Il mese di gennaio ha segnato un livello record dell’occupazione con la creazione di 517.000 nuovi posti di lavoro. Così, il tasso di disoccupazione è sceso al  3,4%, il più basso dal 1969. Le assunzioni hanno riguardato un po’ tutti i settori merceologici, a partire da quello della ristorazione che, evidentemente, si sta riprendendo dalla crisi innescata dalla pandemia. Solamente i settori dell’automobile e delle tecnologiche hanno registrato dei cali d’occupazione anche a seguito degli ultimi aumenti dei tassi d’interesse giacché si tratta di attività produttive che richiedono più indebitamenti di altri. Non a caso, le aziende tecnologiche hanno annunciato decine di migliaia di licenziamenti nelle ultime settimane. Altro segnale di preoccupazione viene dal settore delle costruzioni e dalle vendite di case che hanno rallentato.

Naturalmente, i commenti ai dati sull’occupazione resi noti dal Dipartimento del lavoro sono diversi ed articolati. Così, se c’è chi invita a non farsi affascinare da numeri che riguardano un solo mese, e invitano a non sottovalutare i rischi di una recessione, altri analisti vi trovano una conferma sui progressi che starebbe facendo l’economia americana.

I dati di gennaio, che mostrano un mercato del lavoro forte, avranno preso in contropiede  la metà circa della pubblica opinione la quale pensa che l’economia statunitense sia entrata in recessione.

Il Presidente Biden ha trovato in questi numeri la conferma della validità del proprio piano economico che ha lasciato scontenti i repubblicani contrari agli aumenti di spesa pubblica avviati dall’amministrazione democratica. Così come molti hanno guardato con preoccupazione all’innalzamento dei tassi deciso dalla Fed al fine di stabilizzare i prezzi al consumo con il raffreddamento della domanda e contenendo così la spinta verso l’alto dei prezzi.

Nel frattempo si è registrata anche una crescita dei salari di una media del 4,4% nell’arco dell’intero 2022, anche se questo aumento non ha fatto recuperare completamente l’erosione del potere d’acquisto provocato dall’inflazione. Il Pil statunitense, se adeguato all’inflazione, indica un aumento a un tasso annuo del 2,9% nel quarto trimestre del 2022. Meno del 3,2 percento del terzo trimestre, ma indica un’inversione di tendenza rispetto ai primi sei mesi dell’anno scorso quando la situazione ha fatto parlare del pericolo di una recessione.

I dati di gennaio, se confermati, potrebbero mettere in condizione gli Stati Uniti di affrontare le sfide attese nel 2023. Legate all’inflazione che rimane troppo alta e dal duro confronto politico in atto sul livello cui è opportuno far salire il debito pubblico.

Vi sono già segnali di tensione, soprattutto nei settori più sensibili all’aumento degli oneri finanziari.

CV

 

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