religiose e filosofiche, finiscono tutte per considerare questa centralità il comune punto di riferimento di ogni processo giuridico, culturale, sociale ed economico.
La questione dell’esistenza umana inevitabilmente riguarda anche la sua parte finale e i modi in cui assicurare ai malati terminali le possibilità concrete di poter affrontare dolori e sofferenza senza che il rispetto per la vita, dei suoi processi naturali e della dignità umana ne risultino intaccati.
Si tratta di un tema che la politica dovrebbe avvicinare con circospezione, delicatezza, ascolto e compassione.
Se da un lato, si rifiuta l’accanimento terapeutico ingiustificato, dall’altro, neppure è concepibile considerare la morte procurata o assistita come una “ cura” medica da introdurre senza alcuna cautela e definita in relazione solo a considerazioni strettamente individuali. E questo mentre, invece, non è applicata completamente, per scarsità di mezzi, la legge 38/2010 pensata per rispondere alla disperazione del malato provocata dal dolore con il lenire le sofferenze e non con l’uccisione di un essere umano perché manca un’alternativa dignitosa.
Neppure deve essere perso di vista il rischio concreto che il fine vita possa essere trasformato in un’ulteriore occasione di profitto e trattato alla stregua di un qualunque altro potenziale segmento economico da sfruttare. Come se gli esseri umani, soprattutto i più deboli, possono essere considerati, invece che soggetti portatori di diritti inalienabili, oggetti da utilizzare alla stregua di altri elementi materiali.
E’ molto probabile che anche a questo la Corte costituzionale si riferisce quando sottolinea il rischio che i malati cui si rivolge la legge in questione “ subiscano interferenze di ogni genere”, mentre- è sempre la Corte a parlare- “ è compito della Repubblica porre in essere politiche pubbliche volte a sostenere chi versa in simili situazioni di fragilità, rimovendo, in tal modo, gli ostacoli che impediscano il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.)”.
E’ evidente che ci si trova dinanzi ad una questione complessa attorno cui esiste sempre la possibilità che posizioni ideologiche, morali o scientifiche estreme finiscano per dominare il dibattito politico piuttosto che contribuire ad un esame approfondito su temi delicati, a proposito dei quali una parola definitiva è sempre difficile da scrivere.
Il prossimo 24 settembre scadrà il termine fissato dalla Corte costituzionale per il Parlamento ad intervenire su una parte della legge sul fine vita che riguarda la responsabilità di chi si prende cura di malati terminali determinati a chiudere il proprio ciclo esistenziale. Né più né meno.
Non è in discussione il fine vita, o alcuna liberalizzazione dell’eutanasia.
Se non è questo il punto, non sfugge in ogni caso il tentativo di alcuni di voler approfittare dell’occasione per introdurre l’eutanasia surrettiziamente. Magari sulla base di un vuoto legislativo che possa venire a determinarsi grazie alla inattività parlamentare.
Così, è opportuno che il dibattito in materia non diventi preda di gruppi oltranzisti la cui impostazione ideologica fa prendere una parte, per quanto sofferta ed importante, per il generale.
Questo Paese è già diviso su tutto e non si sente proprio il bisogno di creare altre lacerazioni, tra l’altro, ingiustificate, vista la natura dei temi in discussione.
Su di esso, invece, tutti i parlamentari ragionevoli, non solo quelli che si dicono cattolici, potrebbero contribuire a creare un clima pacato e di equilibrio e giungere, così, alla definizione di un provvedimento votato da una maggioranza ampia, tale da ottemperare adeguatamente ai termini e alla sostanza del pronunciamento della Corte costituzionale.
Si tratta di una occasione concreta attorno cui l’impegno di una gran parte del mondo cattolico potrebbe svolgere una funzione costruttiva e di “ unificazione” del Paese su problematiche che tanto scuotono le coscienze di tutti. Credenti o meno che siano.
Sappiamo, infatti, che la questione interroga moltissimi cittadini. Non sulla base di un riferimento religioso, bensì su di una laica e naturale considerazione del significato dell’esistenza e sul ripudio di ogni forma di sua forzata conclusione anticipata.
L’11 luglio si terrà un incontro promosso a Roma da numerose associazioni d’ispirazione cristiana, tra cui Politica Insieme. L’obiettivo è quello di creare le premesse di un’ampia convergenza.
E’ possibile, infatti, proseguire il confronto parlamentare su basi ragionevoli e attorno quegli elementi che definiscono un punto di equilibrio maggioritario nel Paese.
Giancarlo Infante