Era inevitabile che i risultati delle ultime elezioni, sia politiche generali, sia quelle regionali, facessero risaltare ancora una volta l’entità del fenomeno dell’astensionismo. Un dato su cui hanno, invece, glissato un po’ tutti. Vincitori e vinti . Entrambi i fronti si sono limitati a parole di circostanza.
L’ astensionismo, infatti, fa comodo ad ambedue gli attori del bipolarismo maggioritario, nella misura in cui, contenendo l’elettorato, incrementa il peso specifico dei reciproci perimetri di appartenenza e d’apparato. Si autoescludono, in sostanza, ampie fasce di un elettorato meno accessibile ai partiti e poco o nulla prevedibile in quanto all’espressione del consenso.
Fa comodo soprattutto a chi intende proporre la riforma “presidenzialista” della Costituzione e trae spunto anche da questa oggettiva difficoltà della rappresentanza. La quale, al contrario, e a maggior ragione, chiede di scongiurarlo.
E’ vero che non si può ricusare l’esito di un voto che vede, comunque, compromessa la sua piena valenza e neppure accogliere ciò che suggeriva Massimo Maniscalco nel suo bell’articolo di due giorni fa sul desolante astensionismo (CLICCA QUI). Eppure il problema dell’astensionismo va affrontato seriamente, non fatto soltanto oggetto di appelli e perorazione alla buona cittadinanza.
Domenico Galbiati