Venezia travolta da fenomeni naturali eccezionali. Oltre cinque miliardi di Euro, così tanto è costato per ora il Mose, restano sott’acqua ad arrugginirsi. Uno dei tanti “ funerali” di una classe politica che, nel suo complesso, non lascia speranze a questo Paese.
Una classe politica che anche in questa occasione si caratterizza per dichiarazioni di circostanza e, ovviamente, piena di retorica, per gli scambi d’accusa tra destra e sinistra. In realtà nessuno può chiamarsi fuori dalle responsabilità, visto che la storia del Mose dura da così tanto tempo che le paratie ancora sott’acqua hanno visto passare governi e ministri di ogni colore. Hanno visto pure condanne o prescrizioni che hanno riguardato tutto l’arco parlamentare.
L’acqua alta entrata in san Marco è l’occasione non per stare ai fatti concreti, non per nominare il nuovo sovrintendente alle opere pubbliche, andato in pensione senza che nessuno pensasse a sostituirlo, ma per continuare a tenere in piedi il teatrino della politica italiana.
Non è qualunquismo, questo. E’ la giustificazione dell’incipit del Manifesto ( CLICCA QUI )che abbiamo appena lanciato per avviare una trasformazione autentica del Paese, che tutti deve coinvolgere. Politici, istituzioni e cittadini.
Sì anche quest’ultimi . Sono essi che scelgono i propri rappresentati. Spesso sulla scia di reazioni emotive. Non esercitano la “ cittadinanza attiva” che significa impegnarsi quotidianamente a difesa dei propri diritti che, però, non sono solo quelli individuali, sacrosanti, ma la cui tutela è evidentemente non sufficiente se l’intero tessuto civile è al collasso.
Dall’Ilva di Taranto a Venezia: la conferma di una “ cosa pubblica” trattata senza alcuna progettualità, capacità d’intervento strategico. E’ un intero sistema che mostra limiti oramai evidenti e colloca l’Italia e gli italiani ai margini dei processi in atto in Europa e nel mondo. Ci rende solo “ terra di conquista” che, però, come dimostra l’Ilva è condizione pure ondivaga e incerta.
A Livorno si dice che il Libeccio lascia il tempo che trova. Così è per le emergenze nazionali in cui ci imbattiamo con tanta frequenza. Basta che qualche fenomeno superi la soglia critica e ci ritroviamo in condizioni drammatiche. Piani regolatori inesistenti, o ignorati, fiumi cementificati , costruzioni realizzate dappertutto, senza alcun criterio ambientale o paesaggistico, e ogni volta ci risiamo. Poi, tutto torna come prima. In attesa della nuova emergenza e delle immancabili polemiche tra i partiti, tra ministri ed ex ministri, ed altri ex ministri, quelli precedenti ancora.
La relazione a firma Francesco Saverio Nitti del 1911 della Commissione sulla povertà nel Mezzogiorno si apriva con un capitolo dedicato all’assetto idrogeologico delle regioni del Sud. Soprattutto di quelle in cui l’agricoltura non riusciva più a sfamare tanta gente costretta, così, ad emigrare. Un modo intelligente di cogliere l’origine dei fenomeni e dei conseguenti problemi da affrontare se di quei fenomeni si intende davvero occuparsi una volta per tutte.
Sono passati oltre 100 anni e non riusciamo neppure più a riferire i nostri progetti politico legislativi a dati certi, incontrovertibili, scientificamente validi e accertati. Tutta la battaglia politica è lasciata al retorico e al vago.
E’ forse venuto il momento di dire basta a tutto ciò e pretendere che i proventi delle nostre tasse vengano spesi adeguatamente.
Come è possibile fare ciò senza finire ad impegnarsi in quel particolare sport, abbastanza italiano che è lo scarica barile? Certamente impegnandosi per dare vita a una forza politica nuova, capace di proporre il superamento dei vecchi metodi del passato che nessuno dei partiti oggi in Parlamento sta davvero abbandonando