Premessa:   Vorrei iniziare questo testo con alcune considerazioni al fine di meglio contestualizzarlo.

Da quando si è nell’era nucleare, ad assumere connotati sempre più importanti è la politica estera. Se il solo a poter trattare con Putin è Trump, è perché ha le armi nucleari. E’ un segnale che a questo livello solo loro possono trattare e Mosca vuole mantenere questo colloquio in ambito bipolare. Se i due non si incontreranno, difficilmente potranno chiudersi i centri di crisi: occorre un incontro formale con un accordo formale.

Vi è tra Stati Uniti e Russia l’esigenza obiettiva di convergere. Avranno la forza di risolvere le situazioni più problematiche? Questo è un momento ne quale il rapporto tra le grandi potenze di fronte alle crisi locali è molto importante. Quel che conta è che i due leader continuino a parlarsi e che le trattative siano tutt’ora in corso.

Benché nei rapporti internazionali si è spesso nel regno della menzogna, quando le grandi potenze si parlano vuol dire che qualche forma di accordo c’è. E’ quando non si parlano e litigano che la situazione può dirsi pericolosa. Riguardo il futuro dell’Ucraina, in questo caso americani e russi manderanno avanti dei negoziatori formidabili che non hanno il minimo senso morale, dato che in politica estera a contare sono gli interessi nazionali.

La comunità internazionale attende adesso di vedere come Trump affronterà i problemi aperti nel mondo. Nel frattempo ognuno cerca di piazzare al meglio le proprie carte. Vi è la probabilità che a partire dall’Ucraina possa aprirsi un negoziato globale che finirà col toccare tutto. Credo possa dirsi che in questo momento Trump abbia come alleato Putin, che su di lui ha investito non poco dato che solo Washington potrebbe toglierlo dal suo isolamento: se Mosca vuole riemergere internazionalmente deve accordarsi con gli Stati Uniti. Una mancanza di accordo avrebbe conseguenze gravi, dato che le tensioni finirebbero col ripercuotersi ovunque.

Quando un negoziato è in corso, ognuno muove tutte le pedine possibili. Trovare un’intesa non sarà facile e poco da stupirsi se ogni giorno arriveranno notizie che vanno in un senso od in un altro e non si sentiranno parole chiare. Il sasso è comunque stato lanciato nello stagno e sta facendo delle onde. Cosa succederà adesso? L’unica cosa certa è che se l’Europa non riuscirà ad attivarsi, non potrà che fare la comparsa e pagarne le conseguenze.

Un incontro difficile:   A seguito dell’umiliante faccia a faccia alla Casa Bianca del 28 febbraio scorso, Zelensky, dopo aver tenuto testa sia al Presidente Trump che al suo vice JD Vance, è stato indotto ad abbreviare l’incontro. Trump era partito con l’idea che o il suo omologo ucraino si sarebbe reso disponibile a concludere un accordo oppure lo avrebbe lasciato cadere. Ciò che Zelensky chiedeva agli americani era soprattutto di avere una serie di garanzie di sicurezza. Dopo circa 40 minuti di colloquio il tono della discussione era rapidamente degenerato negli ultimi 10.

In una situazione senza precedenti, i due leader si sono affrontati pubblicamente nello Studio Ovale. Mai le tensioni tra i due erano state così alte ed, ovviamente, nessun accordo è stato firmato.

Tutto ciò si è svolto di fronte alle telecamere, cosa mai vista in un’occasione del genere. Va detto che simili episodi non sono infrequenti, ma che normalmente nessuno lo viene a sapere: in linguaggio diplomatico si parla di scambio intenso o di conversazione franca.

Ad un osservatore di cose americane ciò che ha immediatamente stupito è stato il ruolo di JD Vance nel diverbio. Per tradizione infatti negli Stati Uniti il ruolo del vice-presidente è praticamente nullo. Chi avrebbe dovuto intervenire per dire qualcosa avrebbe dovuto essere Marco Rubio che, in qualità di Segretario di Stato,  è delegato alla politica estera. Non ha invece aperto bocca.

Che la visita di Zelensky a Washington si sia rivelata uno scacco totale non è certo dispiaciuto al Cremlino, il quale ha immediatamente parlato del ritegno di Trump di fronte a quel “immondizia” di Zelensky, accusandolo poi di essere ossessionato dalla voglia di prolungare la guerra. Quest’ultimo ha fatto sapere che di Putin non ci si può fidare e che è pericoloso cercare compromessi con lui. Per quel che lo riguarda, il presidente ucraino resta sempre disponibile per la firma di un accordo. Ha aggiunto di non dovere scuse a Trump e che il rapporto tra di loro poteva ricomporsi.

Dalle labbra del portavoce russo Peskov, invece, l’affermazione che la politica estera di Trump coincideva con la visione della Russia. In Ucraina si implorava Zelensky di non sottostare alle pressioni americane e resistere a Putin. All’Europa giungeva la richiesta di non lasciare sola Kiev. A sorprendere tutti il fatto che il Presidente americano, invece di trattare con Putin, gli stava concedendo in anticipo ciò che lui più voleva. Appariva chiaro come ci si trovasse di fronte ad una deriva inquietante della politica, ad un mutamento dell’intero paradigma dell’agire politico a livello internazionale: ad emergere era la legge del più forte dove, crudeli e liberi di offendere, Trump e Putin si stavano entrambi comportando allo stesso modo, ossia da sovrani.

Alcune reazioni in Europa:   Di fronte a questi sviluppi, il Segretario Generale della Nato Rutte insisteva sulla necessità per Europa, Stati Uniti e Ucraina di restare unite ed esortava il presidente ucraino a riappacificarsi con Trump. Da Varsavia giungeva la parola che l’Occidente doveva resistere al ricatto e alle minacce della Russia. A Bruxelles il Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen dichiarava l’urgenza di riarmare l’Unione, mentre dalla Danimarca arrivava la notizia che avrebbe dedicato alla difesa il 3,2% del proprio Pil. L’Europa, a questo punto, si trovava sola a contemplare la sua impotenza.

In tutta questa situazione, che ha visto saltare ogni distinzione tra bene e male, tra aggressore e vittima, il Presidente francese Macron apriva un discorso su una futura dissuasione nucleare ed insieme a Berlino discuteva di come far pronte alle inevitabili spese militari che si sarebbero presto dovute affrontare. Con il Premier britannico Starmer discuteva di come fare da collegamento con gli Stati Uniti, mentre quest’ultimo rifletteva su come porre l’Ucraina nelle migliori condizioni possibili per difendersi, reputando pure lui essenziale mantenere i rapporti con Washington, partner ineludibile per qualsiasi soluzione del problema. Colta di sorpresa e sotto shock, Bruxelles dovrà adesso capire come rispondere, cosa fare per l’Ucraina e soprattutto per sé stessa.

Il successivo incontro di Zelensky avveniva a Londra, che pur uscita dall’Europa continua a muoversi insieme ad essa sulle questioni di sicurezza e di difesa. Il Presidente ucraino si mostrava pessimista sugli Stati Uniti e chiedeva all’Europa di non abbandonarlo mentre a Washington il Presidente americano, riprendendo la retorica russa, puntava il dito contro Kiev giudicandola responsabile dei combattimenti e descrivendo Zelensky con le stesse parole usate da Putin: un corrotto, un dittatore, un ladro che avrebbe stornato a suo beneficio miliardi di dollari in aiuti ricevuti.

Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite gli Usa votavano poi insieme a Russia e Cina, provocando sgomento sia in Ucraina che in Europa spingendo Kiev a chiederle aiuto. Bruxelles rispondeva confermando la sua vicinanza ed il suo appoggio e discutendo nuove sanzioni contro Mosca, dichiarandosi inoltre disponibile ad offrire garanzie di sicurezza, cosa che non garbava certo Mosca che pretendeva la smilitarizzazione dell’Ucraina e nessuna presenza di militari europei a vegliare sul rispetto di eventuali accordi.

Francia ed Inghilterra prendevano una posizione decisa di fronte all’atteggiamento di Trump nei confronti di Zelensky, entrambe convinte che non si poteva umiliare pubblicamente una persona in quel modo. Per far ulteriore pressione su Zelensky, erano stati sospesi gli aiuti militari a Kiev fino a nuovo ordine ed interrotta anche la collaborazione a livello di intelligence. Musk minacciava inoltre di spegnere il segnale di Starlink che consentiva alle Forze armate ucraine di avere informazioni immediate sull’andamento del fronte ed i movimenti del nemico. Anche negli Stati Uniti non erano in pochi a pensare che fosse stata calpestata la regola di ogni decenza. A colpire, soprattutto l’assordante silenzio dell’opposizione democratica.

In tutto ciò, l’economia russa continuava a mostrare segni di debolezza, ma non a tal punto da dover rinunciare alla guerra. Mosca sapeva bene che malgrado le difficoltà era perfettamente in grado di reggere per altri due o tre anni. Diversa la situazione dal punto di vista umano: non vi era infatti tra la popolazione russa un grande entusiasmo nel continuare a massacrare i cugini ucraini. Questi ultimi dal canto loro mostravano un’evidente stanchezza nel dover proseguire i combattimenti. Imperterrito, il presidente russo poneva le sue condizioni sulle quali non mostrava nessuna intenzione di cedere. A mollare doveva essere l’Ucraina.

L’Unione Europea si trova adesso costretta a guardarsi allo specchio e contemplare la sua irrilevanza. Si rende finalmente conto che per pesare in un contesto internazionale serve presentarsi compatti, con delle idee precise ed essere seri in campo militare. Serve riacquistare l’abitudine a pensare in termini di difesa: il realismo imponeva la deterrenza. Non è più possibile pensare che 450 milioni di europei possano chiedere a 350 milioni di americani di difenderli da 145 milioni di russi.

A minacciare gli equilibri internazionali sono oggi Trump con la sua politica dei dazi e Putin con la sua aggressione ai danni dell’Ucraina. A modo loro, entrambi intendono destabilizzare l’Europa e sottrarle sovranità. Persino il nuovo Cancelliere tedesco Friedrich Merz, convinto atlantista, ha avvertito il bisogno di prenderne atto. Washington sta forzando l’Europa a fare ciò che avrebbe dovuto fare da tempo: considerare una politica di riarmo e di maggiore autonomia strategica. Trovandosi del tutto esposta e vulnerabile, la grande confusione che si trova ad affrontare non potrà che spingerla in questa direzione: senza un piano per la sicurezza e la difesa rischia di scivolare ai margini della Storia. La sovranità nazionale è una sovranità di cartone ed ed oggi non conta più nulla. Purtroppo da noi si decide qualcosa solo in caso di tragedie. Se non se ne presenta una, nessuno fa niente. La politica estera è politica militare e chi non lo capisce, sogna: la diplomazia è forte se armata.

Il mese di Marzo porta nuovi sviluppi:   La prima settimana di marzo si è rivelata particolarmente importante. Il presidente francese Macron in un accorato discorso alla nazione denunciava i pericoli del momento e spiegava i motivi delle sue scelte offrendo all’Europa il suo scudo nucleare.

A Washington il Presidente Trump si presentava al Congresso per il suo discorso sullo Stato dell’Unione, che in circostanze normali avrebbe dovuto riguardare il bilancio della sua presidenza. Essendo entrato alla Casa Bianca solo da due mesi, quello suo non è stato che un indirizzo alle Camere riunite nel quale annunciava quelle che erano le sue linee di governo, dai migranti all’istruzione, non mancando di attaccare la cultura woke e discutere del piano per i tagli all’amministrazione federale affidato a Musk. Da lì, alla politica fiscale fino alle esplorazioni energetiche. Si è trattato fondamentalmente di un discorso elettorale, nel quale ha elogiato sé stesso ed annunciato il ritorno degli Stati Uniti ed una nuova età d’oro, fatta di benessere, progresso, crescita e prosperità. Durato un’ora e quaranta minuti, è stato un discorso di politica generale rivolto soprattutto ad una platea interna.

L’intervento è stato accolto con entusiasmo dai Repubblicani e da fischi, cartelli e mormorii di disapprovazione e scontento da parte democratica. Dall’aula è stato espulso il rappresentante del Texas Al Green per aver contestato, bastone in mano, il presidente. Una curiosità: nel corso del suo intervento, oltre a dichiararsi disponibile ad operare il prima possibile in direzione di una pace duratura, Trump annunciava di aver ricevuto un’importante lettera da Zelensky nella quale si sarebbe dichiarato pronto a collaborare. Da Kiev giungeva pronta la smentita.

La giornata successiva, quella del 6, si apriva con un Consiglio Europeo straordinario sul tema della difesa. In netto contrasto con i toni minacciosi di Trump, Zelensky è stato calorosamente ricevuto dal presidente del Consiglio Europeo António Costa e dalla presidente della Commissione Europea Von der Leyen. Entrambi hanno ribadito di voler continuare a sostenere Kiev.

“È un momento cruciale per l’Europa e l’Ucraina”, ha dichiarato Ursula Von der Leyen, che si è impegnata a fornire a Kiev “i mezzi per difendersi e ottenere una pace giusta e durevole”. Da parte sua, il cancelliere tedesco Scholz ha respinto l’ipotesi di una pace imposta all’Ucraina. Questo vertice ha rappresentato per l’Unione Europea una svolta importante facendole prendere definitivamente coscienza del pericolo rappresentato da Trump. Tra i vari argomenti è anche stato sottolineato che per negoziare con Putin il presidente Trump avrebbe avuto bisogno della presenza di Zelensky. Il cammino per la pace non poteva passare per l’abbandono dell’Ucraina, che aveva ogni diritto di vivere in sicurezza senza dover temere per la sua indipendenza ed i suoi confini.

Si è indubbiamente trattato di un buon inizio, anche perché è stato affrontato il tema della necessità di spender meglio i soldi a disposizione per le Forze armate. Diventa necessario investire per migliorare e potenziare l’industria bellica europea, sfruttandone le capacità produttive e operando congiuntamente per costruire delle eccellenze in questo settore. Privilegiare dunque l’acquisto di armi europee per assicurare la propria difesa ed appoggiare l’Ucraina. Il cammino per la pace non può passare per l’abbandono di Kiev.

Superando gli attuali vincoli di bilancio, sono stati proposti per i 27 membri dell’Unione 150 miliardi di euro come prestito comune e 650 miliardi con i quali ogni Paese dovrebbe aumentare il proprio bilancio per la difesa. Questa la nuova tappa da affrontare per rendere effettiva l’unità dell’Europa e della sua politica estera: di fronte a ciò che stava accadendo non poteva essere che fossero Washington e Mosca a decidere sul futuro degli assetti europei. Il risveglio è stato brutale e diventava urgente cercare di colmare quanto prima il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Non era più possibile restare a far da spettatori e serviva mostrare coraggio. Si apriva così un dibattito strategico sulla diffusione nucleare dato che per essere presi sul serio era indispensabile dar prova di forza.

A questo dibattito si aggiungeva quello di un piano di riarmo tedesco che vedeva aprirsi una discussione su un tema sacro nel Paese, quello del pareggio di bilancio. Le forze politiche erano coscienti che ogni debito sarebbe caduto inevitabilmente sulle spalle delle nuove generazioni. Le recenti elezioni hanno però visto la Germania compattarsi, cosa che ha consentito alla CDU di rivedere queste regole per consentire il riarmo del paese e dell’Europa.

I socialisti hanno raccolto la sfida chiedendo in cambio 500 miliardi da investire nell’istruzione, nelle infrastrutture ed in altri temi riguardanti il sociale. Era ormai evidente che dopo decenni di sotto-investimento in campo militare vi erano competenze da ricostruire e ritardi da recuperare. Il messaggio era passato ed a Berlino veniva organizzata una manifestazione in appoggio all’Ucraina ed in favore del riarmo europeo. (Segue)

Edoardo Almagià

About Author