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Dalle trincee a Gedda: Nella giornata dell’11 marzo la scena si è trasferita in Arabia Saudita. Americani ed ucraini si incontravano a Gedda e dopo un colloquio durato 8 ore giungevano ad una riconciliazione con gli Stati Uniti che hanno proposto una tregua omnicomprensiva della durata di 30 giorni, cosa che gli ucraini hanno accettato mostrando piena disponibilità ad aderirvi. Kiev ha inoltre aggiunto di essere disponibile ad accettare negoziati immediati con la Russia. A seguito di questi sviluppi sono riprese immediatamente da parte americana le forniture militari all’Ucraina e la condivisione delle informazioni di intelligence. Questa posizione comune tra americani ed ucraini metteva Mosca in imbarazzo, dato che una risposta negativa a questa proposta non sarebbe stato tanto un no all’Ucraina, quanto direttamente a Washington. Zelensky si era riposto sotto la copertura americana, spettava ora a Mosca mostrare di volere la pace.
La sfida adesso è tra Trump e Putin. Il primo, senza perdere tempo, vuole ottenere qualcosa subito e chiudere la questione in fretta per liberarsi del dossier ucraino. Ha però imparato che in 24 ore non si ferma nessuna guerra e non si ottiene alcuna pace. Il secondo, che non vuole cedere su nulla né vuole mostrare di aver perso la faccia, si muove sul lungo periodo: quella è la sua zona di influenza esclusiva e non tollera intromissioni.
A Gedda si sta comunque parlando di una tregua e non di una pace. Si tratta di un primo passo nella giusta direzione: dovranno poi seguire negoziati che affrontino i dettagli. A servire adesso un vero accordo di pace che sia durevole da un lato e dall’altro accompagnato dalle necessarie garanzie di sicurezza per impedire a Mosca di riaprire le ostilità e farle rispettare l’accordo. Non confondere un cessate il fuoco con un accordo di pace globale.
La palla è ora nel campo di Putin e spetta a lui decidere. La Casa Bianca spera di ottenere il suo consenso per questo cessate il fuoco che sarebbe un importante passo avanti in vista di un accordo di pace. Finora Mosca ha espresso una posizione massimale: nessun ingresso dell’Ucraina nella NATO, nessuna restituzione dei territori conquistati e nessuna presenza di truppe europee a guardia di un eventuale accordo.
E’ bene ricordare che nel panorama politico russo dietro a Putin vi è anche la presenza di una componente nazionalista che spinge per la continuazione della guerra e rifiuta ogni cedimento o concessione. Il Cremlino a questi gruppi di nazionalisti estremi presta l’orecchio, ma chi resta sempre il padrone è Putin. Gli ultra patrioti si fidano assai poco dell’Occidente e spingono sempre in direzione del massimo ottenimento. Non si fidano neppure di Trump, che considerano di natura instabile. Si può dire alla fine che nella stessa Russia vi è chi cerca di capire che piega prenderanno i negoziati.
L’Europa cerca una direzione: Di fronte alla pressione degli eventi e all’urgenza della situazione, si riunivano a Parigi nella Scuola Militare i Capi di Stato Maggiore di 34 paesi europei. Lo scopo era quello di affrontare la sfida del futuro dell’Ucraina e gettare le basi per qualche sorta di decisione, se non da parte dell’Unione, almeno di quei paesi disponibili a formare un asse ristretto promuovendo una cooperazione rafforzata in campo militare. Per Macron si è trattato anche di aprire un dibattito su di un eventuale piano di pace e su come garantirne la durata.
Non tutti si sono mostrati d’accordo sull’eventuale invio di truppe in territorio ucraino per vegliare sul rispetto delle clausole di un futuro accordo. Andrebbe aggiunto che a seguito degli accordi di Minsk Francia, Gran Bretagna e Germania sanno che di Putin non ci si può fidare. Al momento comunque è ancora tutto ipotetico e da negoziare, non essendovi ancora né un cessate il fuoco né una tregua, che i russi avevano più volte ripetuto di non volere e di non accettare la presenza di soldati europei.
Putin arriva nella provincia di Kursk: Il 12 marzo vediamo Putin apparire per la prima volta in tuta mimetica nel territorio di Kursk. Era da tempo che non usciva dal Cremlino ed una volta giunto sul fronte per incoraggiare le truppe, annunciava la cattura di 450 militari ucraini ed un progresso dei suoi soldati. In un momento nel quale annuncia che le sue Forze armate avrebbero ripreso qualcosa come il 95% dei territori ricevuti, egli ordina la completa liberazione dell’intera provincia.
Di fronte al ripetersi degli attacchi russi, i militari ucraini annunciano di aver ripiegato su posizioni più facilmente difendibili, sapendo bene che se Kiev dovesse abbandonare quel territorio perderebbe una delle sue leve più importanti per negoziare.
Il fatto che Putin si sia fatto vedere in divisa sul campo coincide con il momento nel quale il mondo è in attesa di una sua risposta sulla proposta di cessate il fuoco voluta dagli Stati Uniti ed accettata da Kiev. Questa apparizione sul fronte in mimetica va letta come una risposta a Washington e a Kiev per mostrare dove si trova l’effettivo rapporto di forza e la sua determinazione.
A Kiev è diffuso lo scetticismo sull’accettazione del cessate il fuoco da parte russa, ma resta intatto il desiderio di mostrare buona volontà nei confronti degli Stati Uniti essendo questo il solo modo per garantirsi il loro appoggio. In teoria, per i più ottimisti, lo stesso presidente Putin potrebbe accettarlo senza troppe storie perché tiene molto ai suoi rapporti con Trump. Quelli che lo sono meno pensano invece che il leader russo non abbia intenzione né di cedere nulla né di mostrare di aver perso la faccia. Trump vuol mostrare invece la capacità di far le cose in fretta e senza perdere tempo. Agli ucraini non resta che sperare negli europei, che però hanno loro stessi bisogno di un appoggio americano, dato che al momento non sono in grado di sostituirlo o farne a meno.
Per Zelensky, che conosce bene Putin, quest’ultimo non ha nessuna intenzione di accettare il cessate il fuoco: se, data l’ampiezza del fronte e la complessità della situazione, egli insiste tanto sulle difficoltà nel verificarlo, significa che negoziare con lui non serva a nulla. E’ vero che sono pochi, ma di fronte ad una certa fluidità di comportamento messa in mostra da Putin, vi sono degli osservatori disponibili a considerarla come una speranza. Da parte sua, la Casa Bianca fa sapere che se lui non dovesse starci sarebbe una grande delusione.
Per la maggioranza comunque le intenzioni del presidente russo non sembrano essere cambiate: sostituire il regime, denazificare l’Ucraina, disarmarla e chiedere all’Occidente di non appoggiarla più.
Washington tra Putin e la Cina: Merita una nota cercare di capire come si potrebbero articolare i rapporti tra Stati Uniti e Russia, Cina e Russia, Stati Uniti e Cina, al punto che vi è da domandarsi se si potrà assistere al distacco della Russia dalla Cina o all’emergere di tre nuovi imperi associati tra loro: un ritorno all’idea della spartizione del mondo.
Per il Presidente Trump quel che più conta è la ripresa dei rapporti con Mosca e raggiungere una pace al fine di esaltare la sua immagine. Oltre alla vanità, a Trump interessa il suo posto nella Storia: egli sa bene che un presidente americano vi entra soprattutto per la sua politica estera. Se lascia la Casa Bianca con tutti i centri di crisi aperti, passerà alla Storia come un presidente timido ed indeciso. La cosa lo avvicinerebbe troppo all’opinione che ha di Biden e non farebbe certo l’America di nuovo grande come lui ama recitare.
Putin sa bene cosa vuole il Presidente americano, così come lo sanno anche i cinesi. Non potendosi permettere il lusso di affrontare due nemici contemporaneamente, è possibile possa aspirare ad un riavvicinamento russo-americano a scapito di Pechino. Ad aver bisogno di un accordo è anche Putin: verrebbero abolite le pesanti sanzioni economiche e finanziarie che danneggiano l’economia del paese e consentirebbero il suo rientro nella comunità internazionale sottolineando il ritrovato ruolo di Mosca nel mondo.
Gli Stati Uniti, in particolare Trump, sentono sul collo il fiato della Cina e per contrastarla hanno bisogno della Russia. Per lo stesso motivo Mosca potrebbe avere interesse ad avvicinarsi a Washington. Pechino è vero l’ha aiutata ponendole comunque dei limiti. Da questa partita ha però tratto vantaggio facendo della Russia un vassallo e relegandola in posizione subalterna: non è detto che voglia lasciarla andare. Vi è di conseguenza in Russia chi ha una visione della Cina più critica, ritenendola una nazione da temere dato che l’autoritarismo di Pechino è ben più stringente e duro di quello di Mosca.
In questo momento Trump potrebbe avere come alleato Putin che su di lui ha investito non poco. In breve, se Mosca vuole riemergere internazionalmente deve accordarsi con gli Stati Uniti, dato che solo Washington poteva toglierla dal suo isolamento. La Russia ha perduto l’ideologia e l’impero, ma batte i piedi ed è alla ricerca di un nuovo prestigio internazionale: è dunque importante per il presidente russo essere l’interlocutore della più grande potenza globale e mostrare così di essere riuscito a restituire al suo paese un ruolo ed un prestigio internazionale.
E’ dunque possibile che Russia e Stati Uniti possano mettersi insieme per contrastare l’ascesa economica, militare e finanziaria della Cina. Vero è però che muoversi in questa direzione non sarà oggi altrettanto facile che nel 1972. Se non fosse altro che per la lunghezza dei confini e per il fatto di avere ottenuto fino ad oggi non poco sostegno dalla Cina, potrebbe non essere semplice per la Russia ribaltare la sua posizione perché nella partita vi è attualmente anche il cosiddetto gruppo dei BRICS.
Quanto alla Cina, a Pechino sanno bene che i problemi di politica estera sono i più critici per una nazione. Per il momento al presidente Xi Jinping non resta che far da spettatore in attesa di capire la direzione degli eventi. Lui stesso non ha fretta, ma è indubbio che voglia fare del suo paese un grande protagonista della scena internazionale. Non sarebbe quindi da escludere un’altra possibilità: in un ritorno di una visione imperiale nei rapporti tra nazioni, queste tre potenze potrebbero decidere di accordarsi in una sorta di “grande gioco” per spartirsi il mondo in altrettante sfere di influenza, allo scopo di mettere ordine in un sistema globale sempre più difficile da controllare. Se questo fosse il caso, l’interesse di queste tre potenze potrebbe essere quello di lasciare fuori l’Europa da questa contesa e senza grandi prospettive.
Per concludere, il rapporto tra Trump e Putin è in questo momento essenziale, in quanto una mancanza di accordo avrebbe conseguenze gravi che finirebbero col ripercuotersi ovunque. Il problema centrale per quest’ultimo è l’Ucraina, aspetto essenziale dei colloqui con gli Stati Uniti. Quanto al presidente americano, a differenza di quello tra le due guerre mondiali, il suo isolazionismo sembra rivolto soprattutto verso l’Europa e gli alleati: egli vuole concentrarsi sull’Asia per affrontare il problema della crescita della potenza cinese. Stati Uniti e Cina sono due potenze mercantiliste e quindi inevitabilmente rivali. E’ lì che Trump sta guardando, non all’Europa e neppure al Medio Oriente.
Le richieste di Mosca, considerando i propositi enunciati in precedenza da Trump, sono a dir poco esorbitanti e non ci si può che porre la domanda di come reagirà quest’ultimo messo di fronte a queste prospettive. Cosa avranno anche da dire le altre nazioni occidentali se tenute in disparte? Si tratta comunque di un annuncio che non coinvolge più di tanto entrambi i presidenti e al quale mancano i dettagli. Paradossalmente, si direbbe quasi che le due parti si stiano accordando per continuare a mettersi d’accordo.
Mosca occupa intorno al 20% del territorio ucraino e Kiev non è in grado di cacciare i russi dai territori che occupano e che a tutti gli effetti vorrebbero estendere. Da quando Trump ha messo piede alla Casa Bianca, gli attacchi russi non hanno fatto che inasprirsi e aumentare di numero, al punto che le forze armate ucraine sono adesso prossime a perdere la leva di Kursk. E’ infatti assai dubbio che Putin possa contemplare un accordo senza prima essersi ripreso quella provincia.
Non si è di fronte ad un negoziato compiuto ma ad una tappa di un processo che richiederà tempo. Lo stesso presidente Zelensky parla della fine di quest’anno. Trump si era fissato su cento giorni. Putin è al potere da un quarto di secolo e per restarci ha modificato la Costituzione. Come detto in precedenza, pensare che voglia fare in fretta non è realistico: egli è dove sta da un pezzo e sotto il suo sguardo ha visto passare tanti suoi omologhi americani. A meno che non vi siano in parallelo dei negoziati, questa tregua di 30 giorni potrebbe solo servire alle due parti per riarmarsi.
A complicare le cose, come subito fatto in Crimea, i russi hanno iniziato un processo di colonizzazione territoriale impiantando nelle aree occupate una nuova popolazione, in parte per sostituire quella che aveva lasciato le zone finite in mano loro. In questo contesto dovrà profilarsi anche un accordo sul Mar Nero, dato che Mosca non intende restituire la Crimea e la Turchia, del cui impero un tempo quell’area faceva parte, è contraria che appartenga alla Russia.
Per entrambe le potenze, l’Ucraina resta un dossier da risolvere. Per il presidente Putin è un modo per riaccreditare se stesso e la Russia sulla scena internazionale ed evidenziare la sua capacità di negoziare alla pari con la massima potenza mondiale. Per Trump, invece, l’Ucraina non è che un territorio di frontiera tra l’Europa e la Federazione Russa ed un modo per dimostrare la sua abilità come presidente degli Stati Uniti. Al momento comunque nessuno dei due presidenti sembra parlare della stessa cosa, mentre sale l’intensità degli scontri.
In questo contesto entrambi considerano l’Europa come fattore marginale. E’ tuttavia possibile che le difficoltà e le incertezze del momento possano lasciare spazio per una sua effettività e per una riconsiderazione del rapporto transatlantico. Per il momento, in ogni caso, a dar le carte sono Trump e Putin, non l’Europa.
Alcune brevi considerazioni sull’Europa: Gli eventi cui abbiamo accennato e l’attuale dibattito a Bruxelles sul riarmo europeo, passato adesso a chiamarsi Readiness 2030, evidenziano la necessità dell’Europa di iniziare a pensare in modo strategico e porre rimedio alla sua grande vulnerabilità. Vi è un vuoto nell’Unione ed i vuoti non sono privi di rischio, soprattutto in un periodo nel quale stanno tornando le rivalità tra grandi potenze parallelamente ad un indebolimento del multilateralismo.
Con un presidente americano che non ne condivide i fini, l’Unione si trova in situazione di grande fragilità. Se non ci si sveglia come europei il rischio è quello di sparire geopoliticamente: abbiamo di fronte tre grandi potenze, Stati Uniti, Russia e Cina ed un enorme vuoto che è l’Europa. Ad oggi ci si è soprattutto concentrati sull’espansione del mercato fidandosi della copertura militare americana. Se Bruxelles dovesse giocarsi il settore militare, cosa ne faremmo poi di tutta questa economia e finanza? C’è un’esigenza di Europa che balza fuori ad ogni momento, ma quest’ultima continua a zoppicare. Nel settore degli armamenti è sempre più indietro e se le cose non dovessero cambiare, da qualcuno dovrà dipendere. Ciò ne farebbe una colonia.
Alleanza Atlantica ed Europa sono attualmente instabili e quest’ultima non esiste perché non è in grado né di difendersi, né di esprimersi con una sola voce e se vi dovesse essere una guerra non potrebbe che subire il ricatto di chi la protegge. Se non si riprende una seria collaborazione in campo militare e della difesa è inutile farsi illusioni: l’Europa non potrà esistere: è assolutamente necessario un suo risveglio, altrimenti ci si renderebbe presto conto di come la Storia e la vita politica possano essere crudeli. Non c’è un’Europa della difesa, così non esiste una difesa europea. E’ tempo di rendersene conto, agire di conseguenza ed inviare messaggi chiari.
Edoardo Almagià