Nel luglio 2022 è stata approvata definitivamente la legge 79/2022. Essa, che aveva come firmatari i parlamentari Messa e Verducci, aboliva gli “assegni di ricerca” sostituendoli con i “contratti di ricerca”. Pochi mesi dopo cadeva il governo Draghi, si tornava alle elezioni che venivano vinte dalla coalizione Destra-Centro. Nasceva così il governo
Meloni tuttora in carica.

Alla guida del MUR andava la ministra Anna Maria Bernini. La Bernini ha rallentato molto l’iter per rendere applicabili i nuovi contratti di ricerca e, anzi, ha prorogato per due volte gli aboliti assegni, nel 2023 e nel 2024. Perché? Perché vuole delegittimare svuotare la riforma Messa-Verducci e attuare una controriforma presentando il Ddl () 1240. Vediamo un attimo cosa prevede quest’ultimo disegno di legge ( CLICCA QUI). Si vogliono introdurre quattro nuove e ulteriori figure para-contrattuali: borse di assistenza alla ricerca junior e senior, contratto post-doc, professore aggiunto. Il “contratto di ricerca” non viene abolito, ma ad esso vengono aggiunte queste nuove figure.
Quindi, in conclusione, se il DdL 1240 diventerà legge, dopo il conseguimento del Phd, all’aspirante ricercatore e docente universitario verrà proposto, non solo il contratto di ricerca, ma anche queste altre figure. Siamo alle solite, di offrire tanti tipi di contratto aumentando la precarietà.

Vediamo succintamente le differenze tra l’assegno di ricerca e le nuove figure, che si vogliono introdurre. La legge 79/2022 vuole riordinare il sistema del reclutamento universitario semplificandolo. Esso prevede che ci sia una sola figura preruolo precaria (il contratto di ricerca), che si affianca ad una sola figura di ricercatore a tempo determinato in tenure track, l’RTT. Se la legge 79 sarà applicata, le condizioni degli aspiranti ricercatori e docenti universitari miglioreranno di molto, perché “il contratto di ricerca, di durata almeno biennale e conferibile solo a soggetti con il titolo di dottore di ricerca (oggi possono diventare assegnisti anche coloro che hanno solo la laurea magistrale), prevede l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, con le tutte le tutele giuslavoristiche, previdenziali
e assistenziali di cui l’assegno di ricerca era strutturalmente privo. La retribuzione, non inferiore a quella del ricercatore confermato a tempo definitivo, è stata stabilita in sede di contrattazione collettiva. La figura dell’RTT, di durata sessennale e accessibile con il solo requisito del dottorato di ricerca (non più anche laureati magistrali), valorizza il giovane dottore di ricerca subito dopo il conferimento del titolo.

Da ciò deriverebbe un più cosciente impiego delle risorse economiche e della forza lavoro, premiando soggetti che abbiano già completato con successo il percorso di dottorato e riducendo la durata del precariato universitario a un massimo di dieci anni, contro i precedenti quattordici (CLICCA QUI). Le nuove, sopra citate figure para-contrattuali, che il DdL 1240 vorrebbe introdurre, sono caratterizzate da una flessibilità persino superiore rispetto a quelle abolite dalla l. 79/2022 e, inoltre, esse non sono dotate delle adeguate garanzie giuslavoristiche riconosciute all’estero e quindi sviliscono il lavoro intellettuale e prolungano la durata del percorso preruolo.

Questo sul piano normativo. Altrettanto grave è la situazione sul piano finanziario della spesa pubblica per la ricerca: l’attuale governo ha tagliato il conferimento di risorse alle università per almeno 300 milioni di euro. Ultimamente, però, è successo un fatto paradossale. Grazie alla concessione dei fondi PNRR, l’Italia, stanziando 435 milioni di euro per il FIS3, ha raggiunto la milestone 4.2 del piano PRRR sulla carriera dei ricercatori allineandosi così agli standard Horizon. Il problema è che queste cifre non saranno utilizzabili per assenza di personale. Cosa vogliamo dire? Vogliamo dire che in base alle FAQ pubblicate del MUR, il “Principal Investigator” e i componenti del gruppo di ricerca non possono essere assunti mediante “assegno di ricerca”, ma solo mediante “contratto di ricerca” o conferimento di un posto da RTT.

L’ultima proroga degli assegni è infatti scaduta il 31 dicembre 2024 mentre non si può assumere mediante “contratto di ricerca” perché questo istituto non è stato ancora attuato, anzi, come detto sopra, la sua attuazione è stata ostacolata e rallentata. Si tenga presente che i Personal Investigator devono presentare il loro progetto entro le ore 12:00 del prossimo 27 gennaio. Essi si possono avvalere di dottorandi, ma non di neo dottori.

Chi vuole leggere le FAQ, può servirsi di questo collegamento: https://www.mur.gov.it/sites/default/files/2025-01/
FAQ%20FIS3%207%20gennaio%202025.pdf.

Perché dicevo che la situazione è paradossale? Perché Il MUR, che ha fatto di tutto per non applicare la legge 79, adesso ci porta (per distrazione? Incompetenza?) ad un passo dall’applicazione di essa. Siamo ad oggi quasi pienamente nel quadro normativo della L. 79/2022: RTDA e assegni sono stati aboliti, i contratti sono inseriti quasi a regime nel sistema. Sarebbe bello per i precari, ma le cose non andranno così. La maggior parte di questi fondi non sarà utilizzata, infatti, non è possibile bandire “contratti di ricerca” dal momento che, dopo la firma
della prima ipotesi di sequenza contrattuale del CCNL “Istruzione e Ricerca” dello scorso 9 ottobre, mancano ancora alcuni passaggi chiave: il parere del MEF sul CCNL, la sua firma definitiva, la pubblicazione in GU, senza considerare i tempi tecnici che gli atenei impiegheranno per predisporre i regolamenti interni per il conferimento dei contratti di
ricerca. E allora?

I precari dovranno mettersi l’anima in pace ed emigrare. Faccio un esempio. Un Personal Investigar, può utilizzare i
dottorandi in uscita, ossia quelli che conseguiranno il Phd nel periodo marzo-aprile di quest’anno, dell’università che fa da Host Institution, ma appena costoro hanno avuto il titolo non ha nessun mezzo per inquadrarli; inoltre i dottorandi in uscita non hanno più nemmeno la borsa di studio. A meno che il Ministero non si renda conto che non esiste alcun presupposto per l’approvazione del DdL 1240 e, che, se non si vogliono perdere fondi utilissimi in un settore strategico come la ricerca, (penalizzando non tanto dei giovani dottori, ma il Paese) l’unica cosa da fare è attuare il contratto di ricerca. Infine, si deve tenere presente che è difficile far approvare il sopra indicato disegno di legge, esso è in discussione al senato e prevede tagli, che nessuno, men che meno la ministra, vuole rivendicare apertamente.

Non credo che questa proposta verrà mai blindata e che su di esso sarà posta la fiducia. La piena attuazione del contratto di ricerca potrebbe far acquisire a questa maggioranza molti più consensi e fornire ad essa validi elementi per arricchire la sua classe dirigente, o, comunque, i ruoli apicali della pubblica amministrazione. Questa è una speranza per chi vuole il bene comune, ma la Bernini, purtroppo, non sembra preoccuparsi minimamente del bando FIS3 e dello stallo derivante dalla mancata attuazione del contratto di ricerca (parte di una milestone PNRR) in contemporanea con la scadenza al 31 dicembre scorso dell’ultima proroga degli assegni di ricerca. Le Host Institution, se vogliono avvalersi almeno parzialmente dei finanziamenti, utilizzeranno il personale dipendente a tempo indeterminato e determinato, non credo proprio che vorranno inquadrare i precari come RTT o docente di prima o seconda fascia.

Perché questo governo è così ostile ad attuare la riforma della L. 79/22? A mio giudizio, perché la sua base culturale si rifà ad una economia che vuole che ci siano diseguaglianze. E’ quell’economia che, secondo Papa Francesco, produce scarti e indifferenza. Per questo motivo Bergoglio ha creato l’”Economia di Francesco”, che è un movimento di sostegno ad un altro paradigma economico, cioè all’economia civile.

Rosario Nicola Di Stefano

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