Da ormai sei mesi stiamo convivendo con il Coronavirus e con la crisi economica che ne è seguita. Abbiamo chiuso scuole e attività economiche, abbiamo affrontato una fase di emergenza sanitaria tremenda chiusi in casa terrorizzati dai dati sui morti giornalieri ; sei mesi di mascherine e rispetto delle norme sul distanziamento sociale.  Finita la fase dell’emergenza sanitaria  il governo ha piano piano riaperto le attività economiche (ma non la scuola) ma, come previsto, è iniziata  la fase dell’emergenza economica: crollo del PIL del 12%, disoccupazione, interi settori economici in crisi e a rischio chiusura.

Il Governo ha adottato una serie di provvedimenti a sostegno dell’economia e ha stanziato miliardi di euro per finanziare la cassa integrazione, misure a sostegno di famiglie, imprese e lavoratori (decreto cura Italia, decreto liquidità ecc.) misure fiscali e finanziarie, bonus vari per vacanze, acquisto biciclette, baby sitter a sostegno dei consumi.

Una serie di misure tampone, di provvedimenti a pioggia, per aiutare le persone in difficoltà economica.  Successivamente a questa serie di misure il governo ha cominciato a pensare a misure di tipo strutturale, a un piano di rilancio dell’Italia e sono cominciate le trattative con l’Europa per ottenere finanziamenti a sostegno dell’economia italiana.  L’accordo europeo , raggiunto con fatica, prevede 500 miliardi di misure per la crisi Coronavirus e di questi fondi 200 miliardi andranno all’Italia. Il problema adesso è di come spendere questi finanziamenti e soprattutto di utilizzarli al meglio.

Si sente parlare di diversi progetti nel settore dei lavori pubblici o della digitalizzazione ma si stenta a capire quali siano gli orientamenti, le priorità e gli obiettivi di fondo con il rischio di disperdere l’ingente quantità di finanziamenti previsti.  Servirà un piano ambizioso e , dai più, è stato richiamato a titolo di esempio il Piano Roosevelt.  Il Piano Roosevelt fu un piano di riforme economiche e sociali promosso dal presidente Franklin Delano Roosevelt tra il 1933 e il 1937 allo scopo di risollevare il paese dalla grande depressione che aveva travolto gli Stati Uniti d’America a partire dal 1929.  Il piano diede il via al New Deal , il Nuovo Patto, che impostò un nuovo rapporto tra stato ed economia dopo la recessione del 1929 e previde tra l’altro il potenziamento dei lavori pubblici, il sostegno dei prezzi agricoli, lo sviluppo delle attività assistenziali, il controllo delle banche, la regolamentazione del trasporto e dei settori pubblici e la disciplina dei rapporti tra capitale e lavoro.

Si trattava in sostanza, di un pesante intervento dello Stato nell’economia. Il potere pubblico acquisì un ruolo di regolamentazione del sistema economico al fine di scongiurare la nascita di forti tensioni sociali e, per prevenire queste tensioni, Roosevelt coinvolse anche i sindacati nei suoi provvedimenti assicurando loro un ruolo ben preciso.   Anche in Italia lo Stato ha mosso di nuovo i primi passi nella gestione dell’economia (vedi caso Alitalia, Ilva di Taranto, Autostrade ecc.) e il governo intrattiene buoni rapporti con i sindacati.

Basta, siamo alla vigilia di una nuova riedizione dello Stato Imprenditore, siamo alla vigilia di un New Deal , un Nuovo Patto anche in Italia? Patto ma con chi, con quali obbiettivi, con quali strumenti?

Ad un lettore attento appare chiaro che mancano ad oggi chiari obiettivi, strumenti calibrati, adatti al momento , ma innanzitutto una chiara visione di chi devono essere, oltre allo Stato, i secondi contraente di questo Nuovo Patto, insomma su quali risorse umane e sociali si può fare leva per innestare un percorso virtuoso e con quale strumentazione. I  primi interventi pubblici nell’economia appaiono purtroppo casuali, dettati da emergenza , senza una precisa strategia.

Anche il ricorso sistematico a Cassa Depositi e Prestiti, dimostra la mancanza di una  strumentazione adatta al momento e il continuo lagnarsi circa le pastoie burocratiche che bloccano tutto, mostra una scarsa capacità di analisi e di elaborazione di  una prospettiva vera. Ma soprattutto un Nuovo Patto con chi, chi può essere il braccio armato che aiuti lo Stato in questa nuova missione?

Sorprende ad esempio che mai il mondo delle “utility” venga coinvolto. Esse sono una mirabile sintesi tra economia pubblica  e mondo privato, con una originale  coniugazione tra controllo pubblico, metodi di gestione privatistici ed attenzione  alle ricadute sui territori di riferimento. Sorprende che non si riconosca un ruolo a quel ceto medio sempre più in difficoltà , ma che ha prodotto attraverso le piccole e medie imprese la maggiore ricchezza diffusa di cui l’Italia ha beneficiato nel dopoguerra. Sorprende che non si riconosca un ruolo al mondo delle fondazioni e del volontariato , che sono un pilastro del welfare nel nostro paese.

Questi sono tre pilastri su cui poggiare una possibile rinascita economica, ma necessitano  di nuovi strumentazioni giuridiche e finanziarie per diventare i motori di una ripresa, i veri contraenti di un Nuovo Patto Italiano. Un sistema diffuso non di finanziamenti, le banche e gli investitori tradizionali servono a questo scopo, ma di garanzie al capitale di rischio ad esempio.

Un sistema di raccolta fondi a basso costo di gestione, che offra rendimenti modesti, ma certi in quanto garantiti dallo Stato, che finanzi imprese sociali che possano abbattere  con metodi privatistici i costi di un welfare che sta per implodere.

Nonostante i vari tavoli e le varie consulenze , la percezione che si ha oggi è che manchi  una chiara analisi della situazione e una precisa individuazione dei “nuovi campioni” nazionali , quelli soli che ci potranno trarre fuori , con l’aiuto dello Stato e con l’utilizzo delle  ingenti risorse ora disponibili,  il nostro paese da questa orrenda situazione.

Maurizio Angellini e Stefano Aldrovandi

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