NL’America che Donald Trump voleva rendere “great again” sembra oggi intrappolata in una spirale di contraddizioni che stanno minando  le fondamenta della sua democrazia. Dopo il suo  clamoroso ritorno alla Casa Bianca, Trump ha dato vita a una serie di decisioni che appaiono più provocazioni ideologiche che atti di governo.

L’ultima rottura, quella con Elon Musk, è emblematica: il patron della Tesla che aveva sostenuto in passato alcune battaglie libertarie di Trump, si è smarcato pubblicamente dalle posizioni del presidente, contribuendo a generare un clima di crescente sfiducia all’interno della già fragile coalizione repubblicana.

Ma al di là degli aspetti personali e spettacolari, la politica americana mostra segni evidenti di degenerazione: il potere è sempre più appannaggio di miliardari, manager delle Big Tech, grandi finanzieri. La politica, anziché essere esercizio di responsabilità collettiva e visione civile, è diventata il terreno di scontro tra potentati economici e colossi tecnologici, mentre i cittadini vengono ridotti a spettatori di uno show permanente, dove le parole contano meno delle provocazioni e i tweet più dei programmi.

È la democrazia del denaro, dove la competizione elettorale è viziata alla radice da chi ha più risorse da investire in consenso, pubblicità e controllo degli algoritmi dell’informazione.

Putin e il mito restaurato dell’Unione Sovietica

Se il modello americano sembra ormai scivolare verso un’oligarchia di miliardari, l’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla Russia di Vladimir Putin. L’autocrate del Cremlino, che governa senza opposizione reale, sta portando avanti un’operazione ideologica e simbolica che guarda con sempre più nostalgia alla defunta Unione Sovietica. Non si tratta più soltanto di propaganda: è una vera e propria restaurazione culturale che riporta in auge miti, riti e persino l’estetica dell’URSS.

Dalla glorificazione del passato comunista alla repressione del dissenso, dalla militarizzazione della società alla manipolazione sistematica della memoria storica, la Russia putiniana si propone come il nuovo baluardo di una visione illiberale e revanscista.

L’aggressione all’Ucraina ne è la manifestazione più brutale: non una semplice guerra di confine, ma un tentativo di ricostituire l’egemonia imperiale russa, annullando le conquiste di libertà e autodeterminazione dei popoli dell’Est Europa. È un progetto inquietante, che mina l’idea stessa di Europa come spazio condiviso di pace, diritti e democrazia. Putin, come già Stalin, mira a costruire un mondo fondato sul culto del leader, sull’obbedienza, sulla potenza militare, sulla negazione di ogni pluralismo.

Eppure, c’è ancora chi in Europa finge di non vedere e guarda con simpatia o indulgenza al “modello russo”, nel nome di un pacifismo a senso unico o di un antiamericanismo fuori tempo massimo.

Una sola voce per il futuro dell’Europa 

In questo scenario, l’Europa appare smarrita e divisa. Sospesa tra l’arroganza imperiale di Mosca e le derive plutocratiche dell’America trumpiana, l’Unione Europea è chiamata a una scelta di fondo: ritrovare il coraggio della sua visione originaria o rassegnarsi a essere campo di conquista, spazio neutro, preda delle potenze.

Gli euroscettici, che in questi anni hanno teorizzato la fine del sogno europeo, non hanno azzeccato una previsione: né sull’euro, né sulla stabilità, né sulla sovranità nazionale. Dove il loro pensiero ha trovato applicazione, sono aumentate la confusione, la marginalità internazionale, la fragilità economica. Le loro ricette conducono dritte alla sottomissione: non alla libertà delle patrie, ma alla riedizione delle sfere d’influenza, con cui nel Novecento l’Europa fu divisa tra l’imperialismo americano e il totalitarismo sovietico.

Un’ Europa libera e sovrana 

Oggi più che mai è urgente che l’Europa si emancipi da questi due modelli speculari e pericolosi. Serve una nuova consapevolezza storica e politica: l’Unione deve darsi strumenti reali di sovranità condivisa, costruire una difesa comune, una politica estera unitaria, una fiscalità federale. Solo così potrà rispondere ai ricatti e ai pericoli che la circondano, e potrà finalmente parlare al mondo non con voce altrui, ma con la propria.

Difendere l’Europa non è un atto burocratico o tecnocratico: è una battaglia di civiltà, di libertà, di futuro. Perché senza un’Europa forte, libera e unita, torneremo a essere soltanto una bella “espressione geografica” proprio  così come Metternich definì l’Italia, durante i lavori del Congresso di Vienna.

Michele Rutigliano

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