Il Fondo monetario internazionale, in una nota del 24 giugno,  ha ritoccato al ribasso le previsioni del PIL italiano per l’anno in corso (-12%). Il governo Conte le ha subito commentate come “eccessivamente pessimistiche”. Ma a vedere l’atmosfera degli “Stati Generali”, convocati per lanciare il dopo-covid italiano, non possiamo stare allegri. Domanda debole, interna ed esterna, e lenta ripartenza dell’industria.

Il nuovo presidente di Confindustria Bonomi ha presentato al governo il conto, fatto di molte analisi condivisibili ma anche di alcune richieste poco praticabili (esempio, la restituzione dei miliardi di accise sull’energia). A monte di tutto le priorità, ovviamente generiche : un paese più “efficiente”, una migliore spesa pubblica; un piano per la riduzione del debito. Come introduzione alle analisi, Bonomi ha ricordato al governo come l’Italia fosse l’unico paese europeo in quasi recessione già prima del virus (aspetto spesso dimenticato dal premier Conte). Ed ancora, come per anni l’Italia abbia privilegiato la spesa corrente ed il metodo dei bonus (una costante anche dei due governi Conte).

Ora, l’occasione storica della disponibilità europea alla mobilitazione di ingenti risorse è da non perdere. Quattro gli strumenti messi a disposizione, con una potenza di fuoco mai vista precedentemente. MES, SURE, BEI per circa 540/mld , RECOVERY FUND per circa 750/mld (500 di sovvenzioni e 250 di prestiti) , per un pacchetto di risorse e di leve collegate che sommano circa 2.000 miliardi di eur ( se si conteggiano anche le previsioni di bilancio 2021-2027), con all’Italia una previsione di circa 170 mld (tra fondo perduto e finanziamenti). Senza dimenticare il paracadute della BCE ed il suo PEPP (750/mld fino al 2022 più altri 600 decisi recentemente), principale acquirente del debito italiano, senza il quale potremmo veramente precipitare nel vuoto.

L’Europa c’è, quindi, ora vediamo se c’è l’Italia. Infatti ancora Bonomi ha giustamente chiarito che gli aiuti di Bruxelles da soli non bastano. Dovremo usarli bene e dovremo riformare l’intera struttura-Paese, cercando di non perdere capacità produttiva e competitiva, da cui dipende circa un terzo degli occupati , e cercando di essere rapidi nella progettazione di investimenti. Il nostro paese dovrebbe mettere in circolo ulteriori risorse, da aggiungere a quelle europee, muovendo il suo asset di maggior valore: il risparmio. La ricchezza privata italiana è enorme : 4.370 miliardi di eur contro le passività delle stesse famiglie per 926/mld. Gli attivi delle aziende sommano 1.840 /mld di eur , mentre il debito pubblico è intorno ai 2.500/mld.  Ad esempio, facendo sottoscrivere emissioni di titoli pubblici a lunghissima scadenza (con rendimenti moderati, ma sicuri e fissi), garantiti da patrimonio statale, esenti per tutta la durata. Ma anche traslando il debito privato nel debito pubblico, come Draghi ha più volte richiesto, nazionalizzando una percentuale del PIL.

Obiettivi: produttività (in tutte le sue articolazioni), digitalizzazione e semplificazione,  pagamento celere dei debiti della P.A., riforma dei tempi della giustizia, investimenti infrastrutturali (scuole e sanità) e tendenziale riduzione del debito. Su tutti la lotta campale contro la burocrazia (vero tarlo italiano) e contro l’evasione fiscale. Per giungere ad una riforma fiscale che permetta livelli meno oppressivi per imprese e famiglie. Questa sarà la strada obbligata da seguire in accordo con l’Europa che a sua volta dovrà favorire un fisco uguale per tutti, impedire il dumping fiscale interno, muoversi sul binario della tolleranza zero al riciclaggio, pretendere la tassazione del digitale, delle multinazionali e dei profitti speculativi. Nonostante l’ostacolo americano e le sue nemmeno tanto velate minacce. Ma il ragionamento deve necessariamente allargarsi allo scenario internazionale.

La fine del lockdown in Europa può indurre a pensare che la crisi sia in fase di superamento. In realtà la crisi economica (ennesima) inizia adesso. L’economia mondiale è arrivata all’appuntamento con il covid 19 nella peggiore delle situazioni possibili, con una serie di fattori di rischio indipendenti dalla pandemia di questi mesi. Sul piatto, un modello finanziario ed economico sempre più insostenibile e un equilibrio internazionale sempre più precario, con i grandi protagonisti del sistema globale alle prese con difficoltà crescenti all’esterno (prevalgono gli accordi bilaterali a quelli globali) ma anche all’interno (Usa, Cina, Europa).

Si continua a sostenere che la forza di una economia dipenda solo da quanto debito è in grado di fare, senza tenere conto della qualità del debito stesso e di come venga utilizzato sull’economia reale. Se questo debito cresce più del reddito che lo deve sostenere le crisi non potranno che essere inevitabili e ricorrenti. I primi venti anni del nuovo millennio hanno prodotto una montagna di debito per spingere i consumi, altrimenti non sostenibili dai redditi reali. Una parte rilevante di questo debito è andato anche ad alimentare la finanza speculativa, nella speranza che questa potesse far leva sull’economia, senza limiti e senza controllo, causando in realtà continue bolle.

Il problema non è se un sistema economico possa avere una crisi, ma se la crisi il sistema è in grado di reggerla e superarla in un tempo breve e con conseguenze socialmente accettabili. Nello specifico, questo sistema fonda la sua fiducia sul ruolo delle Banche Centrali, che immettono sui mercati, ormai da anni, una enorme massa di liquidità. Una liquidità spesso definita “infinita”. Il vero nodo sta qui. Non è detto infatti che questa massa venga indirizzata verso i settori che ne hanno bisogno (propensione al rischio di banche e investitori), visto che questi settori potrebbero non essere in grado di restituirla perché non solvibili. E’ il corto circuito tra liquidità e solvibilità, che si concretizza nella contemporanea esplosione della massa monetaria (M2), in concomitanza delle crisi, e della contrazione del credito all’economia reale.

Con il QE degli ultimi anni, seppur fondamentale per sorreggere gli spread delle singole economie nazionali (Italia in primis), si è anche alimentato quell’imbuto derivante  dalla lenta trasformazione delle risorse finanziarie in credito. Ecco perché la crisi attuale non è finita ma , anzi, inizierà quando si manifesteranno gli eventi di credito (i fallimenti). Difficilmente si potrà assistere ad un aumento del credito in una fase di crescita dei fallimenti. Liquidità, credito e solvibilità non sono la stessa cosa (come invece Wall Street vuole far credere e le teorie monetariste continuano a sostenere). Il caso Lehman Brothers del 2008 rimane un precedente significativo in tal senso (fallisce nonostante la grande liquidità immessa dalla FED).

Questi interventi servono a mantenere i soldi degli investitori nel sistema (meccanismo psicologico) ed impedirne il default. Dato che la liquidità in mano agli investitori è molto maggiore di quella in possesso di Fed o Bce, garantire la permanenza della prima significa sostenere il sistema stesso (gli interventi Fed dal 2008 misurano 7 mila miliardi di Usd ma lo stock presente sul mercato è pari a 120 mila  mld di dollari). Cioè , la massa d’urto delle Banche Centrali è minima rispetto alla dimensione del mercato. A questo si accompagna la ricerca spasmodica di rendimento alzando tendenzialmente la propensione al rischio. Così la Banca Centrale si trasforma da prestatore di ultima istanza in compratore di ultima istanza (QE di Bce) , per indurre il sistema a non vendere e mantenere l’investimento (se vendi avrai perdite importanti … sequestro velato del capitale). Il mercato così funziona solo comprando.

E’ in circolazione oggi una massa di credito a rischio default come mai prima nella storia, per il cui collocamento Wall Street produce enormi profitti. La socializzazione del capitale di rischio, ovvero soldi facili per fare finanza speculativa e non per fare investimenti, compromette la redditività del capitale e chiede continuamente di essere salvato (a differenza degli imprenditori dell’economia reale). Potremmo fare un parallelo con il 1929.

L’esasperazione del modello basato sui profitti generati da un eccesso di leva finanziaria e da una finanza fuori controllo  rischia di produrre il risultato opposto: la nazionalizzazione del sistema (come avvenne appunto nel 1929). L’ultimo baluardo di difesa di questo modello fallimentare rimane la forza del dollaro, proprio quando invece il mondo avrebbe bisogno di un dollaro debole, essendo la principale divisa di finanziamento a livello globale. E così Europa, Giappone e Cina riversano fiumi di denaro sugli assets americani per sostenere un modello ormai perennemente instabile. Proprio la forza del dollaro nasconde la fragilità della costruzione: senza i capitali esteri l’America sarebbe praticamente in default, avendo un debito estero pari al 45% del PIL. Come uscirne ?

La cosiddetta fase 2, il dopo lockdown, ha già esaurito i suoi colpi, con la stampa di una grande quantità di moneta. Pensare che basti questo è pura illusione. Mentre difendere a oltranza un modello di crescita che non produce ricchezza (se non per pochi) ma solo debiti (per molti) può essere l’errore fatale. Servirebbe una revisione dello stesso modello economico di base. Ormai insostenibile, discriminante, aleatorio.  I prossimi decenni dovranno esprimere il coraggio di rimettere in discussione, o almeno correggere, molti dei postulati su cui è costruito l’impianto del sistema economico contemporaneo.  Ad iniziare dalle fondamenta , dal quel pre-giudizio ideologico che lo ha forgiato e al conformismo teorico che lo ha accompagnato nel suo sviluppo.Per proseguire con la ridefinizione stessa dei diversi concetti-base, sia micro che macro, dalla ricchezza alla efficienza, dalla scelta alle aspettative.

Il dilemma dell’economia globale è molto più complesso e vasto della semplice, instabile, congiuntura. Potrebbe richiedere anche la riscrittura di interi capitoli dei manuali su cui tutti noi ci siamo formati.  Non sarà un percorso semplice e neppure veloce. Un’altra economia è possibile ? Forse è necessaria.

Francesco Poggi

 

Immagine utilizzata: Pixabay

 

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