Un test per l’estate. Pensate ad una matrice due per due (con quattro caselle, due righe, due colonne). Il titolo delle due colonne è “generativi”, “non generativi”. Il titolo delle due righe è “paralimpici”, “leopardiani”. In quale delle quattro caselle vi trovate ? Gli esseri umani sono divisi in quattro grandi gruppi e il segreto per una vita ricca di senso e per la felicità è stare nella casella dei “generativi” “paralimpici”.

Cosa intendiamo per generatività ? Partiamo da una bellissima frase di Antonio Genovesi il fondatore dell’economia civile (prima cattedra di Economia Politica) “Fatigate per il vostro interesse, niuno uomo potrebbe operare altrimenti, che per la sua felicità sarebbe un uomo meno uomo: ma non vogliate fare l’altrui miseria, e se potete e quando potete studiatevi di far gli altri felici. Quanto più si opera per interesse, tanto più, purchè non si sia pazzi, si debb’esser virtuosi. È legge dell’universo che non si può far la nostra felicità senza far quella degli altri” a cui fa eco uno dei filosofi e fondatori dell’economia moderna John Stuart Mill quando dice: Sono  felici solamente quelli che si pongono obiettivi diversi dalla loro felicità personale: cioè la felicità degli altri, il progresso dell’umanità, perfino qualche arte, o occupazione perseguiti non come mezzi, ma come fini ideali in se stessi. Aspirando in tal modo a qualche altra cosa, trovano la felicità lungo la strada.”

Una vera e propria definizione di generatività viene però dallo psicologo sociale Erikson che la ritiene fondamentale per la crescita nella vita adulta e la spiega con quattro verbi (desiderare, far nascere, accompagnare, lasciar andare). Il desiderio è l’origine necessaria della generatività. In un recente convegno studiosi di diverse discipline hanno identificato nel desiderio la variabile chiave per il successo nel lavoro dei giovani (senza desiderio non c’è sforzo, impegno e capacità di risalire la scala del talento in un momento oggettivamente molto difficile e si rischia di essere risucchiati tra i Neet). Una malintesa generatività è quella che si ferma ai primi due verbi (desiderare e far nascere) perché i verbi più difficili della generatività sono l’accompagnare e il lasciar andare.  Il lasciar andare è il verbo più sublime della generatività. Le persone veramente generative capiscono che quello che hanno creato non può vivere per sempre solo sulle loro spalle e dunque provano soddisfazione (e non invidia) nel creare squadre e successori che possano portare avanti le proprie realizzazioni ed idee. Per pensare allo scacco della generatività nelle nuove generazioni viene in mente il famoso dialogo in Viaggio di Nozze di Verdone tra le due coppie di amici (“che dovemo fa’ pe’ risultà ?”) dove la coppia dice che ha passato in rassegna tutte le mode possibili del taglio di capelli (avendoli persino lavati) e non c’è più nulla da inventare…poi ad un certo punto qualcuno vede una stella cadente e grida “esprimiamo un desiderio !” e una delle protagoniste conclude sconsolata…”Non mi è venuto in mente niente. Ma che te voi desiderà?”

La riscoperta del concetto di generatività nel nostro dibattito contemporaneo la dobbiamo a Mauro Magatti che ha sviluppato in lungo e in largo il concetto facendo nascere anche l’archivio della generatività che ha il pregio di raccogliere storie sociali e produttive nelle quali la generatività si realizza e può essere osservata.

Insomma la teoria della generatività dice che siamo felici e vivi se (e nella misura in cui) quello che facciamo è di una qualche utilità per qualche altro essere umano o per la nostra comunità. Gli studi empirici sulle determinanti della soddisfazione di vita (milioni di dati in tantissime indagini in diversi paesi e periodi di tempo) confermano questo assunto. La generatività ha ovviamente tante dimensioni, a partire da quella biologica, fino a quelle familiari, sociali, culturali, economiche, politiche e spirituali. Impossibile essere generativi se siamo in guerra contro qualcuno perché in quel caso pensiamo di fare il bene dei nostri simili combattendo altri esseri umani e il saldo netto della generatività non diventa positivo.

Chi sono invece i paralimpici e leopardiani ? Non è un caso che oggi alcune delle personalità più significative della nostra cultura sono due famosi atleti paralimpici (Alex Zanardi e Bebe Vio). Perché sono famosi e cosa esprimono ? In sostanza la capacità di trasformare un evento negativo, un limite, un vincolo in una nuova sfida ed opportunità. Dobbiamo riconoscere che la mentalità paralimpica è una delle cose migliori della cultura dell’homo economicus (che ha poi spesso il difetto di essere miopemente autointeressata e di non capire Mills, Genovesi e la generatività). Fare il massimo a partire dal vincolo è l’approccio migliore che possiamo avere nella vita. Il contrario dello spirito paralimpico è lo spirito Leopardiano (non ce ne voglia il gigante della nostra letteratura per questo uso “strumentale” della sua poetica ma è per capirci). Il paralimpico non perde tempo a commiserarsi e a lamentarsi per ciò che non dipende da lui e fa il massimo per quanto è nelle sue possibilità fare. Essere paralimpici è una grande virtù anche sul piano politico e sociale. Il nostro paese ha una mentalità paralimpica o leopardiana ? Nel secondo caso siamo spacciati perché passeremo il tempo a dare la colpa dei nostri problemi a fattori esterni fuori dal nostro controllo in un eterno e passivo lamento.  La differenza tra paralimpici e leopardiani sta nella velocità di reazione di fronte alle avversità della vita. Che, come è noto, è fatta di ostacoli che crescono col passare dell’età. Di fronte a tali ostacoli ed eventi negativi passate il tempo a lamentarvi e a rimpiangere il passato o li trasformate subito in nuove sfide ? E queste sfide sono generative, ovvero lavorano per migliorare la vita di altri esseri umani ? Siete leopardiani o paralimpici, generativi o non generativi ?

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