Un tempo sarebbe stato definito libro edificante, classificazione oggi non più di moda, anzi ritenuta penalizzante, simile a pietra pomice in tempestoso mare, destinata a riversarsi sulla spiaggia in compagnia di canne, bottiglie e sacchetti di plastica, residui di polistirolo… Elementi che, sparsi insieme sulla sabbia, deturpano il paesaggio costiero in attesa dell’intervento di un rastrellone escavatore per ripristinare un po’ di pulizia, quando del candore della pomice nessuna traccia resterà.
A me, invece, e ricorro ancora alla metafora, questo testo di Nino Giordano (il libro può essere richiesto online sul sito Lombardo editore – Milazzo) sembra una conchiglia adagiata sulla ghiaia, da accogliere non come ninnolo decorativo ma gemma che emette il suono della ricchezza e profondità del mare, cifra identificativa di un percorso esistenziale, individuale e collettivo. Una scrittura che costruisce un pilastro su cui innalzare un orizzonte di senso, un tributo d’amore per dissipare le ombre che gravano sul cammino umano. Una scrittura che suggerisce l’immagine di un muro, separazione di bene e male, indifferenza e vicinanza, egoismo e carità, ma un muro da scalare, che impegna cuore e volontà, per raggiungere il prato dove svetta l’albero della pace interiore, le cui verdi fronde costituiscono ristoro per il pellegrino e slancio verso mete di solidarietà e condivisione. Un segno, dunque, di appartenenza e identità non irretito dalla divisione e instancabilmente proteso verso l’incontro con il diverso e il lontano, una missione da portare avanti con sacrificio ma indefettibilmente. Scelta ancor più incisiva quand’è figlia di ravvedimento: “le lacrime sono il sangue dell’anima”. Allora non ci si arrenderà al dolore, non ci si crogiolerà nella sofferenza, il cuore s’infiammerà di carità, la luce del Vangelo rischiarerà i sentieri verso una “vita nuova”.
Suggestivo il procedimento narrativo. Sette personaggi del nostro tempo, giovani e meno giovani, maschi e femmine, ognuno con il suo fardello di pena, dialogano con Antonio, il Santo taumaturgo venerato a Capo Milazzo da ingenti folle di fedeli. Un caldo rapportarsi sviluppato con il timbro della confessione del male di vivere da una parte e il dolce miele della parola che sana la ferita e invita alla speranza dall’altra. Davanti agli occhi del lettore si susseguono pagine dense di inquietudini e sopraffazioni, lacerazioni e incertezze che, soffocato a prima vista ogni retto e limpido e fruttuoso sentire, minacciano di isterilire l’animo e farlo precocemente invecchiare. Lasciarsi andare? Disperare? Rassegnarsi?
Antonio, con pertinente riferimento al proprio vissuto e il supporto di passi biblici, è dispensatore di consolazione. Ad Habiba, mussulmana, lavoratrice nei campi siciliani sottopagata e senza tutela, sfuggita in Marocco alla dura prassi del matrimonio imposto, il fidanzato morto nell’affondamento del gommone durante la fuga verso la libertà, il desiderio insoddisfatto di ritornare in patria, riferisce che occorre confidare nei progetti di Dio per superare gli steccati e aprirsi nuove prospettive future. Il fiore della speranza non appassisce.
Ad Alina, affranta per l’Ucraina martoriata dalla guerra, ricorda che “la pace che vuoi fuori di te, deve nascere dal tuo cuore”: dialogo e accoglienza rappresentano i requisiti indispensabili per tenere lontano le tempeste della vita. Al ragazzo scivolato nel pantano della droga, dal quale vorrebbe liberarsi, indica la pista da seguire: “Ognuno ha la sua storia di sofferenza e di fallimenti, ma l’amore di Cristo è forte, sicuro, fedele”. Anche alla mamma in stato interessante in età avanzata e assalita dai dubbi vengono rivolte parole rassicuranti: “Non avere paura. Tua figlia vive già in te”. La misericordia di Dio prende sempre per mano, compagna preziosa lungo il cammino di salvezza. “Ogni nascituro è una creatura unica e irripetibile”.
A Nino, smarrito per la contemporanea morte dei genitori, impegnato nel volontariato e in cerca di fede, dà coraggio: “Ogni qualvolta che fai opere di carità, porti Cristo tra le braccia”. Cristo non abbandona, il pentimento cancella la colpa.
Ferdinando, trentotto anni, durante l’adolescenza ha subito atti di bullismo e da allora non ha saputo costruire un tessuto di relazioni, sfiorato persino, di tanto in tanto, dal pensiero della morte: “Ognuno di noi è speciale perché siamo stati voluti”, lo incoraggia Antonio. È necessario recuperare il valore dell’amicizia per rimettersi in marcia. L’amicizia consiste nel fare il bene di chi si ama e si fortifica con il dialogo, necessita dello stupore e della meraviglia dettati dagli sguardi, si sprigiona con l’esercizio di carità verso i più deboli.
L’ultimo incontro è assai significativo. Giovanni, vocato per il sacerdozio, teme di non essere all’altezza del compito: “Ho un vivo desiderio di vivere pienamente le pagine del Vangelo, ma sono attratto da strade che pure riconosco sbagliate”. La fragilità dell’anima – lo rincuora Antonio – rinvigorisce con la forza dell’umiltà, “la custode della virtù, e chi la pratica custodisce il suo coraggio”. Quando il cuore pulsa di carità e amore per il prossimo nessun ostacolo potrà frapporsi al dono di sé. I genitori, seguendo l’esempio di Abramo, non esitino ad affidare il figlio al deserto. Nel deserto s’incontra e si entra in intimità con Dio. Nel deserto si è ritirato pure Gesù. La bellezza del Signore Gesù è la ricompensa che colma i vuoti e riempie di sostanza vivificante il ministero sacerdotale. “Non si deve venir meno alla Verità, neppure a costo di scandalo”. La via maestra è così indicata senza alcun fraintendimento.
Colloqui, in sintesi, irrorati di fede, speranza e carità: un vademecum esemplare per quanti non si riconoscono nei falsi richiami dell’odierna comunicazione, spesso troppo “mondana” e di parte, incapace di dare risposte plausibili agli interrogativi che scuotono le coscienze.
Da evidenziare, infine, la bontà dei contributi della giornalista che introduce i personaggi e della voce fuori campo che riepiloga eventi salienti della vita di S. Antonio, fattori che rendono coinvolgente la lettura e ancor più convincente l’assunto proposto. Notevole l’apparato iconografico.
Filippo Russo