A settantacinque anni dalla Dichiarazione Schumann (CLICCA QUI). Due documenti a confronto, tra “pace” e “ordine internazionale” 

La storia, nonostante i suoi innumerevoli detrattori, non finisce mai di insegnare a chi sa guardarla sul serio. Lo si può sperimentare anche semplicemente rileggendo oggi, alla luce del contesto internazionale ed europeo,  i passi centrali della Dichiarazione rilasciata dal Ministro degli Esteri francese Robert Schumann il 9 maggio 1950, la Dichiarazione che annunciava l’avvio del processo di costruzione europea con la costituzione della CECA, cioè della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Schuman  aveva dichiarato tra l’altro , sorprendendo, come è noto,  le opinioni pubbliche dell’epoca:

  La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent’anni antesignana di un’Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L’Europa non è stata fatta : abbiamo avuto la guerra. […]

Il governo francese propone di mettere l’insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime.   

Settantacinque anni dopo, mentre la guerra ritorna ai confini dell’ Europa, assume aspetti subumani nel vicino Oriente, e la costruzione europea, enormemente dilatatasi, ma paralizzata nel suo dinamismo istituzionale, sembra  incontrare difficoltà crescenti, ancora una volta si ripropone il problema della costruzione della pace. Il tema si presenta però in un contesto  che pare chiedere una risposta qualitativamente diversa.

Si sostiene infatti oggi che si tratta di costruire una capacità di difesa e di sicurezza in grado di far fronte ad una conflittualità mondiale crescente. Il programma con cui la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen  si è candidata alla Presidenza della Commissione, nel luglio 2024 ( Political guidelines for the next European Commission 2024-2029), nel paragrafo  titolato  A global Europe: leveraging our power and partnerships (Una Europa globale: utilizzare la nostra potenza e le nostre alleanze) afferma:   “Siamo entrati entro un’epoca di rivalità geostrategiche. La postura più aggressiva e la competizione economica scorretta della Cina e la sua amicizia ‘no limits’ con la Russia (…) riflettono un passaggio dalla cooperazione alla competizione. Stiamo assistendo ad una  weaponisation [ “bellicizzazione” potremmo tradurre] di tutti i tipi di politica, dall’energia, alla migrazione e al clima. In conseguenza il nostro ordine internazionale basato sulle regole sta cedendo e le nostre istituzioni globali sono divenute meno efficienti” (p. 25).
“Questo (una nuova politica estera economica) è estremamente importante in un mondo modellato dalla lotta per il vantaggio tecnologico, dalla weaponisation delle dipendenze economiche e da una sempre più sottile linea di divisione tra sicurezza ed economia” (p. 27).

Il testo della von der Leyen parte dal riconoscimento di una dimensione ormai “bellicizzata” di tutti quanti i settori delle relazioni internazionali e presenta la competizione bellica o para-bellica come elemento dominante la realtà delle relazioni internazionali. Peraltro nel testo in questione, mi sembra, non compare mai il termine “pace” , se non in un punto in cui si riporta l’apertura della Dichiarazione Schumann “ La pace mondiale non può essere assicurata senza gli sforzi creativi proporzionati ai pericoli che la minacciano”, all’inizio del paragrafo su “Una nuova era per la Difesa e la Sicurezza europea” a pagina 13 ed il termine  è poi ripreso nel contesto immediatamente successivo “La pace in Europa non è stata mai un dato scontato, ma  ogni illusione  è stata infranta dalla guerra di aggressione di Putin all’ Ucraina”.

Compare e ricorre invece, al posto del termine “pace”, il termine “ordine internazionale  basato su regole” ( rules-based International order) che è però qualcosa di diverso dalla PACE, di cui parla Schuman e di cui parlano i documenti europei almeno sino all’ Atto di Helsnki del 1975. Che è la  pace basata su accordo e cooperazione e non su deterrenza o competizione. L’Europa ha sperimentato spesso la “pace” intesa come “ordine internazionale regolato”, ma con effetti negativi se non  perversi. Ad esempio tale era la “pace” della Santa Alleanza del 1815, frutto dell’accordo post-napoleonico delle tre grandi potenze europee dell’ epoca, Austria, Prussia e Russia, un accordo che includeva tra l’altro la cancellazione di alcune statualità come quella plurisecolare della Polonia, ridotta a pura “espressione geografica”. Era un “ordine” internazionale, certamente. Ed  assicurava la cessazione delle guerre, certamente. Ma di quale ordine si trattasse poteva essere chiaro, non appena emergeva la realtà di sopraffazione anche interstatuale che nascondeva.

“ L’ordine regna a Varsavia” è la nota affermazione del ministro francese  Horace Sebastiani nel settembre 1831 dopo la repressione dell’insurrezione polacca  da parte delle truppe russe dello zar Nicola I, che appunto avevano ristabilito quell’ “ordine”.

Ed un ordine internazionale era anche quello costruito dagli accordi internazionali dopo la grande guerra 1914-18, quello che sanzionava la Germania come stato responsabile della grande guerra  1914-18.  Quell’ “ordine” però fu l’elemento centrale che rese possibile la conquista elettorale del potere di Adolf Hitler e del nazismo. Un evento che andrebbe ricordato a coloro che pensano che gli Hitler, i Putin e gli Stalin siano dei prodotti di “natura” o di” cultura”, rimuovendo ogni responsabilità esterna del sistema internazionale  dai motivi del loro successo.

Ma quale è davvero oggi questo contesto tanto diverso che pare rendere la “pace” un obiettivo vago, ingenuo,  ed obsoleto e che spinge a recuperare invece  l’idea apparentemente più “concreta” di “ordine internazionale” ?

 La “grande trasformazione” ovvero “Tutto il potere al tecno-liberismo”

Credo, ma pare che l’ evidenza sia sempre più condivisa, che siamo di fronte  ad un mutamento profondo, culturale ed antropologico, prima ancora che politico, della vita pubblica su scala europea e mondiale. La “depoliticizzazione” totale del potere “politico”- inteso come costruzione razionale, pluralistica e dialogica di un progetto comune- ormai evidente nelle dinamiche interne degli Stati, grazie anche alla “interpretazione” estrema del nichilismo di Trump, sta da tempo minando anche le dinamiche interstatuali. E questo un po’ nella inconsapevolezza generale delle opinioni pubbliche, che magari si indignano per il collasso interno delle democrazie, che divengono sempre più capo-crazie o peggio,  ma molto meno si indignano per il collasso della pace nelle relazioni tra i popoli, che pare invece accettato più  diffusamente, come un destino inevitabile.

La grande trasformazione  si è avuta  con la progressiva ma effettiva “presa di potere” , nelle democrazie liberali, della tecno-scienza, utilizzata dal tecno-liberismo che gestisce il potere magari all’ombra di altro, distruggendo o più intelligentemente minando e rendendo inservibili ed inefficienti gli istituti della rappresentanza, quelli che hanno fondato la democrazia dei moderni. Va ovviamente aggiunto  che questa “presa di potere”  ha tra l’altro rafforzato le democrazie illiberali o democrature, come è quella russa o come altre dell’ Europa orientale, contemporaneamente alle mutazioni introdotte nelle democrazie liberali, che sembrano sempre più incapaci di competere con quelle illiberali . Il sistema tecno-finanziario  d’altra parte ha distrutto il ruolo della ragione e della politica rendendo possibili forme di potere dispotico in tempi normali impensabili.

Con gli sviluppi della tecnica, da ultimo con quelli della Intelligenza Artificiale,  le norme morali  hanno perso   immediata intelligibilità  ed è diminuito perciò il loro influsso moderatore del potere. Rimane soltanto la valutazione dell’efficacia  e del risultato del potere, di un potere che conosce solo le norme dettate dalla tecnica o dall’economia. E’ utile a me?  Mi serve? La tecnica lo consente? Allora si deve fare!  Tutto il potere alla tecnica, o alla tecnocrazia, dovremmo dire.

La tecno-finanza non esercita più però il  potere “benevolo” ed accattivante del capitalismo keynesiano e consumista. Essa impone vincoli, obblighi e sacrifici  in nome di entità su cui il potere rappresentativo non può avere influenza ( il potere rappresentativo e politico non può cambiare le regole dell’economia o peggio ancora le norme della tecno-scienza)

La crisi  finanziaria del 2010-11 , poi la crisi  del Covid 19, infine la guerra che torna in Europa  hanno contribuito a configurare il potere come una dimensione  selvaggia ed incontrollabile, cui è giocoforza contrapporre un altro potere,  un  automatismo magari algoritmico, che ci metta in grado di controllare o fermare i disastri, i mali, che sono evidentemente frutto del “rischio”  e del rischio crescente, ed inevitabile implicito ed  inseparabile dal “progresso” dell’ homo sapiens, un soggetto- ci viene detto- sempre estremamente pericoloso e produttore di disastri.

La guerra, come il Covid o come i disastri finanziari o come la guerra “terroristica, ibrida e globale”- cui assistiamo-  è soltanto uno di questi rischi. Che sono poi gli stessi dei cavalieri dell’ Apocalisse oggi gli stessi che nell’antichità o nel Medioevo , la peste, la fame, la guerra.  Che strano come esito della modernità! (Segue)

Umberto Baldocchi

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