Mentre le riforme istituzionali restano tuttora una pianticella rachitica, che al momento nessuno vuole più innaffiare, sta germogliando un nuovo virgulto nel parco degli alberi fossili: quello di un nuovo sistema elettorale, il Meloncellum. Il primo sbocciò nel 1946, il secondo nel 1948, il terzo nel 1993 (il Mattarellum), il quarto nel 2005 (il Porcellum), il quinto nel 2015 (l’Italicum), il sesto nel 2017 (il Rosatellum). La Legge che lo ha istituito è la n. 165 del 2017. È l’unico tuttora vivo.

Il Rosatellum e la crisi istituzionale della politica

Il Rosatellum poggia su due pilastri: l’uninominale e il plurinominale, per eleggere 400 deputati e 200 Senatori, di cui 8 deputati e 4 senatori sono eletti nelle circoscrizioni estere.
In forza del primo, ciascun partito o coalizione di partiti presenta un solo candidato in ciascuno dei 147 Collegi nazionali per eleggere 147 deputati su 392 e dei 74 Collegi regionali per eleggere 74 senatori su 196. In forza del secondo pilastro, 245 seggi della Camera e 122 del Senato sono attribuiti con il metodo proporzionale: tanti voti ottiene il partito, tanti eletti gli spettano. Ma l’elettore vota solo il partito, non il candidato: è il segretario di partito che decide l’ordine di presentazione e perciò di eleggibilità all’interno della lista.

Quali effetti sul sistema politico e su quello istituzionale? È presto detto: la composizione dei Gruppi parlamentari è decisa non dagli elettori, ma dal Segretario di partito, il partito è ridotto a comitato elettorale del Segretario, i cittadini tendono a disertare le urne.

In sintesi: la base del consenso democratico si contrae, crescono la collera o il distacco degli elettori. Dall’alto del loro potere istituzionale, i leader di partito non si rivolgono più democraticamente ai cittadini – che ormai tendono a votare al di sotto del 50% – ma solo plebiscitariamente agli Italiani, alla Nazione, al Popolo. Parlano dagli schermi televisivi e si fanno strada nel labirinto ossessivo dei social. L’intermediazione intellettuale e organizzativa dei partiti è implosa. La classe dirigente si forma su Instagram e simili.

Quanto al governo che si viene a formare, è regolato dall’ ”insocievole socievolezza”. Esso parla ormai solo alla metà del Paese. Pertanto la governabilità, cioè la stabilità del governo per un’intera legislatura è sempre più fragile, i suoi progetti sempre più “corti”. Negli anni della Prima repubblica il governo cambiava ogni nove mesi. Adesso i governi durano assai di più – quest’ultimo forse raggiungerà i 5 anni – ma il prezzo della durata è il rinvio delle riforme. Il risultato è che la maggioranza di turno esercita il potere, ma non il governo.

Le domande del cittadino-elettore

L’elettore vorrebbe poter scegliere personalmente chi lo governa – l‘esecutivo – e chi controlla l’azione del governo – il Parlamento. E i partiti? Il loro mestiere dovrebbe essere quello di istruire, educare e proporre i candidati. In questo schema di pura democrazia liberale, il cittadino è realmente sovrano. Egli forgia le istituzioni.

Per ragioni, nobili e meno, che sono state da molti e più volte raccontate, il sistema dei partiti ha messo le mani sulle istituzioni fin dai primi anni ’50, ufficialmente a partire dalla sconfitta del progetto maggioritario di De Gasperi contenuto nella Legge del 31 marzo 1953, che attribuiva il 64,4% dei seggi alla lista o alla coalizione che avesse ottenuto il 50%+1 dei voti. Comunisti e Socialisti la bollarono come “legge truffa” o come nuova “Legge Acerbo”, quella che nel 1923 assegnava i 2/3 dei seggi alla lista che avesse oltrepassato il 25%. Così i cittadini-elettori da militanti delle istituzioni sono diventati militanti dei partiti. La deriva politico-ideologico-corporativa dei partiti ha consumato le istituzioni della Repubblica, ben prima di Mani Pulite. In questa palude siamo a tutt’oggi.

Verso il Meloncellum?

Giorgia Meloni ha ben chiara sia la diagnosi sia la terapia. Dopo aver sparato a zero contro il referendum renziano del 2016, l’11 giugno del 2018 Fratelli d’Italia aveva presentato un progetto di Legge di riforma costituzionale, denominato “Modifiche alla parte II della Costituzione concernenti l’elezione diretta del Presidente della Repubblica”, prima firmataria Giorgia Meloni. Prevede la costruzione un sistema di governo semi-presidenziale e di un sistema elettorale coerente con esso.

Le forze di destra, future alleate, e le forze di sinistra si sono schierate decisamente contro, con motivazioni diverse. Pertanto, Giorgia Meloni ha ripiegato sull’elezione diretta del Capo del governo, sul premierato, “perché fa due cose essenziali: restituisce ai cittadini il pieno potere di scegliere da chi vogliono essere governati e garantisce che chi viene scelto abbia il tempo per realizzare il mandato che ha ricevuto”.

Ora, a due anni dal termine della Legislatura, la Meloni ha abbandonato anche il premierato, riproponendosi di rilanciarlo, eventualmente, solo dopo aver vinto le elezioni del 2027. Per vincere occorre però un sistema elettorale più sicuro del Rosatellum: ecco dunque il progetto del “Meloncellum”. In primo luogo, si demolirebbe il pilastro uninominale, che oggi assegna agli alleati minori (Forza Italia e Lega) un numero di seggi sproporzionato rispetto al loro peso reale.

Insomma: si torna al sistema proporzionale. E la governabilità? Si otterrebbe assegnando il 55% dei seggi alla coalizione che superasse il 40%. E l’unità della coalizione? Sarebbe garantita dal nome del candidato premier – Giorgia Meloni, chi sennò? – stampato sulle schede elettorali.

Le critiche delle opposizioni

Le opposizioni si sono finora opposte furiosamente al progetto. Le motivazioni sono una più fasulla e pretestuosa dell’altra, una su tutte: si andrebbe verso una democrazia autoritaria. All’opposizione non interessa il governo futuro, ma solo paralizzare quello presente. Così lo scenario che si profila è sempre lo stesso: i cittadini sono in fuga dalle urne, la politica è serrata nella sua bolla, il Paese galleggia a fatica nei marosi europei e globali.

Da qualsiasi prospettiva si guardi la questione, la sostanza è sempre la stessa: l’opposizione, oggi di sinistra, ieri di destra, non riconosce mai la legittimazione della maggioranza a governare. Questa è la fatale anomalia italiana, causa principale e concentrazione di tutte le fragilità del Paese. Le mort saisit le vif!

Giovanni Cominelli

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