Il vecchio bipolarismo e le sue promesse mancate. Limiti dell’ingegneria elettorale in un contesto di partiti fluidi. La cattiva qualità della competizione bipolare dipende dalla bassa qualità dei due schieramenti. Le gravi insufficienze di cultura politica dei due vecchi poli di Centrodestra e Centrosinistra e le riforme mancate. Le tensioni interne alle coalizioni di CD e CS indeboliscono durata e capacità di azione dei governi. L’ascesa effimera del populismo. La crescita dei partiti populisti effetto e non soluzione della crisi bipolare. Instabilità dei partiti populisti e loro inadeguatezza come attori di governo. Il ritorno dei Governi tecnici di grande coalizione per affrontare le crisi. I nuovi problemi del presente e la necessità di un rinnovamento politico-culturale. Proporzionalismo temperato e nascita di forze politiche trasformatrici capaci di andare oltre la vecchia dialettica Centrodestra/Centrosinistra come condizioni per affrontare i problemi del paese.
Come nasce il bipolarismo italiano e che cosa è
Il bipolarismo, cioè un assetto del sistema partitico (a livello elettorale, parlamentare e di governo) caratterizzato da due schieramenti contrapposti di forze politiche, nasce chiaramente dalla fine dell’assetto politico precedente caratterizzato dal sistema elettorale proporzionale e che vedeva la DC, in campo da sola in sede elettorale, in grado di egemonizzare stabilmente il governo, grazie alle sue alleanze con altri più piccoli partiti di centro-sinistra, centro e centro-destra, e di escludere dal governo il più grosso partito della sinistra (il PCI) e l’opposizione di destra (MSI). La fine di quell’assetto multipolare è determinato dal collasso nel 1993 della DC e dei partiti che le avevano ruotato intorno.
Il vuoto lasciato dalla DC (e partiti alleati, in specie il PSI), insieme alla nuova legge elettorale con una forte componente maggioritaria (il 75% dei seggi assegnati in collegi uninominali ad un turno solo) consente al PCI, rinnovato in PDS, di presentarsi come forza aggregante della sinistra e a Berlusconi (grazie alle sue risorse e al suo tempismo) di lanciare la sua OPA sulle forze moderate.
Il bipolarismo, che si afferma (pur con qualche residuo di centro) sulla scena elettorale del 1994, non è però un bipartitismo: la frammentazione del sistema partitico continua nonostante i nuovi sistemi elettorali. Entrambi gli schieramenti sono compositi e caratterizzati da non pochi elementi di eterogeneità interna.
Le promesse mancate del bipolarismo
Il nuovo assetto bipolare, che dalla sfera elettorale si estende a quella della formazione del governo con i leader delle coalizioni elettorali (prima Berlusconi, poi Prodi) che si “impongono” come leader del governo, a molti apparve destinato ad offrire alcune importanti e positive innovazioni rispetto al precedente corso.
In sintesi queste le aspettative iniziali:
- Una scelta più netta e semplice per gli elettori;
- Una “democrazia decidente” in cui la scelta elettorale avrebbe determinato senza ambiguità la formazione politica vincente, la scelta del premier e la formazione del governo;
- Una competizione centripeta e orientata sulle politiche;
- La possibile alternanza al governo e quindi una più efficace responsabilizzazione del governo e dell’opposizione;
- Una maggiore stabilità dei governi;
- Una più forte legittimazione popolare del governo e soprattutto del suo capo e quindi una politica più efficace nell’affrontare i problemi importanti del paese.
Queste aspettative, ricavate da una lettura troppo meccanicistica del funzionamento degli assetti politici complessivi e da una sottovalutazione di altri aspetti (come la composizione interna dei poli, la loro cultura politica, le caratteristiche delle leadership dei poli) sono state largamente disattese soprattutto per gli aspetti più politicamente rilevanti (3-6).
Se è vero che:
- La scelta elettorale è stata certo semplificata, ma la composizione interna delle coalizioni ha consentito agli elettori di diversificare introducendo una certa competizione interna;
- Il risultato elettorale ha determinato senza ambiguità nel 2001, 2006, 2008 la coalizione vincente e il leader del governo (ma nel 1994 e nel 1996 le coalizioni elettorali vincenti hanno dovuto ottenere l’appoggio di forze esterne)
Va però rilevato che:
- La competizione non è stata centripeta ma caratterizzata da una contrapposizione molto accanita e con forti elementi di delegittimazione (ideologica e personale) reciproca;
- L’alternanza al governo è stata continua ad ogni elezione segnalando la difficoltà delle due coalizioni di consolidare il proprio consenso elettorale con una azione di governo efficace;
- La stabilità dei governi non si è realizzata. Nessun governo “eletto” è riuscito a durare sino alla fine regolare della legislatura. Dal 1994 al 2013 gli 11 governi sono durati in media meno di due anni (un anno e otto mesi). Un miglioramento non decisivo rispetto agli ultimi 20 anni della prima repubblica.
E soprattutto:
- La capacità dei governi dei due schieramenti di affrontare i problemi del paese è stata ridotta e la competizione si è concentrata su temi e aspetti di impatto mediatico piuttosto che sui grandi problemi del paese.
Le riforme mancate del bipolarismo
In via di esemplificazione: a. invece che riforme per ovviare alla lentezza e al malfunzionamento della giustizia sono prevalse le schermaglie acrimoniose tra il “partito dei giudici” e il “partito degli anti-giudici”; b. il tema del lavoro (bassi livelli di occupazione, divario lavoro protetto/lavoro non protetto, lavoro nero) è stato oscurato da dispute di principio; c. il rapporto tra potere centrale e regioni/comuni è stato affrontato in chiave ideologica producendo riforme che hanno complicato il sistema e accresciuto i costi; d. la modernizzazione dell’economia e della PA hanno ricevuto scarsa attenzione; e. la scuola è rimasta ostaggio del potere sindacale e della burocrazia; f. la discussione sulla riforma fiscale si è incartata sul tema dell’IMU; g. più in generale l’adattamento del sistema Italia alle trasformazioni del contesto europeo è finito nelle secche di una contrapposizione tra europeisti di facciata e eurocritici velleitari.
Questo fallimento delle riforme necessarie per il paese ha rivelato sia i seri limiti della cultura politica di entrambi gli schieramenti (la “rivoluzione liberale” di Berlusconi è stata uno specchietto per allodole senza sostanza, mentre il “riformismo” dei DS/PDS/PD si è trasformato troppo spesso in una difesa dell’esistente) sia la mancanza di una visione capace di accomunare i due fronti almeno su alcuni grandi temi (esempio in negativo sono state le riforme costituzionali votate a maggioranza e le manipolazioni del sistema elettorale per obiettivi partigiani)
Sono in sostanza mancate le condizioni per un “buon bipolarismo”: un rispetto reciproco tra i due schieramenti, un terreno comune di incontro sull’assetto costituzionale del paese, una percezione comune dei problemi prioritari del paese.
La crisi del bipolarismo e la “irresistibile” ma effimera ascesa del populismo (2011-2021)
La crisi politica dell’autunno 2011 e il ricorso per la seconda volta ad un “governo tecnico” non basato sullo schema bipolare hanno mostrato che il bipolarismo nato nel 1994, oltre a non riuscire ad affrontare i principali problemi del paese, non era in grado di reggere di fronte a una grave crisi. La formazione del governo Monti nel 2011 ha segnalato che nessuno dei due poli era capace di assumersi direttamente la responsabilità di affrontare le conseguenze per l’Italia della crisi finanziaria internazionale del 2008. E’ toccato quindi alla Presidenza della Repubblica prendere in mano direttamente la gestione della crisi politica e proporre una soluzione.
Poco dopo, le elezioni del 2013 e ancor più quelle del 2018 danno un ulteriore colpo al bipolarismo. La grande ascesa dei partiti populisti (M5S prima, poi Lega-Salvini) e la crescente difficoltà dello schema bipolare ad assorbire questi sviluppi e a costruire governi basati sui vecchi schemi del CS e del CD evidenziano la fine poco gloriosa della fase politica nata nel 1994.
Di fronte allo strepitoso successo del M5S e al suo rifiuto di entrare in coalizione il governo Letta esprime il tentativo dei due poli di far fronte comune nei confronti della sfida populista. Il tentativo risulta di breve durata ed è seguito dai due governi Renzi e Gentiloni, nei quali solo grazie al generoso premio di maggioranza il PD può avere il sostegno della Camera ma deve ricorrere a sostegni centristi per sostenersi al Senato.
Persino lo spropositato premio di maggioranza e la manipolazione del risultato del voto che ne derivava si sono rivelati insufficienti a generare la stabilità di governo (che viene ora messa in crisi dai problemi interni al PD). Il nesso tra risultato elettorale e governo, promesso dal bipolarismo, si allenta (e forse non a caso si ha con Renzi un governo guidato da un non-parlamentare).
Le elezioni del 2018 vedono continuare l’ascesa del M5S e aggiungersi quella della Lega rinnovata in chiave nazional-populista da Salvini. I due partiti approfittano del ruolo di opposizione e delle difficoltà dei governi precedenti.
I tentativi di incorporare i partiti populisti nello schema bipolare falliscono ripetutamente, pur se sono parzialmente perseguiti a livello elettorale, dimostrando che lo strumento del sistema elettorale può forzare solo fino ad un certo punto il risultato.
La difficoltà di integrare i nuovi soggetti si manifesta con chiarezza nell’ultima legislatura. Se il populismo Cinque Stelle rifiuta a livello elettorale una coalizione di sinistra (?) che lo incorpori, salvo poi rispolverare questa soluzione dopo il fallimento del governo populista giallo-verde (Conte I), il populismo della Lega, che a livello di competizione elettorale sembra rimanere dentro il polo di centrodestra, se ne emancipa a livello di governo accettando l’intesa con i Cinque Stelle nel Conte I, salvo abbandonarlo quando si delinea la speranza di un sorpasso elettorale in una elezione anticipata (sperata ma non ottenuta!).
La riproposizione per inerzia dei due poli di centro-destra e centro-sinistra (ma possiamo ancora chiamarli così con due denominazioni il cui significato politico ormai sfugge?), ciascuno con la ingombrante presenza di un partito populista in posizione maggioritaria, si rivela una ricetta carica di instabilità e incapace di fronteggiare efficacemente la nuova crisi della pandemia. E infatti il governo giallo-rosso Conte II deve lasciare perché si possano gestire efficacemente gli aiuti europei del Next Generation EU. Poiché il centrodestra non è in grado di offrire un’alternativa credibile si ritorna con Draghi ad un governo tecnico e ad una grande coalizione parlamentare a sostegno.
Le sfide dell’oggi e le soluzioni politiche
L’avvicinarsi delle elezioni politiche del 2023 presenta quindi un campo di forze politiche fortemente indebolite e incerte. L’esaurimento del vecchio assetto bipolare è evidente: i due partiti Forza Italia e PD che avevano dominato e guidato i due poli hanno perso ormai questa capacità. A questo si aggiunge la crisi dei partiti populisti che hanno rivelato la loro incapacità di trasformarsi in partiti di governo all’altezza dei problemi del paese. Naturalmente c’è chi guarda indietro e spera con l’aiuto dell’attuale legge elettorale di rimettere in piedi due schieramenti alternativi come nel vecchio bipolarismo. Lo spera parte del PD con il “campo largo”, lo proclamano nelle loro dichiarazioni i leader del vecchio centro-destra. Ma queste speranze sono quotidianamente contraddette dalle posizioni contrastanti che le supposte componenti di questi schieramenti immaginati prendono sui temi politici all’ordine del giorno. E dalle schermaglie sulla leadership che vengono continuamente alla luce.
Ma mentre le forze politiche si arrovellano intorno a schemi coalizionali astratti e desueti è invece necessario porre mente ai problemi che si pongono di fronte al paese e rispetto ai quali vecchi e nuovi schieramenti si dovranno misurare.
In breve sintesi: siamo entrati in una fase di accentuata turbolenza mondiale con potenziali importanti riflessi sul sistema Italia:
- Il percorso della transizione ambientale entra nel vivo e ne emergono i non piccoli problemi (distribuzione dei costi; impatti su settori industriali; grande domanda di investimenti; profondi adattamenti culturali necessari);
- Il prolungarsi della guerra Russia-Ucraina, che sempre più coinvolge Europa e Stati Uniti, e il difficile raggiungimento di una intesa di pace solida pongono all’ordine del giorno il tema della sicurezza e impattano seriamente sulla situazione economica dei paesi europei. L’Unione Europea è chiamata a nuove inedite responsabilità;
- Inflazione e rallentamento della crescita prospettano scenari economici complicati;
- Il riassetto della globalizzazione che si sta aprendo con nuove catene di valore, cambiamenti negli sbocchi commerciali, ecc… segnala difficoltà da affrontare ma anche opportunità da cogliere.
Pur con molte incertezze si delineano alcune importanti conseguenze per le politiche da adottare:
- Forte necessità di potenziare investimenti infrastrutturali e tecnologici pubblici e privati;
- Esigenza di potenziare le istituzioni di formazione (sia in senso specialistico, ma anche sotto il profilo di una forte formazione umana di base);
- Riduzione dei margini di spesa e quindi necessità di un maggiore controllo della qualità della spesa;
- Necessità di potenziare gli strumenti di solidarietà e redistribuzione per fronteggiare l’emergere di nuove fasce di disagio sociale.
Basta riflettere su questi temi per capire l’astrattezza e l’inadeguatezza degli schieramenti che vengono oggi riproposti. Le politiche da impostare e condurre nei prossimi anni richiedono non versioni contrapposte e che si annullano tra loro ma la ricerca di solide convergenze sugli obiettivi essenziali. La convergenza verso un “centro” non geometrico e definito per “sottrazione” ma al contrario caratterizzato da innovatività trasformativa e per “addizione” diventa cruciale per stare al passo con i problemi del futuro.
Le crisi internazionali rendono inoltre sempre più delicato ed essenziale per un grande paese come l’Italia esprimere una presenza autorevole e conscia dello stretto rapporto tra interessi nazionali e assetti internazionali nei consessi della governance europea e atlantica. Scherzare su questi temi con dilettantesche proposte di vie nazionali farebbe correre gravi rischi al paese.
Che fare allora?
La situazione odierna richiede risposte chiare e coraggiose. Non stanche riedizioni di vecchi schemi tenuti in piedi dal meccanicismo maggioritario del vecchio sistema elettorale. Due condizioni sono necessarie in vista delle elezioni del 2023 e ancor più del dopo elezioni:
- L’esigenza prioritaria è quella che si facciano avanti forze politiche nuove capaci di proporre non misure estemporanee e palliativi settoriali ma una bussola coerente e lungimirante per le politiche da adottare nei prossimi mesi ed anni. Per questo occorre che le forze politiche nuove più che contare su leader mediaticamente effervescenti e succubi del loro ego ipertrofico trovino le basi della loro azione in una forte cultura politica guidata da una visione antropologica non superficiale né riduzionista e capace di delineare una progettazione del bene comune includente e solidale.
- Il fallimento dei meccanismi elettorali maggioritari nel produrre una offerta politica all’altezza dei bisogni del paese richiede poi di prendere in considerazione urgente il ritorno ad un sistema proporzionale temperato (con debite clausole anti frammentazione) che consenta alle forze politiche nuove di ottenere accesso autonomo al parlamento senza essere costrette nelle gabbie dei vecchi schieramenti e di costruire alleanze politiche sui programmi e non su schemi ideologici del passato.
L’avverarsi di queste due condizioni e una risposta positiva dell’elettorato introdurrebbe elementi di novità utili per affrontare le sfide di domani.
Maurizio Cotta