In Italia è esistito per oltre un cinquantennio ( dal 1941 al 1992) un partito che aveva nella sua denominazione l’aggettivo “cristiano”, la Democrazia Cristiana, erede storica di un pensiero sociale formatosi alla fine del XIX secolo, che al Cristianesimo si richiamava. Oggi, specialmente dopo la settimana sociale dei cattolici di Trieste 2024, si torna a parlare di un “partito cattolico”  e del ruolo dei cattolici in politica, sia pure,più spesso, nella prospettiva riduttiva  della ricostruzione di un centro moderato e riformista in grado di stabilizzare il sistema politico. Una prospettiva che sembra, peraltro, confermare l’immobilismo paralizzante della situazione italiana, quasi destinata a replicare all’infinito il proprio passato.

Paradossalmente proprio un ritorno del “cristianesimo” in politica potrebbe contrastare invece immobilismo e degrado. “Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non è in grado di garantire”, è la nota formulazione del  costituzionalista tedesco Ernst Wolfgang Bockenforde ( 1930-2019) che sosteneva che, quando lo Stato moderno nasce, svincolandosi dalla religione, può farlo solo appoggiandosi sulla eredità religiosa. Il “ritorno” di una cultura cristiana potrebbe allora servire a rivitalizzare l’ eredità su cui poggia la democrazia liberale?

In effetti, se guardiamo il caso italiano, notiamo che proprio l’assenza di alcuni elementi di quel pensiero, da tempo rimossi, in nome della “laicità” ( o del “laicismo”) e del “progresso”( tecno-umano) inteso come liberazione da vincoli e da limiti, è alla  base di un lento, ma inesorabile declino civile, sociale ed economico.

Prima di tutto è scomparso,  per disintegrazione, il concetto di persona che faceva esistere una vera comunità civile e dava senso all’atto elettorale. La dimensione comunitaria presuppone   infatti il concetto di persona, intesa come entità umana che vive e si forma solo entro la ricchezza di “relazioni” effettive con altre, all’opposto di ogni entità individuale,  chiusa in se stessa, e collegata ad altre soltanto da “connessioni” accidentali, come avviene nella “folla solitaria” degli individui che navigano senza bussola nell’oceano di  Internet. Il termine “persona” si usa ancora, magari come  slogan , ma senza fondamenta e senza realtà effettiva, senza consapevolezza e senza il senso profondo della legge scritta nel cuore dell’uomo che solo la persona, non il liberismo o la tecnologia, può  conoscere.

Sul concetto di persona si fondano poi la fiducia di fondo negli altri e nella realtà e la dignità umana ( la persona come entità irripetibile e fine in sé) senza le quali ognuno può esser ridotto a mezzo per altre finalità, a proto-materia utile se fa crescere il PIL e senza le quali i diritti sociali –a partire da quello alla salute- finiscono per ridursi a variabile dipendente.  Oggi la fiducia di fondo  si è persa, quasi resa “superflua” dai meccanismi del progresso, della tecnologia, della realtà virtuale e, se necessario, della guerra come mezzo di soluzione globale dei conflitti. La dignità finisce così per subordinarsi alle compatibilità dell’economia ed alle convenienze più impresentabili della ragione di Stato.

L’altro elemento di questa cultura cristiana  è il limite al potere, essenziale nella nuova epoca “Trump”, in cui il potere politico non si presenta mai come servizio alle persone, ma solo come nudo dominio, come governance di tecnocrati o oligarchi, che impongono la  potenza privata e la “ragione di Stato” al di sopra del diritto internazionale ed  in cui l’ intelligenza si disincarna dal corpo umano e diviene una potenza auto-referente, finendo per comandare sulle persone vere  in carne ed ossa. Da una idea di limitazione del potere era nata anche la costruzione europea che mirava proprio a limitare il potere supremo degli Stati nazionali  cioè quello di fare la guerra e mirava ad assegnare alla costruzione della pace il ruolo prioritario della politica e non certo a promuovere una lega o confederazione militare di Stati.

Per questo sarebbe oggi necessario un combattivo partito “cristiano”. Solo da una cultura politica cristiana ( non da un “astuto” cattolicesimo che mira, non ad un “partito cristiano”, ma ad un  “partito centrista”) possono rinascere un progresso umanistico, una vera responsabilità del potere politico, una ripristinata sovranità del diritto, la speranza di una vita migliore per ogni cittadino,   e può essere vinta la “paura costruita ad hoc”  dai poteri oligarchici, predatori e selvaggi, che si stanno installando  al governo anche nelle democrazie liberali, sempre più in difficoltà di fronte alle democrazie autoritarie ed alle autocrazie che sulla forza bruta si basano, senza veli e senza ipocrisie.  L’alternativa non è più tra conservazione e progresso, ma tra umanizzazione e tecnocrazia o trans-umanesimo. Perciò un partito “cristiano” non può  essere più un partito di centro, equidistante dagli opposti, deve essere un partito aperto  di sintesi e di discussione, ma decisamente orientato verso un versante dell’alternativa.

Se c’è un tempo per ogni cosa, comunque, questo è il suo tempo. Anche i “segni dei tempi” sono sempre più evidenti, nonostante la cortina fumogena della propaganda mediatica e il fragore grottesco delle finte “battaglie politiche”.

Umberto Baldocchi

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