Donald Trump ed Ursula Von der Leyen ripartono sostanzialmente appaiati, almeno dal punto di vista temporale.
Trump avvia il suo secondo mandato alla Casa Bianca e Ursula riprende la sua seconda navigazione in un contesto europeo complicato e precario, su cui, oltretutto, gravano la crisi politica conclamata della Germania e quella che sta per spalancarsi in Francia.
La Presidente della Commissione Europea gode, almeno sulla carta, di una maggioranza qualificata, ampia e storicamente comprovata, soprattutto convintamente europei sta Eppure deve stare attenta a non peccare di ingordigia. Un eccesso di furbizia rischierebbe di allargare quel po’ di scivoloso che già
sembra di cogliere in un rapporto con le destre che potrebbe, a lungo andare, pagare in termini di instabilità. E, soprattutto, di annacquamento della sua stessa ragion d’essere, cioè di quell’ideale europeo, cui le destre mostrano di credere per ragioni di opportunità contingente, ma di fatto lontano dalla loro vocazione nazionalista e popular-sovranista.
A sua volta, Trump – dopo l’apertura del fronte di Gaza e del Libano, e poi di Damasco – dovrà abbandonare l’ idea di una frettolosa intesa bilaterale con Putin, diretta a liquidare, in quattro e quattr’otto, la vicenda Ucraina. Che non può essere assimilata ad una sorta di ping-pong magari acceso, ma pur sempre combattuto a due ed interdetto ad ogni altro giocatore.
La partita – al di là della rozza “semplificazione” di situazioni complesse che sembra piacere a Trump – si gioca, a questo punto su un’ampia scacchiera, con il che ogni mossa incide sulla configurazione complessiva del “risiko” internazionale. E soprattutto la virtù del giocatore si evince dalla sua capacità di prevedere le mosse dell’avversario e, quindi, programmare le proprie per un numero di giocate il più prolungato possibile.
In attesa che Donald Trump, dal prossimo 20 gennaio, faccia le sue prime mosse, sarebbe bene che l’Europa riaccendesse i motori e si preparasse a svolgere un ruolo, possibilmente da protagonista, nel nuovo scenario internazionale che sta per andare in onda.
Antonio Costa e Kaja Kallas hanno voluto celebrare il primo giorno del loro mandato andando insieme a Kiev. E’ un buon segno. Se non altro un gesto simbolico ed un messaggio che indica come l’Europa necessariamente – cioè per la forza in sé delle cose, così come stanno, le piaccia o meno – sia consapevole di dover mettere in gioco la sua stessa ragion d’essere nel conflitto ucraino. A Bruxelles evidentemente sanno che, una volta abbandonata a sé stessa, un’Ucraina sconfitta ed umiliata e, dunque, di fatto sancita – in nome di una ”realpolitik” brutalmente dettata dai rapporti di forza militari – la legittimità del vulnus recato dalla Russia al diritto internazionale, l’Europa non sarebbe più quella di prima.
Giova ricordare che, fin dall’avvio dell’invasione dell’Ucraina, un motivo ricorrente – concordemente avanzato da Putin e dal Patriarca Ortodosso, Kirill – concerneva il presunto decadimento morale, il fatale smarrimento di valori. Anzi, la perversione dell’Occidente e dell’Europa. L’argomento è poi stato abbandonato per manifesta infondatezza, ma soprattutto perché il despota del Cremlino si è, inaspettatamente, trovato ben altre gatte da pelare. Eppure, ultimamente, ricompare nell’analisi di alcuni osservatori. Ed ha – ovviamente su tutt’altro versante, su di un piano che nulla ha a che vedere con quello pruriginoso suggerito dai due compagni di merenda di Mosca – una sua plausibilità.
Insomma, non sarebbe fuori luogo interrogarsi anche sulla capacità del fronte interno, sulla tenuta morale che possiamo attenderci dall’Europa degli stati e delle cancellerie, ma anche dall’Europa dei popoli.
La libertà, la democrazia, la giustizia sociale, la pace sono beni che, per quanto non abbiano prezzo, pur hanno, questo sì, un costo Non sono serviti gratis su un piatto d’argento e gli europei devono farsene una ragione.
Domenico Galbiati